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 2019  ottobre 27 Domenica calendario

Storia del dominio, dagli schiavi in poi

Dominio degli uomini su altri uomini, degli uomini sugli animali; dei maschi sulle femmine; degli uomini sulle macchine e, nel gran finale aperto, dominio di noi sui robot o dei robot su di noi. Il dominio di alcuni e la sottomissione di altri è il motivo conduttore – ma di motivi ce ne sono tanti altri – della grandiosa sinfonia composta da Remo Bodei in questo libro a più piani in cui si analizzano il passato e la storia congiungendoli col nostro presente fugace e con il futuro dell’attesa, del timore, dell’imprevedibilità. Senza però che il sistema del dominio, in cui alcuni che detengono il potere comandano e altri sono comandati e sottomessi, diventi il modo «naturale» di pensare e agire degli umani che stanno insieme politicamente. 
Un Bodei quasi arendtiano dunque, che mi pare non condividere l’idea del vivere insieme in quanto inesorabilmente e necessariamente determinato dal modo in cui si domina, si esercita il potere, si governa. Tant’è che il filosofo mette in dubbio il dogma antropologico dell’impossibilità di uscire dall’aggressività congenita al genere umano, della Menschheit priva di Humanität sostenuta da Sigmund Freud, Elias Canetti e Konrad Lorenz, ma anche da Oriana Fallaci e James Hillman. Quello di Bodei è piuttosto uno sforzo di comprendere come sia (stato) possibile che esseri umani abbiano trasformato altri esseri umani in schiavi costretti a lavorare in condizioni disumane, o a far vivere lavoratori salariati in condizioni di quasi schiavitù.
Certo fu determinante il peso della visione aristotelica della schiavitù e della inferiorità naturale a influire sulle vicende di molti milioni di uomini e di donne, giacchè è nella natura delle cose che il superiore comandi l’inferiore (e poi si dice che la filosofia non conta niente). Ma fu anche il confronto filosofico, teologico e politico del ’500 spagnolo a riscattare gli indios dalla loro condizione di schiavitù, scrivendo il certificato di nascita delle moderne teorie dei diritti umani – nella lettura di Bodei che leggermente si discosta da chi attrabuisce la paternità di tali teorie alla reazione alle guerre di religione seguite in Europa alla Riforma luterana. In ogni caso i diritti umani sono qui presentati non come valori astratti dotati di un fondamento naturalistico (natura vult!) ma come esigenze e rivendicazioni storiche che finiscono alla fine per favorire tutti i membri della società.
Ancora Aristotele è il punto di partenza per introdurre il tema delle macchine e del loro funzionamento e la relazione con il lavoro umano di tipo schiavistico, spiega Bodei in questo testo che è ricostruzione e narrazione storica così come analisi concettuale, genealogia come costruzione. Se le macchine funzionassero da sole – scrive Aristotele nella Politica [I, 4, 1253b-1254a], e gli strumenti si muovessero in maniera automatica, non ci sarebbe bisogno di schiavi perchè strumenti e macchine diventerebbero i nostri schiavi. Già Cratete di Atene, comico della generazione precedente a quella di Aristofane, scrisse nelle Bestie che un giorno gli utensili si avvicineranno a noi al solo chiamarli, e il pane si impasterà da sè, il pesce si autoarrostirà sulla piastra, l’acquedotto porterà l’acqua calda e «il vasetto di sapone verrà da solo all’istante, così come la spugna e i sandali!» (p. 79).
Se poi i nuovi strumenti-schiavi si ribelleranno, dopo essere riusciti a sviluppare oltre all’intelligenza anche la volontà, è l’utopia/distopia con la quale ci troviamo oggi confrontati. Saranno le macchine, saranno i robot che, avendo assorbito intelligenza e volontà e non più coadiuvando bensì sostituendo l’essere umano, eserciteranno il dominio su di noi? Anche soltando sottraendoci le attività lavorative per consegnarci ai secoli di noia, del tempo liberato dal lavoro e della fine della storia, guidati e accuditi e deresponsabilizzati quali infanti.
E al tempo è dedicata l’ultima parte, come una conclusione del lavoro: in particolare alle sue tre classiche e fondamentali dimensioni, presente, passato e futuro, tutte da rispettare e comprendere dal momento che «la vista acquista maggiore pienezza solo se le tre dimensioni sono – per quanto è possibile – armonicamente intrecciate tra loro»..
Bodei propone di srotolare il passato mantenendone memoria, per ricongiungerlo al presente e proiettarlo sul futuro. Come se il tempo – il paragone è di un antico stoico – fosse una gomena le cui fibre formano una serie di intrecci non lineari che si avviluppano in una «succesione relativamente coerente pur nelle sue torsioni». Non può non venire in mente la fune di Wittgenstein che nelle Ricerche filosofiche [I, 67] descrive il formarsi di una «famiglia» di concetti (es. di numeri) atraverso le sue somiglianze, in virtù dell’intreccio di fibra su fibra: «La robustezza del filo non è data dal fatto che una fibra corre per tutta la sua lunghezza, ma dal sovrapporsi di molte fibre (…)Un qualcosa percorre tutto il filo, cioè l’ininterrotto sovrapporsi di queste fibre».
I fili della gomena di Bodei ritornano qui ma per diventare i rapporti con noi stessi e gli altri, che formano la nostra personalità, tanto più robusta «quanti più fili sarà riuscita a intrecciare e quanto meglio sarà stata capace di annodarli». Semplici esercizi di ricomposizione della mente e dell’animo, rivalutazioni del silenzio, del buio e della «vita semplice», di Diogene nella botte e di Greta nella barca. È lo svolgere il filo della continuità della vita di ciascuno, della navigatio vitae, dove è cosa saggia lanciare talvolta la gomena legata all’ancora per far ormeggiare il pensiero in pause di riflessione, affinchè ci si possa fermare ogni tanto a meditare sulla vita. E a pensare a come controllare le condizioni del dominio che rischiano di dimezzare il mondo in ricchi annoiati e poveri disperati e schiavizzati.