La Stampa, 27 ottobre 2019
La lotta all’evasione è una battuta
Il primo fu il dentista. Era un signore elegante e profumato, anche se per tutto il tempo che mi ha curato ha sbagliato il mio nome, continuando a chiamarmi Raffaele. Aveva ereditato lo studio dal padre e manifestava una idiosincrasia per i comunisti, cosa che a Bologna, negli Anni Sessanta, poteva dare disturbi frequenti: soffrì quando la figlia battezzò il primo nipote Enrico, come Berlinguer, sebbene non ispirandosi a lui. Terminati gli interventi, si sedeva alla scrivania per il temuto momento del conto. Anche mia madre si sedeva, di fronte, trepidante. Il dottore sorrideva largo e proponeva un’alternativa: cento con la fattura, settanta senza. Sapeva bene quale sarebbe stata la scelta. Mia madre estraeva dalla borsa i contanti, quasi il suo stipendio di un mese per il lavoro in ospedale, e saldava con gratitudine, certa di avere ricevuto un trattamento di favore da una persona non solo istruita, ma anche generosa. Ce ne uscivamo in una bolla di allegria che mi contagiava: per lenire il dolore residuo mi era concesso un gelato e per distrarmi un albo di Topolino. In quei momenti mia madre mi ricordava quella dei Giardini di marzo di Lucio Battisti, ancora adesso rivedo i suoi vestiti e la sento dire: «Trovarne, dentisti così!». Forse lo pensava anche la Guardia di Finanza, ma io non potevo che annuire, ammirato e soddisfatto. Per me gli evasori erano Gambadilegno e Macchia Nera, in fuga con la palla al piede.
Il film di Totò e Fabrizi
Poi ci fu il signor Gavazzi, vicino di casa, un factotum. Sapeva fare tutto: elettricista, imbianchino, falegname, perfino meccanico. Qualsiasi cosa si rompesse nel quartiere, qualunque ristrutturazione fosse necessaria in un appartamento, con la sola esclusione della terapia di coppia, ci si poteva rivolgere a lui. Riparava, risistemava, fatture non rilasciava. Era molto ammirato per la sua abilità e per la scaltrezza con la quale si diceva stesse accumulando un piccolo patrimonio. Si vociferava della proprietà di un attico a Milano Marittima. Il signor Gavazzi aveva un avversario: la Vanoni. Ci misi tempo a capire che si trattava di una tassa, confuso dalle battute dei comici televisivi sull’omonimia con la cantante, diventate ancor più scontate quando si passò all’Iva. La cosa curiosa era che tutti, proprio tutti, nella sfida tra il signor Gavazzi e le tasse, facessero il tifo per il primo, sperando che riuscisse a evitarle. Il seme dell’invidia non fruttificava se la fortuna altrui cresceva ai danni del comune nemico: lo Stato. Passò all’epoca in televisione un film del 1959 intitolato I tartassati con Totò nei panni del cavalier Pezzella, commerciante, e Aldo Fabrizi in quelli del maresciallo Topponi, finanziere. In una collettiva visione condominiale non ci fu uno che non sostenesse la presunta vittima del fisco e già dal casting si intuiva che lo facevano pure gli autori, tirando il freno nel finale moralista.
Non siamo stati educati a pane e tasse, ci hanno tramandato piuttosto un’allergia per le seconde e una poco celata ammirazione per chi le evita. Non so come sperino di farci cambiare atteggiamento ora. Non ha torto Piercamillo Davigo quando dice in tv che ci si indigna per un borseggiatore, ma non per chi froda il fisco. Ai tempi dell’università vagliai con il professore di diritto penale argomenti per la tesi di laurea. Mi interessava la criminalità «alta» quella dei colletti bianchi o ancora più su, i reati tributari o societari. Sembrava perplesso. Disse: «È una materia scivolosa, nel senso che scivola dentro e fuori dal penale, per un po’ sono reati, poi diventano illeciti amministrativi, dipende...».
«Da che cosa?», gli domandai.
Rispose: «Essenzialmente da chi ha il potere, da chi governa, puoi seguire facilmente la traccia storica e incasellare di conseguenza. Pendolo a destra: illeciti amministrativi. Pendolo a sinistra: illeciti penali. Probabilmente è uno dei motivi per cui il potere poi si sposta nuovamente: a nessuno piace la severità fiscale, anche chi non ha da evadere preferisce pagare meno chi gli fornisce servizi, facendolo in nero». Finii per fare la tesi proprio su questo, su quel pendolo che di lì a poco avrebbe oscillato anche in Italia e ora torna a muoversi.
Quei "fanatici" di Collobbiano
Invece di una professione legata alla giurisprudenza ho poi scelto di fare il giornalista. Uno dei servizi ricorrenti come le stagioni, al tempo in cui il canone Rai non era ineludibile, era un reportage nel paese che aveva il record di pagamenti effettuati essendo, quello di evitarlo, uno sport nazionale. A me toccò la provincia di Ferrara, che arrivava all’85%, ma anni più tardi il Sole 24 Ore scoprì un luogo dove si raggiungeva il 100%, Collobbiano in provincia di Vercelli.
L’inviato che lo visitò scrisse: «Sarebbe da studiare e capire perché in questa manciata di case sparse attorno alla provinciale, tra agricoltori che iniziano a mietere il riso e cacciatori che infilano il fucile nella rastrelliera del bar prima del caffè, l’evasione sia un fatto ignoto». In sostanza un luogo bucolico, ma minaccioso, affetto da una psicosi. «Cosa vuole», concludeva sospirando la titolare dell’unico negozio, emettendo ineludibili scontrini, «siamo fatti così. Il dovere è dovere, me l’ha insegnato mio padre».
I diversi appaiono e si sentono loro, quelli che pagano tutto e subito, saldando i conti di bollette e cartelle esattoriali il giorno dopo averle ricevute, senza rateazioni. È alla fine davvero una questione di insegnamenti del padre, di cultura condivisa o non pervenuta. La tracciabilità delle transazioni, che riduce le possibilità d’evasione, è un fatto di costume. Negli Stati Uniti catene di negozi hanno abolito il contante e chi lo estrae viene guardato come un reperto d’epoca. In Egitto le banconote sono le più consunte al mondo perché passano per milioni di mani prima del macero, pressoché monopoliste nella regolazione degli scambi. In Italia il pos, il terminale di pagamento elettronico, che presto verrà reso obbligatorio, si vede, ma non c’è. Quante volte vi sarà capitato di sentirvi dire: «Abbia pazienza, oggi non mi funziona». Domani sì. Sono certo che il percorso che ho descritto vi sia familiare, che anche a voi sia capitato un dentista generoso o un tassista col pos rotto o che abbiate sorriso dei fanatici di Collobbiano. Proprio per questo la caccia agli evasori è spesso una battuta. —