La Lettura, 27 ottobre 2019
L’album realizzato dall’intelligenza artificiale
Nel 1968 in Do Androids Dream of Electric Sheep? (in Italia Il cacciatore di androidi) Philip K. Dick si chiedeva se le intelligenze artificiali a cui aveva dato il nome di «androidi» e che immaginava nascondersi tra gli esseri umani, avessero la necessità di dormire e sognassero pecore elettriche. Nel 2019, anno in cui è ambientato Blade Runner, il film di Ridley Scott del 1982 (in cui gli androidi diventano i più minacciosi «replicanti») tratto proprio dal noir di Philip K. Dick, la compositrice elettronica Holly Herndon ha dimostrato che possono imparare a fare musica.
Il progetto di Holly Herndon si chiama Proto ed è basato sull’interazione con un’intelligenza artificiale che ha assemblato insieme al suo compagno Mathew Dryhurst e al programmatore Jules LaPlace (grazie al finanziamento del programma BeBeethoven stanziato in Germania in occasione dei 250 anni della nascita del compositore tedesco). Le ha dato il nome di Spawn, cioè «prole»: «Spawn ha due anni e mezzo e impara attraverso tecniche di machine learning (il metodo di apprendimento automatico sviluppato per migliorare progressivamente la performance di un algoritmo). La prima voce che ha sentito e riprodotto è la mia, quindi mi piace pensare che sia un’intelligenza bambina. È ancora a un livello limitato, ma continua a crescere insieme a noi». Holly Herndon ha insegnato a Spawn a rielaborare il suono della voce secondo una formula logica ma non predeterminata, dando quindi alla macchina un ruolo di primo piano nella composizione creativa.
Spawn non sostituisce Holly. Canta insieme a lei: «Non è completamente imprevedibile come un essere umano, ma non ho neanche il controllo totale su di lei. La maggior parte delle volte sono sorpresa da quello che riesce a fare. Non imita, crea». Il risultato è un coro etereo e inquietante, una stratificazione di suoni algidi ma con un sottofondo sublime e malinconico che ricorda il paesaggio sonoro di Ghost in The Shell, il film di animazione giapponese firmato dallo studio di Mamoru Oshii nel 1995: «Cercare l’anima dentro la corazza del computer vuole dire sperimentare per creare qualcosa di emozionante. Spawn segue una logica che ha desunto dal suo processo di apprendimento. È molto diverso dalla musica fatta con gli algoritmi. Voglio un’intelligenza artificiale che sappia interagire con la bellezza».
Le possibilità di una macchina che impara da sé stessa sono potenzialmente infinite, la domanda è se esiste una linea da non oltrepassare: «Ci vorranno due anni per capire che cosa potrà fare Spawn. Il limite che mi sono data è non usare voci diverse dalla mia e da quelle dei miei collaboratori, per avere un sistema del tutto nuovo e autonomo. Le intelligenze artificiali in fondo non sono altro che raccolte di prodotti intellettuali umani». È un modo per rileggere il futuro del rapporto uomo-macchina in modo non distopico, ribaltando un tema narrativo di successo da Io, Robot di Isaac Asimov fino a Terminator. «Adoro la fantascienza perché fa un’analisi sociale del presente, ma il ruolo dell’artista è provare a riscrivere la narrazione consolidata di un tema», dice Herndon. «Il mio compito è immaginare un’alternativa». Una delle sue fonti di ispirazione è il saggio di Nick Srnicek, Platform Capitalism: «Con la condivisione dei dati personali e la cessione di ogni nostro gesto a multinazionali come Google e Facebook – si chiede l’artista – stiamo inconsapevolmente aiutando a sviluppare un’intelligenza artificiale invisibile che si allena in background?». Citando le «Zaibatsu», onnipresenti banche dati che dominano il mondo nel romanzo cyberpunk Il Neuromante di William Gibson, Holly Herndon dice: «La tecnologia non rappresenta un pericolo per l’uomo, la vera minaccia sono le multinazionali che la controllano».
Nata nel Tennessee nel 1980, cresciuta cantando in chiesa nella campagna di Johnson City, Holly Herndon oggi vive tra Berlino e San Francisco, ha un Master of Fine Arts in musica elettronica e supporti di registrazione al Mills College di Oakland e un dottorato al Center for Computer Research in Music and Acoustics della Stanford University e dal 2012 pubblica dischi per esplorare concetti filosofici del nostro tempo, cercando risposte ai problemi della società digitale e iperconnessa. Il primo album Movement era una riflessione sull’uso creativo del computer («Il laptop è lo strumento più intimo che esista» è una sua definizione diventata di culto), Platform del 2015 era incentrato sul tema della sorveglianza digitale e della privacy in cui sull’onda del «caso Snowden» Holly Herndon ha spiato la sua identità digitale filtrando i suoni prodotti dalla Rete attraverso il software di sorveglianza «Net Concrete» (creato da Mathew Dryhurst).
Proto è un modo per affrontare in modo critico l’era delle grandi piattaforme online e lo sviluppo dell’intelligenza artificiale: «La musica ha un ruolo importante nell’interpretare la realtà, la tecnologia è un elemento nuovo e ancora limitato della nostra esistenza su cui si può riflettere senza arrivare a conclusioni catastrofiche o ottimiste». La prima traccia di Proto si intitola Birth, nascita, la seconda Alienation, alienazione, la terza Canaan (Live Training) è il primo esercizio di apprendimento con la voce di Holly e delle coriste Evelyn Saylor e Annie Garlid, che Spawn ha usato come materiale di partenza per creazioni autonome, Eternal nasce dalla suggestione di un «romanticismo digitale» che ci porterà a creare versioni artificiali e quindi eterne delle nostre storie d’amore. Interessante è il modo in cui Holly Herndon presenta i suoi progetti di ricerca sonora e concettuale muovendosi tra istituzioni universitarie e club, pubblicando album ed esibendosi dal vivo: «Credo di esser troppo pop per il mondo accademico e troppo accademica per la cultura pop. La mia ricerca è extra musicale perché la musica è troppo lenta per stare al passo con le innovazioni, ma credo che esplorazione tecnologica e performance musicale possano alimentarsi in modo costruttivo. Sicuramente il pubblico non ha bisogno di leggere la mia tesi di dottorato per apprezzare la mia musica».
Sul palco Holly Herndon è accompagnata da cinque coriste che interagiscono con il suo laptop, creando un dialogo tra suoni digitali e movimenti e fisicità umane. Un nuovo modo di intendere l’interazione uomo-macchina che sarà possibile vedere al festival Club to Club giovedì 31 ottobre nella serata presentata da Red Bull alle Officine grandi riparazioni di Torino. «Le performance dal vivo sono un cavallo di Troia in cui posso nascondere idee e farle arrivare alle persone, ma la composizione musicale è anche un processo estremamente gioioso». Sviluppando la sua visione avanguardista della musica e le sue nozioni accademiche, Holly Herndon sembra avere tracciato una via per il futuro della creatività: usare le intelligenze artificiali come strumento per la composizione, oscillando tra umano e digitale per trovare, forse, un punto di equilibrio: «Ma il mio vero obiettivo – dice – è usare la tecnologia per rendere gli esseri umani più umani».