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 2019  ottobre 27 Domenica calendario

La vera storia di The Irishman

«Le prime parole che Jimmy mi disse furono: “Mi dicono che imbianchi le case”. La pittura di cui parlava era il sangue che schizza sulle pareti e cola sul pavimento quando spari a qualcuno. “Mi occupo anche dei lavori di falegnameria”, risposi. Quello era un riferimento alla costruzione delle bare e sottintendeva che eri anche in grado di liberarti dei corpi». A riportare la conversazione è Frank Sheeran, The Irishman, L’Irlandese, sicario della mafia e figura di spicco dell’International Brotherhood of Teamsters, il sindacato degli autotrasportatori. Racconta di una telefonata tra Philadelphia e Detroit avvenuta nel 1957. Jimmy è Jimmy Hoffa, leggendario e controverso sindacalista, presidente della Teamsters dal 1957 al 1971, scomparso senza lasciare traccia il 30 luglio 1975. A metterli in contatto era stato Russell Bufalino, boss di Cosa Nostra a capo, dal 1959 al 1989, della famiglia che controllava il nord-est della Pennsylvania. 
«Mi dicono che imbianchi le case». I Heard You Paint Houses. Fu questo il titolo scelto nel 2004 da Charles Brandt (avvocato e già vice procuratore generale aggiunto dello Stato del Delaware) per il suo libro: la storia criminale dell’Irlandese, narrata dallo stesso Sheeran che in una lunga serie di interviste/interrogatori dal 1° marzo 1999 al 6 dicembre 2003 confessò a Brandt decine di omicidi commessi per conto della mafia. Era stato lui, nel 1972 ad uccidere «Crazy Joey» Gallo; sempre lui eliminò, nel 1978, Salvatore «Sally Bugs» Briguglio, uno degli uomini che nel 1975 si trovava con lui sull’auto che avrebbe portato Jimmy Hoffa verso la casa di Detroit in cui sarebbe scomparso. E fu lui, quel 30 luglio 1975, a sparare i due colpi che avrebbero ucciso Jimmy Hoffa. Il corpo finito in un inceneritore, e per questo mai ritrovato. 
Da quel libro è ora nato il film The Irishman. Duecentonove minuti costati 160 milioni di dollari (in parte utilizzati per ringiovanire gli attori che interpretano gli stessi personaggi per un arco di oltre 60 anni) diretti da Martin Scorsese e prodotti da Netflix, che il 27 novembre arriva sulla piattaforma di streaming, dopo un passaggio – dal 4 al 6 – nelle sale (distribuito dalla Cineteca di Bologna). A scrivere la storia per lo schermo ci ha pensato il premio Oscar Steven Zaillian (Schindler’s List). A interpretarla, un cast stellare. Robert De Niro è Frank Sheeran (1920-2003); Al Pacino è Jimmy Hoffa (1913-1975; dichiarato legalmente morto nel 1982), Joe Pesci è Russell Bufalino (1903-1994). E poi Harvey Keitel, Ray Romano, Anna Paquin, Bobby Cannavale... 
Frank Sheeran aveva raccontato a Brandt la sua storia. Quella di un uomo di un metro e novanta, nato nel 1920 a Philadelphia da una famiglia cattolica di origini irlandesi, che durante la Seconda guerra mondiale era stato in Italia: 411 giorni di combattimento che non amava raccontare. Qui aveva imparato l’italiano ed era stato a Catania, la città di Russell Bufalino. Questo avrebbe poi contribuito a farlo entrare nelle grazie del boss per poi diventare l’uomo di fiducia di Hoffa, l’«uomo più potente degli Stati Uniti dopo il presidente», come lo definì Bobby Kennedy. «Oggi Jimmy Hoffa è conosciuto soprattutto per essere stato la vittima della sparizione più clamorosa della storia americana». Ma «tra il 1955 e il 1965 Jimmy era famoso quanto Elvis; tra il 1965 e il 1975 quanto i Beatles», sottolinea Brandt nel libro che in Italia è arrivato nel 2013 (L’irlandese. Ho ucciso Jimmy Hoffa) per Fazi, che ora lo ripropone in una nuova edizione. Il titolo è quello del film: The Irishman. 
L’autore, raggiunto al telefono da «la Lettura», racconta: «Ho incontrato Scorsese, De Niro e lo sceneggiatore Steven Zaillian a New York nell’agosto 2009. Avevano acquistato i diritti nel 2007 e volevano sapere se avevo altre storie oltre a quelle inserite nel libro. Abbiamo passato insieme quattro ore». Di storie da raccontare, Brandt ne aveva molte: «Fino ad allora non avevo potuto rendere pubblici alcuni dei racconti di Frank. Ma, a quel punto, certi personaggi di alto rango della mafia coinvolti erano morti e altri, come Billy D’Elia, nipote di Bufalino e suo successore, erano diventati testimoni dell’Fbi. Io mi sentivo più sicuro». A Scorsese ha quindi raccontato nuovi dettagli, che poi ha inserito nell’edizione del 2016 del libro: «Chi ha letto solo la vecchia versione, non ha il quadro completo. Ho aggiunto 57 pagine: “Il capitolo conclusivo”», con conferme e nuove rivelazioni. Il capitolo appare ora anche nell’edizione italiana (qui le pagine sono 77). Il racconto si fa ancora più esplicito: l’Irlandese guarda alla storia e si trova a gravitare attorno ad eventi come l’elezione di Kennedy, l’invasione della Baia dei Porci e un complotto per assassinare Fidel Castro, l’assassinio di Jfk. 
Brandt sottolinea che il nome di Frank Sheeran era apparso dall’inizio nell’elenco sospettati dell’Fbi per la sparizione di Hoffa; con lui Anthony Provenzano («Tony Pro», capo della sezione del New Jersey della famiglia Genovese) e Anthony Giacalone (Tony Jack, dell’organizzazione di Detroit) – era con loro che Jimmy Hoffa pensava di avere appuntamento il pomeriggio del 30 luglio 1975. E poi Stephen e Thomas Andretta (che si sarebbero sbarazzati del corpo), Chuckie O’Brien («figlio adottivo» di Hoffa, alla guida dell’auto su cui sarebbe salito il sindacalista), Salvatore «Sal» Briguglio, Gabriel «Gabe» Briguglio e Russell Bufalino. I sospettati si erano tutti avvalsi della facoltà di non rispondere. I figli e la moglie di Hoffa inoltre «veneravano» Sheeran e garantivano per la sua innocenza. «È quanto mi avrebbe poi raccontato Bob Garrity – continua Brandt —, l’agente dell’Fbi preposto al caso Hoffa, che aveva scritto un memorandum poche settimane dopo la scomparsa: il Dossier Hoffex». Quello che riportava i nove nomi. 

