Corriere della Sera, 27 ottobre 2019
Record dei ritardi per gli alunni italiani lo scientifico Pitagora di Selargius (Cagliari), dove chi non arriva in orario paga una multa di 2 euro.
Prendete una classe delle superiori. Quasi ogni giorno, per l’esattezza 4 giorni sui 5 che si passano a scuola, gli insegnanti firmano una giustificazione per l’arrivo in ritardo di almeno uno studente. È quanto si desume dai dati che le scuole hanno fornito al ministero dell’Istruzione nel loro rapporto di autovalutazione. Alle medie i ragazzi sono un po’ più puntuali: 3,4 ritardi all’anno per ogni alunno, ma alle superiori i ritardi raddoppiano: 6,3. E negli istituti tecnici e professionali sono ancora di più: 7,2 e 8,1. Se si considera una classe di 25 alunni, vuol dire quasi 160 ingressi posticipati su 200 giorni circa di scuola. Visto che gli studenti delle superiori sono più di due milioni e mezzo, lo scorso anno si sono persi 16 milioni di ore di lezione. Spesso per pigrizia, indolenza, sciatteria.
Qualche anno fa l’Invalsi aveva raccolto i dati dividendoli per regione. In un mese di scuola uno studente su tre era entrato almeno una volta alla seconda ora: record assoluto nel Lazio con quasi un alunno su due, seguito dalla Puglia (circa il 40 per cento). La palma della puntualità spettava agli studenti del Friuli-Venezia Giulia (15 per cento di ritardi), seguiti dai piemontesi (20 per cento, circa). «Verifichiamo sul campo una tendenza alla deresponsabilizzazione che è diventata un vero e proprio fatto culturale – spiega Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi —. I ragazzi, ma anche i loro genitori, fanno fatica ad abituarsi alla disciplina: è un malcostume al quale non è facile opporsi».
Non che dirigenti e insegnanti non provino a contrastare questo fenomeno. Ogni scuola in autonomia decide come affrontarlo: da vent’anni è stato anche istituito il patto scuola-famiglia che impegna studenti e genitori a rispettare le regole: «Ma spesso padri e madri lavorano e le misure disciplinari delle scuole non portano risultati». Ci sono istituti, come lo scientifico Pitagora di Selargius (Cagliari), dove chi non arriva in orario paga una multa di 2 euro. «Alle famiglie chiediamo di farsi carico delle spese per i ritardatari che non possono entrare in classe fino alla seconda ora e devono essere affidati a qualcuno», precisa la vicepreside Manuela Spanu. La misura ha in parte funzionato. Mentre l’introduzione del badge al Parini di Milano non ha avuto effetti sui ritardi: «Del resto qui da noi non sono mai stati un problema», dice il preside Giuseppe Soddu.
E gli interessati cosa ne pensano? Non lo considerano un problema. Durante l’ultima rilevazione Ocse-Pisa, più di uno studente su due ha confessato di aver saltato almeno un giorno di scuola nelle due settimane prima del test (record mondiale: peggio di noi solo i montenegrini), mentre pochissimi hanno riferito di essere entrati un’ora dopo. I loro prof, invece, se lo ricordano bene e lo hanno segnalato nei dati inviati al Miur.
«È un problema di questa generazione: i ragazzi faticano a capire che arrivare in orario è importante – dice il pedagogista Raffaele Mantegazza —. Stando perennemente attaccati ai telefonini, vivono in un eterno presente: una diretta continua dove tutto è sempre disponibile». Chiunque abbia un figlio teenager lo prova tutti i giorni. «Son capaci di arrivare con un’ora di ritardo anche dalla fidanzata – sorride Mantegazza —. Viviamo in una società dove nessuno pensa più all’importanza di fare bene il proprio lavoro, come diceva Primo Levi». Da dove ripartire? «Non credo alle sanzioni. È più utile far capire ai ragazzi che se programmano il tempo, fanno meno fatica. Prima, però, bisognerebbe trovare un’alternativa ai telefonini. Ormai neppure all’università riusciamo a far spegnere i cellulari».