Il Messaggero, 27 ottobre 2019
Biografia di Riki raccontata da lui stesso
Bello, muscoloso, nato per il palco. Nel 2017 partecipa ad Amici di Maria De Filippi e arriva primo nella categoria cantanti. Quell’anno è il musicista italiano che vende più dischi fisici, 300 mila, secondo solo a Ed Sheeran. Decine di migliaia di ragazze fanno la fila per un autografo, sui social è seguito da milioni. A fine 2018, però, succede qualcosa: il quadro perfetto, acqua, sapone e tutto il resto, cade e Riki, all’anagrafe di Segrate Riccardo Marcuzzo, sparisce: dall’Italia, prima, andando in tour in Sud America e poi dal web, rimpiazzato da esperimenti social tra cui un sosia, canzoni fake, copertine finte. L’altra sera Riki è ricomparso a Porta Romana di Milano: da un mese c’era un cartellone gigante con la sua foto e la scritta Bimbominkia, l’insulto preferito del web. Il cartellone ce l’aveva messo lui, e aspettava la notte giusta per salire sopra una gru e, assieme agli street artist Orticanoodles, ridisegnarlo completamente, cancellando la scritta e offrendo ai suoi fan, dal vivo e digitali, la sua nuova immagine. Che, infatti, in questi giorni sta rimbalzando dappertutto.
Redenzione o strategia?
«Sono un ragazzo pensante. Ero stufo che l’idea che si erano fatti di me precedesse il giudizio sulla mia musica. Che la mia immagine precedesse le mie canzoni. Io voglio cantare, e ora sono un cantante diverso da quello di Amici, quindi volevo resettare, e allo stesso tempo lanciare dei messaggi provocatori».
Perché farlo su internet e non altrove? Cosa le offre la rete?
«Il web mi aiuta a raccontarmi esattamente come voglio, in tv non si può fare, o almeno non più. I mondi della tv e di internet si stanno spaccando, allontanando sempre più. Io voglio fare una cosa che mi appassioni e voglio rimettere al centro la musica, e uccidere il mio contorno».
È un contorno che nasce, almeno di riflesso, proprio sul web, e che fin ora le ha dato tanta fortuna. È un controsenso?
«Non ne faccio una questione di numeri o di like. Non voglio nemmeno sembrare un pazzo visionario. È come quando una grande azienda cambia il logo, all’inizio a tutti commentano dicendo che fa schifo, poi se il cambio è stato davvero giusto le persone, nel mondo reale, iniziano ad apprezzare».
Le è caduta una mela in testa e ha capito che sarebbe dovuto ripartire così? O la metamorfosi digitale è stata graduale?
«Ci pensavo già dopo Amici, ma se l’avessi fatto all’epoca non sarei stato per niente credibile. Già ora dicono che sono manipolato, ma sono pensieri che ho da due anni almeno, ho due antennine sempre accese e mi faccio mille domande. Così mi è venuto in mente di ricominciare a capitoli: prima ho cancellato tutto da Instagram, poi ho fatto apparire un sosia, poi ho pubblicato una finta cover e una finta canzone, per scatenare reazioni».
Non è una strategia tutta studiata a tavolino, anzi, a desktop?
«L’idea è mia. Ho studiato design e continuo a occuparmi di tutto ciò che è grafica, dalla fake cover con Valentina Nappi ai poster, ai caratteri da usare nelle scritte. Quando ho deciso questa operazione ne ho parlato con Francesco Facchinetti, il mio manager, e Matteo Maffucci (cantante degli Zero Assoluto, ora anche super guru di artisti pop, ndr), che mi hanno aiutato a metterla in pratica».
Rinnega Amici?
«Assolutamente no. Il progetto era perfetto: Maria De Filippi ha capito che il modo giusto per presentarci è mostrare un percorso di crescita, così da poter assorbire gradualmente cambiamenti e critiche».
