Libero, 27 ottobre 2019
Rosalba, la prima donna italiana che divenne uomo
L’intervista che Vittorio Feltri realizzò oltre trent’anni fa alla prima donna italiana diventata uomo.
La notizia ha fatto scalpore, troppo. E lui (lei, per l’anagrafe, momentaneamente) è stato colto impreparato. Ha sbagliato qualche mossa, per pura ingenuità, ed è stato travolto dalla inattesa sgradita popolarità. Ripreso dal telegiornale, inseguito da nugoli di fotografi e giornalisti, a un certo punto ha preferito nascondersi: non ce la faceva più. Adesso riposa e riflette in una casa in collina ai margini della città, dove nessuno teoricamente sarebbe in grado di scovarlo. Dico teoricamente, perché con l’intercessione di un amico – lo preciso perché non si pensi che voglio darmi arie da Sherlock Holmes – l’ho rintracciato. Mi riferisco a Gabriele. Chi è? È più complicato a dirsi che nella sostanza.
Gabriele è Rosalba Anderini, 33 anni, sposata e separata, madre di un ragazzo e di una ragazzina. Il suo matrimonio è durato una decina di anni, lo ha rotto perché non se la sentiva più di recitare la parte della donna, ma desiderava apparire quello che da sempre sapeva di essere: un uomo. Ha buttato gli abiti femminile ha indossato giacca e pantaloni, camicia e cravatta.
Fin qui, niente di fenomenale. Ma ha chiesto di più: l’autorizzazione a cambiare ufficialmente sesso, in modo che possa riposarsi, e stavolta (ovviamente) con una signorina. Si è rivolto all’avvocato Mario Mariano di Assisi (l’ex direttore del carcere di Spoleto) e la domanda, corredata di perizie psichiatriche e psicologiche, è stata presentata al tribunale nello scorso ottobre.
Nel giro di due mesi – a tempo di record – la risposta: sì, Rosalba può diventare Gabriele, ne ha diritto perché la sua personalità, e non solo quella, è fortemente maschile. Ma a una condizione: che si faccia operare, talché anche morfologicamente vi sia un adeguamento. Insomma, contrariamente a quanto è stato scritto, questa storia non si è conclusa con la sentenza della magistratura perugina, ma è all’inizio. E gli sviluppi si prevedono disseminati di ostacoli ancor maggiori di quelli – inimmaginabili – che il protagonista ha fin qui superato, a partire dall’infanzia. Lui preferisce discorrere del presente e del futuro, ma un cenno ai trascorsi – che peraltro risultano negli atti pubblici del tribunale – è indispensabile per capire subito che la vicenda non ha nulla di boccaccesco, non suscita affatto ilarità, semmai amarezza e – perché no – simpatia per la persona che è riuscita a viverla con coerenza.
Dunque, Gabriele – che però allora era Rosalba – non nasce in una famiglia fortunata. Il padre se ne va di casa su sollecitazione della moglie, che lo ha scoperto con un’altra donna. E per la figlia è un colpo. «Lui – ricorda – era comprensivo: aveva desiderato un maschio e tale mi considerava. Mi regalava giocattoli da ragazzo, ero a mio agio». A quattordici anni, quando aveva intuito che la gonnella, e ciò che comportava, non le si addiceva, saluta la mamma e sceglie l’indipendenza. Per mantenersi accetta qualsiasi lavoro. Intanto studia, magistrali. E il diploma le consente un’occupazione decente, assistente in un istituto. Non è affascinata dai giovanotti e ha così la prova della sua diversità che le provoca crisi ai limiti della disperazione; successivamente si innamora di una sua insegnante e soffoca i sentimenti, spaventata.
Ha l’impressione di impazzire. Dopo essersi iscritta all’università – sociologia – tenta la carta del matrimonio nell’illusione di correggere le proprie tendenze. Ma il mènage a due è disastroso. Dice: «Subivo, mi imponevo un comportamento da moglie, ci mettevo buona volontà, però gli effetti erano l’opposto dei proponimenti. Un inferno. Eppure ho avuto un bambino ed una bambina: avevo puntato molto su di loro, ma la maternità anziché incrementare la parte femminile deficitaria, accentuò l’istinto maschile. Oggi, che ho fatto chiarezza, finalmente amo i figli; allora, inconsapevolmente, li ritenevo responsabili dei miei turbamenti e non riuscivo a dar loro niente».
Il marito, uomo semplice, non comprendeva. Con la moglie, che nel frattempo si era laureata, non c’era la minima intesa. Negli ultimi tempi era venuta meno anche la conversazione. In casa dominava il nervosismo, i giorni erano malinconici. Quattro anni fa, la famiglia si sfascia. I ragazzi (ora hanno 10 e 7 anni) vanno ospiti dalla madre di lui; lei, formalizzata la separazione, non ha esitazioni: si trasforma in giovanotto. La metamorfosi rasenta la perfezione ed è più apprezzabile dal vivo che in televisione.
