il Fatto Quotidiano, 27 ottobre 2019
Intervista a Iva Zanicchi
Più che l’aquila di Ligonchio, Iva Zanicchi sembra l’aquila dei quattro continenti: partita dal paesino emiliano, zitta zitta, cheta cheta, ha suonato in Unione Sovietica (“la prima italiana in assoluto”), in Iran davanti allo Scià (“E siamo scappati poco prima della rivoluzione”), in Sudamerica (“In Cile pure insieme alla Lollobrigida”) e al Madison Square Garden (“con la famiglia dei Gambino che alla fine mi ha regalato un rotolo di carta igienica”). Nel frattempo ha vinto tre Sanremo (“sempre con la tremarella”), venduto milioni di dischi, vissuto qualche amore (“fino a 26 anni vergine, eh”), scampato qualche assalto maschile (Alberto Sordi e Walter Chiari protagonisti), ha scoperto i grigi della politica (con Berlusconi); però nel “menu” oltre la musica, c’è una presenza costante, un richiamo atavico: il cibo (“Mi piace, è una colpa?”).
Il tutto è narrato in un’autobiografia sincera, Nata di luna buona, scritta da lei, non vezzosa, non artefatta, diretta, un po’ come del buon lambrusco abbinato allo gnocco fritto, da degustare con il sorriso sulle labbra e l’adeguata leggerezza nel rispetto della storia e della tradizione.
I suoi primi ricordi sono legati alla guerra.
Di quando mio padre è tornato dal campo di prigionia: ero piccola, ma ho nitida la sensazione di terrore e delusione quando l’ho rivisto.
Come mai?
Era alto 1.85 eppure pesava 40 chili, gli occhi infossati e vuoti, la pelle distrutta, non si reggeva in piedi e non parlava; io mi ero immaginata un genitore biondo, alto, forte e sorridente, e invece mi trovavo davanti a un essere distrutto. Per giorni rimase a letto, in posizione fetale, con mamma che lo accudiva, mentre io piangevo perché mi aveva tolto il posto nel lettone; giorni dopo venne da me e di nascosto mi allungò una cartina con dello zucchero, allora una rarità. Da quel momento è diventato il mio papà.
Pansa ha raccontato delle lotte partigiane nel triangolo emiliano.
La lotta con i tedeschi è stata terribile: un giorno le SS hanno piazzato al muro l’intero paese, me compresa; ma a volte abbiamo temuto pure alcune bande di presunti partigiani composte da ex carcerati di Modena, persone senza scrupoli, e uno di loro, nome di battaglia “Lupo”, era il peggiore.
Non è mai stata comunista.
In paese le donne votavano Dc perché altrimenti il prete le minacciava di scomunica, mentre gli uomini se ne fregavano e preferivano il Pci.
Suo padre socialdemocratico.
Una volta lo hanno convinto a candidarsi, lui certo di poter ottenere almeno quindici voti, e invece il giorno delle elezioni ne ha ottenuto solo uno. Il suo.
Neanche la moglie.
Tornò a casa avvelenato, e mamma: “Non voglio mica andare all’inferno per te”.
Cantava alle feste de l’Unità?
Credo di aver battuto tutti i record di presenza, e una sera ho convinto l’allora segretario della Cgil, Luciano Lama, a intonare con me Fiume amaro, però andavo pure alle feste dell’Amicizia e in un caso mi sono confusa.
In che senso?
Pensavo di stare in mezzo ai democristiani, e mi sono lanciata in un sentito Bianco fiore; all’improvviso ho sentito delle urla: ero a una festa de l’Unità. Quindi ho sorriso: “Era uno scherzo, sciocchi!”.
Però è andata in Unione Sovietica.
Prima di partire il prete del paese mi convoca: “Attenta, lì mangiano i bambini”.
Un classico.
Appena arrivata a Mosca chiedo di visitare la Piazza Rossa, e scatto una foto ad alcuni ragazzini paffutelli; al ritorno la mostro allo stesso prete: “Lo vede padre, ci sono e pure cicciottelli”. E lui: “Li ingrassano per avere più carne”.
In Urss veniva controllata?
Sempre, perennemente e comunque: in quelle settimane avevo delle persone con me, e una di loro, in teoria la più disponibile e tranquilla, l’ho ritrovata il giorno della partenza in aeroporto che mi apriva pure le creme del viso.
Lì si è innamorata.