Poi è uscito il vero nuovo singolo, Gossip. Si canticchia, ma nasconde critiche alla società dell’apparire sui social. Di nuovo una contraddizione?
«Non voglio abbia un genere, né un preciso messaggio. A seconda di come o chi la canta cambia significato, viene capita più in profondità. Chi non vive spia, dico in un verso, e intendo che i social sono sempre più parte di noi. È grave che i giovani ci passino così tanto tempo, perché poi si cerca di sfondare lì, si va in discoteca e si cerca quello con la bottiglia più grande per farsi un selfie. Ecco perché ora voglio esasperare con i miei profili online questi comportamenti».
È nato in tv, ora parla solo di web. Il piccolo schermo non vale più?
«La tv sta cambiando molto, così come il web. Ora i due pubblici non si incontrano più, i due mondi si stanno spaccando. Non farei più tv invasiva come facevo due anni fa, ora il web guarda con ironia quei fenomeni, ma da qui a dire che non farei più tv sarei ipocrita e non potrei permettermelo. Faccio però le apparizioni che voglio io, così come gli eventi, pochi, e zero discoteche».
A Sanremo?
«Può essere. Vediamo».
È troppo bello e privilegiato per essere credibile? In fondo, Leonardo Di Caprio per essere preso sul serio ha dovuto recitare parti da obeso, brutto, cattivo.
«Lo chiamo pregiudizio invidioso, e sì, me lo trascino dietro, come un’arma a doppio taglio. Nella musica è successo a Justin Bieber, a Ricky Martin, ai Take That. Ma non voglio smettere di tenermi in forma: quindi continuerò con i muscoli e non mi farò crescere la barba».
Uno dei passaggi del suo ritorno è quello di Rovinami: poster su cui invitava chi la odiava a scrivere insulti. Che rapporto ha con gli hater?
«Quel capitolo voleva portare alla luce chi odia su internet. Per disarmarli così. Mi hanno scritto di tutto, ma voglio dire che alcune cose che dicono non sono insulti, né possono ancora esserlo nel 2019. Un esempio: frocio non è un insulto, voglio dirlo forte e chiaro. Ma è successo anche che sul poster i fan hanno scritto messaggi d’amore. E poi, inaspettatamente, le persone disegnavano anche online, con i telefonini, bellissimo. Ora vorrei fare delle cartoline da vendere e devolvere il ricavato ad associazioni anti-bullismo».
Il primo ricordo musicale?
«Avevo sette anni, ero al mare con i miei, mi ero fatto male a un piede, così dovevo tenere un calzino. Cantavo Una calza sì, una calza no ed era diventata una sorta di hit estiva dello stabilimento. Non ho le prove, ma tutti la canticchiavano quell’anno».
Il primo album?
«Me l’ha regalato mia mamma per la comunione: un greatest hits di Lucio Battisti. Ho capito che volevo scrivere canzoni, dicevo: Da grande voglio fare il cantautore. O l’astronauta».
Ora è diventato un idolo. Che consigli dai a chi la segue e vorrebbe fare il tuo percorso?
«Non dico di essere se stessi, è troppo banale, ma sinceri. Che è diverso. E poi avere sempre due antennine accese, cogliere tutte le informazioni attorno a sé».
Cosa ci dobbiamo aspettare ora?
«Nelle prossime settimane mi concentrerò su questo, e mi darò una calmata con gli esperimenti social, sgonfiando e diluendo tutto. Non bisogna esagerare. E farò uscire il disco a tappe, un singolo alla volta. Farò dei tour negli store, anche se non c’è nulla da vendere».
La strategia web ha ucciso anche il senso di un album?
«No, il contratto del disco è con Sony ed è d’accordo con noi. Arriverà al momento giusto: uscire in un colpo solo farebbe morire il progetto subito. Ora puntiamo su una playlist, come fanno negli Stati Uniti. Perché la mia non sarà musica qualunque, non voglio fare canzoni da sottofondo».