È Gabriele che mi riceve all’uscio della villetta-rifugio. Sotto l’abatjour, in salotto, lo osservo meglio: le guance hanno un velo di barba soffice, come quella degli adolescenti; zigomi sporgenti, voce bassa addolcita dall’accento umbro, capelli neri e fitti; le dita secche, che giocherellano con la sigaretta, hanno unghie rosicchiate. È teso, ma sorride quando mi presenta la fidanzata: Laura, bella ragazza di 28 anni, dottoressa in psicologia.
Signor Gabriele prima compare sul teleschermo e poi si nasconde: perché?
«Abbia pazienza, e si metta nei miei panni: non immaginavo che la sentenza interessasse tanto. Sono stato preso alla sprovvista: ai trafiletti sui giornali locali è seguita una burrasca. A un dato momento ho ritenuto che un po’ di pubblicità servisse a sdrammatizzare la questione dei transessuali che, le assicuro, fanno una vita grama. Adesso però si esagera. E almeno ci fosse qualcuno disposto a darmi una mano. Macché, mi cercano per fotografarmi come se fossi un’attrazione da baraccone. Ci speculano su. La gente sarà convinta che mi sia fatto pagare, invece, non ho riscosso una lira. Col bisogno che ho».
Quale?
«Crede che noi si navighi nell’oro? Ho due figli da crescere, sono io che provvedo, dato che il padre… lasciamo perdere».
Lei lavora. Non basta?
«Basterebbe se avessi un impiego fisso. Ma nella mia condizione chi mi assume in pianta stabile? Faccio il rappresentante, un’attività quasi autonoma. Ma se la ditta scoprisse, e figuriamoci se con questo can can non lo ha scoperto, chi sono, ti saluto. È sempre accaduto. Accadrà ancora».
Licenziamento?
«Sicuro. Tutti buoni a essere democratici di routine, ma non appena sorge un problema nuovo, scattano le molle del rifiuto. Perugia è piccola, e il pettegolezzo prospera. Costituisco una grana perché non sono uguale agli altri».
Il tribunale, però ha riconosciuto legittime le sue aspirazioni.
«D’accordo, ma rimane l’operazione».
In cosa consiste?
«Le fasi sono due. Una per distruggere e una per ricostruire. Si tratta cioè di eliminare alcune caratteristiche che, nonostante le apparenze, sono femminili. Successivamente, occorrerà il resto».
A chi si rivolgerà?
«L’intervento preliminare lo sanno eseguire anche in Italia, ma costa cinque o sei milioni. E dove li piglio? Se avessi un posto fisso potrei fare un debito, mi impegnerei a saldarlo. Ma così, chi mi fa credito?».
Il primo intervento si può fare qui, e il secondo?
«In Francia, pare. Ma è inutile che mi informi se mi mancano i mezzi».
Non teme che il bisturi comprometta la sua sessualità, togliendo senza aggiungere?
«No. Un equilibrio l’ho raggiunto, Laura è eterosessuale e io non sono mai stato omosessuale, ma un uomo in ogni senso. La nostra unione è naturale, soddisfacente. Non pretendiamo miracoli, ma solo una carta bollata, che ci permetta di condurre un’esistenza tranquilla».
I vostri genitori come l’hanno presa?
«Mio padre è morto. Mia madre sopporta, non ci frequentiamo molto. Quelli di Laura sono evoluti; certo agli inizi sono stati dolori, poi mi hanno accolto bene e li ringrazio».
Come vi siete conosciuti, lei e la sua compagna?
«In una tv privata. Mi intervistò per delle poesie che avevo composto. Nacque un’amicizia e qualcosa di più, spontaneamente, come avviene sempre tra un uomo e una donna. Le dissi che ero innamorato e ne fu turbata, seguì un periodo di approfondimento, quindi mi ricambiò. Non eccitatevi troppo la fantasia: un fidanzamento qualunque che è sfociato nella convivenza».
E la gente?
«Questo è il punto. Hanno lanciato sassi alle nostre finestre, danneggiato la cassetta della posta, ci guardano male. È il lato più triste».
Con i suoi figli come sono i rapporti?
«Migliorati. Un giorno la settimana stiamo insieme, non ci nascondiamo niente».
Non sono scioccati?
«Hanno serenità, gliela leggo negli occhi. Ma provvederà l’ambiente a fargliela perdere».
A scuola, coi compagni, sono a disagio?
«Spero di no, ma non giurerei che li lasceranno in pace. I seminatori di cattiveria sono instancabili».
Perdoni, signor Gabriele, forse non è importante, ma i suoi bambini come la chiamano: mamma?
«Non è davvero importante, conta più il bene o la definizione?».
Cos’altro le preme?
«Smettere di dare spettacolo, io e tutti i transessuali. Siamo persone regolari, abbiamo bisogno di tutela, non di riflettori».
Dipende anche da voi rifiutare il palcoscenico.
«Gli spettatori ci trascinano alla ribalta e noi non abbiamo difese. Laura e io stiamo preparando un libro biografico, racconteremo ogni dettaglio. E allora intenderete».