Dopo un corteggiamento in stile Dottor Zivago, una sera mi decido e dico al tipo “ci vediamo in camera”, peccato che entro nella hall dell’albergo e trovo mio marito.
Altro viaggio: Iran.
Vissuto insieme a Lando Buzzanca, a quel tempo talmente famoso da non poter camminare per strada; alla fine di uno spettacolo vedo una delle nostre guide sputare sulla foto dello Scià.
Pericolosissimo.
E infatti stupita lo racconto ai nostri referenti: “Impossibile, sarai confusa”. Invece il giorno dopo assisto con altri alla medesima scena; lì ho capito che era il caso di tornare in Italia, e due mesi dopo è scoppiata la rivoluzione e Moira Orfei, ancora lì, perse il circo.
Nel libro parla spesso di cibo.
È una questione genetica, ci sono nata: a due mesi piangevo sempre, mamma disperata non capiva il motivo, fino a quando è arrivata una zia e ha preparato un pancotto con aglio e olio: mangiato tutto. Con me le diete non funzionano.
Di fame ha sofferto.
Quando sono andata via di casa e non volevo aiuti perché eravamo poveri: sono cresciuta con gli abiti dismessi dalle mie sorelle, il primo cappotto l’ho conquistato a 18 anni e ci nutrivamo dei “frutti” del bosco; ho mangiato talmente tanti porcini da diventare allergica.
Amiche nel mondo della musica?
Era complicato, lavoravamo veramente tanto, e ci ritrovavamo giusto agli appuntamenti comuni, come Sanremo.
Con Mina?
Altro livello, di lei potevi avvertire giusto la scia; nei primissimi anni Settanta la Rai aveva previsto un programma per me, lei era fuori dall’Italia; secondo Corrado Pani tornò appositamente per non lasciare spazio a un’altra cantante.
Ornella Vanoni.
Ho sempre subito il suo fascino, ma è complicato mantenerci un rapporto: una volta ti butta le braccia al collo, quella successiva neanche ti saluta; un giorno mi disse: “Tu a Sanremo porti canzoni brutte e vinci, io bellissime ma niente”.
Simpatica.
Durante un Sanremo, come forma di protezione, me l’hanno tenuta lontana.
Perché?
Soffrivo la ribalta, ogni volta mi agitavo, e lei apposta veniva nei camerini e magari mi smontava: “Questo vestito non è messo bene”.
Una delizia.
(scoppia a ridere) A una Canzonissima non si presenta alle prove, il regista incazzato decide di non dedicarle neanche un primo piano durante la diretta; finita la sua esibizione, per protesta, inizia a passare davanti alla telecamera, più e più volte e urla. Peccato che sul palco c’ero io, e dietro lo schermo venti milioni di spettatori.
L’aquila si agitava…
Tremavo! Ero timida e ansiosa; a un Sanremo, per tranquillizzarmi, il mio maestro tentò un’ardua strada: “Pensa ai ragazzi morti in Vietnam”. Scoppiai a piangere.
Soluzione?
Un’iniezione del medico.
Di cosa?
Mai saputo; però non ero l’unica agitata.
Chi altro?
Una sera ho trovato Domenico Modugno mentre dava delle testate al muro, quando mi ha vista si è giustificato: “È anche per queste emozioni se siamo qui”.
Nel 1967 era presente alla morte di Tenco.
Per me, allora, dovevano stoppare il Festival.
Impossibile.
Appena capii cosa era accaduto, iniziai a preparare i bagagli; una volta nella hall mi spiegarono che Claudio Villa e la commissione avevano deciso di proseguire.
Lei lo vinse.
Alla fine dell’esibizione ero sotto choc, altre lacrime, e non riuscivo a urlare quanto tutto fosse mostruoso; chi era intorno a me non capiva.
Quelli sono anni di contestazione: l’hanno mai fischiata?
Solo una sera a Torino: volavano pomodori e uova, io per fortuna solo sfiorata, altri non sono riusciti a salire sul palco; un’altra volta a momenti menavo.
Chi?
Dei manifestanti! Per la prima volta mia nonna arriva a Milano: la vado a prendere in auto e le davo sempre del “voi”. Poco dopo finiamo in mezzo al bordello, dei ragazzi ci circondano e prendono a mazzate la macchina, per loro lussuosa.
Marca?
