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 2019  ottobre 28 Lunedì calendario

Ora l’Isis è sconfitto?

I capi jihadisti muoiono, cadono sotto il fuoco, ma l’ideologia che agitano non scompare. Perché vive comunque, nutrendosi di quanto avviene in Medio Oriente e sfruttando come nessun altro gli errori degli avversari. Odio settario, manipolazioni, situazioni endemiche, scelte poco intelligenti finiscono per aiutare i tagliatori di teste.
1Cosa significa militarmente l’operazione contro il Califfo?
Gli Usa, nonostante l’annunciato ritiro dalla Siria, hanno mantenuto la capacità di lanciare missioni in profondità, possibili solo con una buona intelligence e flessibilità di reparti scelti. È il classico esempio di «guerra leggera», quella che comporta rischi relativi. La preferita dalla Casa Bianca. Non da oggi. Era così con Obama, lo è con Donald Trump, convinto più degli altri della necessità di tirarsi fuori dai lunghi conflitti.
2Gli Usa hanno fatto tutto da soli?
Iracheni, curdi e turchi hanno rivendicato un pezzo di merito nell’individuazione del target di alto valore in una zona, quella di Idlib, popolata da dozzine di gruppuscoli. E la catena di eventi innescata dall’apparente disimpegno statunitense dall’area curda, con l’avanzata di Ankara, poi le mosse siriano-russe, si conclude in modo spettacolare. Il blitz che annienta il nemico numero uno di Washington, una minaccia peraltro valutata in modo non omogeneo da quanti hanno interessi nello scacchiere. Sembra un copione scritto a tavolino, con dettagli palesi e altri segreti, di scenari concordati o quasi. Avremo di sicuro altre ricostruzioni rispetto a quella ufficiale. Arriveranno dubbi, insinuazioni sulla testa del terrorista barattata con il sogno del Kurdistan siriano.
3Cosa significa per lo Stato Islamico?
Osama è stato ucciso e al Qaeda è rimasta. L’Isis potrebbe seguire la stessa parabola. È ben noto che certi movimenti hanno resistito alla decapitazione del leader. Perché agiscono attorno ad un’idea profonda ed estesa, spesso ammantata di religione. Certamente, il Califfo è il punto di riferimento e per quanto riguarda lo Stato Islamico è ancora più rilevante in quanto si presentava come l’erede del Profeta. Però il faro estremista non si spegne mai del tutto, alimentato dalle crisi locali e dai fattori esterni.
4C’è un impatto sui suoi collaboratori?
I luogotenenti e possibili successori hanno due necessità. La prima è garantire la continuità davanti allo sconcerto dei ranghi. La seconda, ben più immediata, è assicurarsi la sopravvivenza. Si chiederanno chi ha tradito, vorranno capire come gli Stati Uniti siano riusciti a scoprire il nascondiglio, si chiederanno quanto il loro apparato – pur diviso per tenere botta – sia stato infiltrato e sia ancora sicuro. Mai dimenticare come siano ossessionati dalle spie, dalle talpe, dalle diavolerie elettroniche che portano ai rifugi più protetti. Timori reali, ma anche paranoie. 
5Cosa faranno i seguaci di Al Baghdadi?
I guerriglieri si sono preparati a continuare la lotta in situazioni difficili, compresa la scomparsa fisica della guida suprema. Hanno scritto montagne di testi, diffuso messaggi in questa chiave: la sconfitta diventa spinta al riscatto. Proveranno a vendicarlo sul terreno vicino oppure rilanciando appelli agli ancora tanti simpatizzanti sparsi dall’Occidente all’Asia, dalla stessa Europa all’Africa, continente dove le brigate con le bandiere nere imperversano con offensive ampie. L’opposto degli ultimi attacchi nelle città europee, eseguiti da killer dal profilo mai netto.
6L’ultimo atto quanto pesa?
Nella prima versione raccontata il leader, una volta vistosi in trappola, ha attivato il corpetto esplosivo che portava sempre con lui. Una scelta da mujahed. Un’uscita di scena che può diventare un simbolo per gli affiliati e la riaffermazione di un giuramento di morte. Sconfitto sì, ma senza accettare l’umiliazione della resa. Comportamento che diventa anche un ordine di natura tattica.