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 2019  ottobre 27 Domenica calendario

Il martedì nero di New York dimenticato

Il 29 ottobre del 1929 è un martedì. Raramente per eventi che rimangono scolpiti nella storia dell’umanità si fa riferimento al giorno della settimana. Ma quella che rimarrà per sempre la mattina nella quale la florida America si risveglia impaurita e impoverita, il 29 ottobre del 1929, sarà, per gli storici e per le persone comuni, il martedì nero. La Borsa crolla dell’ 11,73%. Dal 1929 al 1931 chiuderanno 4.300 istituti di credito, diventeranno 9 mila due anni dopo. I prezzi agricoli crolleranno del 40%. I disoccupati saliranno a 12 milioni negli Stati Uniti, 6 in Germania, 3 in Gran Bretagna. Quel crollo darà il via alla più grave crisi economica del secolo scorso nel mondo dei Paesi industrializzati. L’ombra della Grande depressione si allungherà per buona parte del decennio successivo. Ma cosa abbiamo imparato da quella crisi che ha segnato profondamente il mondo? 
Di sicuro il risveglio da quel sonno della ragione che prende le folle quando credono di aver trovato una strada semplice per facili guadagni, sarà molto duro. E non avverrà in quel 29 ottobre di 90 anni fa che è rimasto nella mente di tutti noi. Qualche giorno prima, alla Borsa di New York c’era stata ben più di un’avvisaglia. La più forte il giovedì precedente, in quel 24 ottobre che sarà solo il primo di una lunga serie a tingersi di nero. La giornata era iniziata in una strana calma. «Ma alle 11,30», racconta un cronista di eccezione, l’economista John Kenneth Galbraith nel suo Il Grande Crollo, «il mercato era in preda a una cieca paura implacabile. Era, in verità, in preda al panico. Si poteva udire fuori dell’Exchange in Broad Street un vocio sinistro. C’era folla. Il commissario di polizia Grover Whalen si rese conto che stava succedendo qualcosa e inviò uno speciale reparto di poliziotti a Wall Street per assicurare l’ordine. Si ammucchiò più gente ad aspettare, benché evidentemente nessuno sapesse bene che cosa fare. Sul tetto di uno degli alti edifici comparve un operaio, che doveva effettuare alcune riparazioni, e subito la folla suppose che si trattasse di un suicida e si mise ad aspettare con impazienza che si buttasse giù. Si formarono capannelli di persone intorno agli uffici delle commissionarie di borsa in tutta la città, in tutto il Paese...». 
Come spesso accade in questi casi le voci più terribili, informazioni senza possibilità di essere verificate, circolano tra le centinaia di risparmiatori e investitori. Qualcuno parla di una decina di suicidi avvenuti nella notte. Le cronache dell’epoca riportate dal Corriere della Sera raccontano di agenti di Borsa che uscivano dai cancelli urlando e disperandosi. Le telescriventi che l’anno prima, nel 1928, erano state cambiate con altre più veloci capaci di 500 caratteri al minuto, due volte quelle precedenti, e che erano state acquistate per stare al passo con i rapidi guadagni e le altrettanto veloci nuove ricchezze, registrano in tempo quasi reale il crollo dei prezzi. Il Dow Jones a fine giornata scende a 229,5 punti: il 22% in meno del record stabilito solo meno di un paio di mesi prima, il 3 settembre 1929, quando Wall Street aveva fermato la sua corsa a quota 386,1 punti. Ma la caduta avrebbe potuto essere ben più pesante se il capo della Citibank Charles Edwin Mitchell detto «Sunshine Charlie» non avesse fatto sapere che un gruppo di banchieri a mezzogiorno si sarebbe riunito. La notizia riuscì a invertire la tendenza. Ma il sogno questa volta durò soltanto 96 ore. 
Come scrive il Corriere della Sera in prima pagina il 31 ottobre del 1929, 48 ore dopo il crollo, «il tramonto di questa grande follia collettiva che è stata la corsa alla fortuna nella Borsa di Nuova York, era prevedibile ed era previsto». Perché? In poche righe si descriveva quello che il 29 ottobre era accaduto: la completa scissione tra i valori delle azioni in Borsa e il valore delle società che le avevano emesse. Le statistiche americane ci offrono la storia in cifre di questo periodo di vertigine. Nel 1923 il numero delle azioni negoziate nella Borsa di New York è di 237 milioni; la cifra sale a 280 nel 1924; a 452 nel 1925; a 449 nel 1926; a 577 nel 1927; a 920 milioni nel 1928. Nei primi nove mesi del 1929 il numero delle azioni negoziate ha raggiunto gli 827 milioni, in confronto di 613 milioni nell’eguale periodo dell’anno precedente. 
Dietro questi numeri c’era però un meccanismo semplicissimo. Come si era arrivati a quei 20 milioni di americani che possedevano azioni? Attraverso la possibilità di comprare titoli senza versare l’intero valore ma anticipando un magro 10 per cento. Con 10 dollari potevi comprare azioni per 100. E depositando quelle azioni in garanzia potevi ottener prestiti con i quali comprare altre azioni. Tra il 1923 e il 1929 i prestiti a brevissimo termine, quelli che speculatori scaltri e risparmiatori poco accorti usavano per le incursioni in Borsa, aumentarono di cinque volte. E tutto questo nel silenzio pressoché complice di banchieri, autorità e anche politici che si godevano un’euforia che sembrava aver contagiato tutti. Lo stesso presidente Herbert Hoover eletto sul finire del 1928 dichiarava contento che «con la garanzia della pace, che durerà ancora per molti anni, il mondo si trova alla vigilia di una grande espansione commerciale». Non andò così. 
John Kenneth Galbraith nel suo Il Grande Crollo individua 5 incontrovertibili motivi di debolezza degli Stati Uniti: 
- la cattiva distribuzione del reddito: pochi ricchi che possedevano tanto 
- cattiva struttura societaria che permetteva incroci azionari e riutilizzo di risorse per pagare dividendi 
- cattiva struttura bancaria: troppi e fragili istituti di credito 
- uno stato della bilancia dei pagamenti americana che indeboliva l’export statunitense e spingeva invece le importazioni 
- basso livello dell’informazione economica (la Harvard Economic Society fu chiusa dopo la sua insistenza nel predire la ripresa). 
Le varie scuole di pensiero economico si dividono su quali furono le mosse sbagliate. L’eccesso di liberismo o l’eccesso di interventismo statale? Molto più semplicemente non c’è saggezza nella folla. Soprattutto quando pensa di poter guadagnare senza fare fatica.