La Stampa, 27 ottobre 2019
Intervista al gallerista Larry Gagosian
Larry Gagosian, ha mai pensato che sarebbe diventato un uomo internazionale con 17 gallerie d’arte sparse in tutto il mondo?
«Non ero affatto sicuro che sarei diventato qualcosa. Di qualsiasi genere».
Era un bambino ambizioso?
«Avevo molta energia, mi piaceva lo sport e avevo sempre qualcosa da fare. Per me l’ambizione è energia con uno scopo. Allora c’era l’energia, ma non c’era uno scopo».
Ha partecipato alla rivoluzione del ’68 e si è unito al movimento hippy?
«Come studente all’Ucla, simpatizzavo con chi si opponeva alla guerra del Vietnam. Fortunatamente non sono stato arruolato, non so perché».
Cosa ha fatto dopo l’Ucla?
«Mi sono laureato in letteratura e ho trovato un lavoro mal pagato ma interessante con la William Morris Agency. Non era il mio futuro diventare agente e me ne andai, ma senza altre alternative. Non sarei mai diventato un avvocato o un medico, un uomo d’affari. Lavoravo come addetto al parcheggio per fare un po’ di soldi quando ho visto qualcuno vendere poster. Ho copiato l’idea e ho iniziato a vendere poster sul marciapiede».
Era un buon venditore?
«Mi piaceva parlare con i clienti, concludere la vendita e mettermi i soldi in tasca. Ho iniziato a vendere poster più costosi, per guadagnare di più. In quel momento ho iniziato a diventare ambizioso e ho iniziato a guardare all’arte in modo diverso. Ho visto che aveva un valore commerciale, non solo estetico».
Come si è formato?
«La mia famiglia non mi ha mai portato in una galleria o in un museo. È scattato qualcosa. Ero un amante dell’arte inconsapevole».
Chi è stato il primo artista che ha seguito?
«Ho organizzato la prima mostra nel 1977, erano litografie di Vija Celmins».
Come ha capito che New York era la città giusta per lei?
«Facile, c’era una grande industria artistica».
Ed è diventato subito amico del rinomato mercante d’arte Leo Castelli?
«Sono stato fortunato. Ero interessato al fotografo Ralph Gibson. L’ho chiamato e gli ho chiesto se poteva darmi delle fotografie da vendere, e lui ha detto: "ok, ma devi venire nel mio studio". Sono andato a trovarlo e quello è stato il mio primo viaggio a New York. Era rappresentato da Leo Castelli».
E lei è diventato il suo successore?
«Successore non direi, ma amico sì. Quando Leo si rese conto che ci sapevo fare mi diede accesso al suo inventario e agli studi dei suoi artisti. Attraverso di lui ho conosciuto Lichtenstein e Jasper Johns. Associarmi con lui mi ha dato credibilità».
Ha conosciuto Andy Warhol?
«Sono diventato buon amico di Warhol. Mi affidava i suoi quadri da vendere. Abbiamo fatto una mostra insieme. È stato fantastico. Mi avvicinai anche molto a Jean-Michel Basquiat, che finì per vivere con me nella stessa casa a Venice Beach, in California. Nel ’79 mi trovavo ancora a Los Angeles».
Quando ha aperto una galleria a New York?
«Quando ero a New York vendevo quadri nel mio loft in un edificio residenziale di fronte a Leo Castelli a West Broadway. Non stavo cercando una galleria ma l’ho trovata a Chelsea, in 23rd Street, appena fuori dalla 10th Avenue, quando un mio amico mi ha portato a visitare un edificio di proprietà di Sandro Chia. . La prima mostra che ho fatto lì esponeva i capolavori dell’incredibile collezione Pop Art di Burton ed Emily Tremaine».
Conosceva già il collezionista Charles Saatchi?
«L’ho incontrato intorno al ’79 e poi è diventato un mio buon amico».
Come ha conosciuto il collezionista S.I. Newhouse?
«Attraverso Leo. Un giorno stavamo attraversando West Broadway, quando Leo si ferma letteralmente in mezzo alla strada e stringe la mano a questo ragazzo che sembrava non possedere nemmeno cinque dollari. Chiesi a Leo: chi fosse. Mi ha detto: quello è Si Newhouse. Può permettersi di comprare qualsiasi quadro voglia. Gli ho chiesto: "mi presenteresti?". Ha detto: "certo". Ho chiamato Newhouse il giorno dopo e sono andato a trovarlo nella sua bellissima casa sulla 70esima strada. Ho fatto molti affari con lui».
Qual è il suo lavoro?
«Se qualcuno vuole un certo dipinto provo a trovarlo». .
Il mercato è cambiato da quando ha iniziato?
«I prezzi sono molto, molto più alti. Girano parecchi soldi, ma alle persone che investono piace davvero molto l’arte. Non sono cinico sulle motivazioni, c’è una certa passione. C’è anche l’orgoglio della proprietà. E c’è anche l’investimento, perché la buona arte ha dimostrato di essere - da tempo - uno dei migliori. Ma se ti piace l’arte, anche se il prezzo scende, hai ancora l’arte».