Mercedes; allora scendo, mi si chiude il collo dalla rabbia, e grido di tutto; alla fine siamo passate, ma il giorno dopo ho annullato il concerto per assenza di voce (cambia tono). Una volta ho inseguito dei ladri con in mano la refurtiva di casa.
Spasimanti: Alberto Sordi.
Lì forse ho sbagliato.
A non cedere?
Temevo di rappresentare solo un trofeo: un amico comune ci aveva già provato, senza risultato.
Corteggiata a lungo.
Da Alberto? Abbastanza, poi l’ultima sera capisco che è “La” sera e mi agito, bevo troppo, tanto da sentirmi male e correre nel giardino per rimettere; torno in stanza e arriva la sua telefonata: “Ci vediamo?”, mi dice. “Va bene, vengo da te”.
E lì…
Neanche entro che mi salta addosso, prova a togliermi il vestito ma era una guaina: “Aspetta, vado in camera, mi spoglio e torno da te”. E invece poi ci ho ripensato; mesi dopo squilla il telefono, era Alberto: “Che te sei persa”, e giù una delle sue risate.
Stessa sorte per Walter Chiari.
Genio assoluto: i sei mesi di tournée con lui sono stati magnifici, ogni sera improvvisava, non ho mai più incontrato nessuno di quel livello.
E…
Mi diceva “dobbiamo andare a letto insieme” con la stessa enfasi di quando ordinava la cena: per lui era normale, scontato, ma non ci sono stata; un pomeriggio arriva sua madre, allarmata: “Resisti, fa sempre così, l’amicizia è più importante”.
Altro continente: il Sudamerica con la Lollobrigida.
Diva come nessun’altra: per raggiungere il Cile ci volevano più di 32 ore; io distrutta, temevo l’aereo quindi bevevo per stordirmi, e sono arrivata a buttarmi a terra pur di dormire. Lei no. La ricordo impegnata per due ore con la manicure, e una volta atterrati scese la scaletta perfettamente truccata, parrucca in ordine, vestito e tacchi intonati; non solo: saranno stati 40 e passa gradi eppure indossava una pelliccia di visone. A differenza sua io ero ancora distrutta.
Diventate amiche?
Solo di notte.
Che vuol dire?
Il giorno non considerava nessuno, poi a tarda sera bussava alla mia porta, entrava e raccontava in lacrime dei problemi personali, in particolare con il figlio; il giorno successivo mi trattava con fastidio.
Quindi?
Alla terza sera non le ho aperto, dentro di me le ho dedicato un bel “vaffanculo” e mi sono messa a dormire.
Beve ancora per volare?
I sei anni in Europa mi hanno abituata: non lo amo, ma volo.
Eletta con Forza Italia.
La politica è un ambiente difficile, molto peggio del mondo dello spettacolo.
Addirittura.
Partecipai a delle missioni in Africa per conto della commissione Sviluppo: al mio ritorno spiegai ai colleghi la situazione, e loro: “Abbiamo già tanti problemi in Italia”.
Primo incontro con Berlusconi.
Anni Ottanta mi convoca ad Arcore. Accetto. E mi presento in bicicletta, tanto abitavo e abito a 500 metri di distanza; entro nella villa, lui cordiale e affascinante, mi mostra le varie bellezze compreso il teatro con il pianoforte piazzato sul palco.
Ha cantato?
Non io, lui! E per mezz’ora il suo repertorio francese.
Ancora viaggi: Madison Square Garden a New York.
Ventimila spettatori; terminata l’esibizione si presentano i tre organizzatori: i signori Galate, Genovese e Gambino.
Cognomi “importanti”…
Appunto. Comunque entusiasti, e alla fine dello show un loro parente si presenta e mi consegna un pacchetto, per lui prezioso: “È per voi, lo dovete aprire in Italia con tutta la famiglia: è una cosa nuova che da voi non ci sta”. Era carta igienica. “Sembra fragile, ma potete utilizzarla tranquillamente”.
Il suo ultimo Sanremo non è stato felicissimo.
Direi pessimo: prima di salire sul palco, Paolo Bonolis e Roberto Benigni mi hanno insultata anche con allusioni sessuali; se me ne fossi accorta non avrei cantato.
Si sono scusati?
Benigni sì, ha chiesto perdono: “Ho sentito le risate e mi è scappata la mano”; Bonolis mai pervenuto.
Alla fine, chi è lei?
Una donna nata in tempi duri, che ha lottato e avuto la fortuna di soddisfare molte delle sue curiosità. Non tutte. Solo molte.