La Stampa, 27 ottobre 2019
Sempre meno italiani vanno a messa
VANITYX
Nel 2018 le persone che non si recano mai in un luogo di culto hanno superato quelle che ci vanno regolarmente. E’ la prima volta che succede nel nostro Paese ed è il segnale che qualcosa sta cambiando profondamente nel rapporto tra cittadini e religione. Sono i dati Istat a mostrarlo.
Ormai solo un quarto della popolazione si reca in un luogo di culto almeno una volta a settimana, nel 2001 più di un terzo. La diminuzione della pratica religiosa è iniziata già da molti anni. Ma mentre in una prima fase, a partire dagli anni ’90, si era accompagnata a un aumento della saltuarietà della pratica, dal 2005 comincia a crescere la quota di cittadini che non si recano mai in un luogo di culto: erano il 15,9% nel 2001 e diventano il 25,9% nel 2018.
Le donne, il vero pilastro tradizionale della pratica regolare religiosa nel nostro Paese, sono alla testa di questo cambiamento, sono quelle che abbandonano di più la pratica. Continuano a recarsi in un luogo di culto più degli uomini, ma raddoppiano quelle che non vi si recano mai e diminuiscono di un terzo le praticanti regolari. Un vero capovolgimento.
Nel 2001 le praticanti regolari erano molte di più di quelle che non si recavano mai in un luogo di culto, (44,2% contro 11,8%). Oggi al contrario le 20-24enni che abbandonano la pratica sono il triplo delle regolari, e più del doppio le 18-19enni e le donne da 25 a 34 anni. Il cambiamento avviene soprattutto tra le giovani. Ma le donne di tutto il Paese ne sono coinvolte anche quelle residenti nel Mezzogiorno
Il processo di secolarizzazione in atto è un fenomeno trasversale, riguarda con intensità diverse tutte le zone del Paese, uomini e donne, giovani, adulti e anziani.
Grandi sono le differenze territoriali. I livelli più alti di pratica si raggiungono nelle regioni del Sud ed in particolare, nell’ordine, in Calabria, Puglia, Campania, Sicilia. Ma è molto interessante analizzare che cosa è successo in Veneto. Questa regione si collocava al terzo posto per livelli di pratica religiosa nel 2001, ma è tracollata negli anni seguenti, perdendo ben il 45% dei praticanti regolari.
Interessante anche il caso della Sardegna che si distacca dal resto del Sud e presenta una pratica regolare molto più bassa e soprattutto una percentuale di assenza di pratica tra le più alte in Italia (30,4%) insieme a Toscana,Emilia Romagna, Liguria e Val d’Aosta.
Il comportamento religioso varia con l’età. Al primo posto tra i praticanti regolari si collocano i giovanissimi da 6 a 13 anni con il 46,4% , seguiti, ma a distanza di 10 punti dagli anziani. All’aumentare dell’età diminuisce la pratica religiosa, raggiungendo il minimo tra 20 e 24 anni, per poi ricrescere fino alle età anziane. Anche il calo dei giovanissimi è elevato, del 30% tra i praticanti regolari, nel 2001 erano il 64,8%. E’ anche l’effetto della minore importanza che la generazione dei loro genitori ha dato all’educazione religiosa dei figli. La trasmissione intergenerazionale della religiosità sta agendo all’inverso del passato, quando la maggioranza dei genitori indirizzava i figli verso livelli alti di pratica regolare. Interessante anche la situazione degli anziani. I praticanti regolari diminuiscono del 30%. E non dobbiamo meravigliarci. Stanno arrivando alle età anziane generazioni che hanno vissuto esperienze di vita differenti, che sono più istruite, soprattutto le donne, che hanno partecipato ai movimenti degli Anni 70 e quindi non possono che risentire di quelle esperienze di vita culturale nel rapporto con la religione.
Le classi di età che più sono interessate dalla diminuzione della pratica religiosa sono quelle da 18 a 34 anni, che hanno dimezzato i livelli di pratica regolare. E tra 20 e 44 anni, la quota di chi non si reca mai in un luogo di culto supera addirittura il 40%, con livelli più che doppi rispetto al 2001 e mai raggiunti.
Le tendenze italiane sono in linea con quelle dei Paesi europei, sulla strada della secolarizzazione, caratteristica delle società moderne ed occidentali. Tale processo si sta diffondendo e consolidando anno dopo anno, non all’improvviso.
Resta da approfondire se la decrescita della coscienza religiosa si accompagni ad un aumento di coscienza civile, oppure sia espressione di una crisi valoriale, ideale e comunitaria.