Il caso a oggi è ancora aperto e nessuna prova è stata sufficiente a un’incriminazione (nel 2001 l’analisi del Dna aveva confermato la presenza di un capello di Hoffa nell’auto di O’Brien). Ma eccola la storia raccontata dall’Irlandese e ricostruita da Charles Brandt. Condannato nel 1964 a 13 anni per corruzione della giuria e frode (dopo che per anni Robert Kennedy aveva cercato di condannarlo prima nella Commissione McClellan sulle infiltrazioni tra mafia e sindacati, poi come procuratore generale con la «squadra anti-Hoffa»), Jimmy Hoffa nel 1973 aveva ottenuto da Nixon la grazia. Avrebbe voluto quindi riprendere il controllo della Teamsters. Ma la mafia non era d’accordo. Hoffa stava diventando scomodo. Doveva essere eliminato. Russell Bufalino aveva incaricato Frank Sheeran. Hoffa si sarebbe fidato di lui. E così, con O’Brien e Briguglio, aveva condotto Hoffa nella «casa con i pannelli marroni»: «Fece un passo per aggirarmi e raggiungere la porta. Mise una mano sulla maniglia e, a quel punto, Jimmy Hoffa fu colpito due volte dietro la testa, sopra l’orecchio destro, dalla distanza giusta altrimenti “la pittura” ti schizza addosso. Il mio amico non ha sofferto». 
La confessione dell’Irlandese è stata più volte messa in dubbio; come in un recente articolo di Bill Tonelli per «Slate» (The Lies of the Irishman). Charles Brandt è certo: «Mi ha detto la verità». Le conferme sono riportate nel libro: la confessione di John «il Testarossa» Francis sul suo coinvolgimento, e quello di Sheeran, nell’omicidio di Briguglio e Gallo; la testimone che aveva identificato Sheeran come l’assassino di Gallo… la famiglia Bufalino che ha fatto sapere che quello raccontato nel libro «è tutto vero». Al termine della telefonata con «la Lettura» aggiunge: «Scorsese, De Niro, Al Pacino, Joe Pesci, Zaillian hanno saputo cogliere la storia dell’Irlandese in modo perfetto».