Corriere della Sera, 26 ottobre 2019
Il 64% non vuole far votare i sedicenni
VANITYX
La questione demografica rappresenta uno dei problemi più critici dell’Italia: siamo il secondo paese più vecchio al mondo dopo il Giappone, da un decennio il numero di nascite risulta ogni anno in diminuzione e la ritardata uscita dalla famiglia da parte dei giovani (quasi due giovani su tre da 18 a 34 anni vive nella famiglia di origine) non lascia ben sperare per il futuro. L’inverno demografico rischia di tradursi in inverno democratico giacché la politica, che si nutre di consenso, è propensa a rivolgere la propria attenzione ai segmenti più numerosi della popolazione, cioè quelli adulti e anziani, rispondendo soprattutto ai loro bisogni, a scapito di quelli dei giovani, contribuendo così ad acuire il divario generazionale.
Basti pensare che sull’intero elettorato i giovani da 18 a 34 anni risultano circa 9,3 milioni (pari al 19,9%), gli adulti da 35 a 54 anni sono 15,9 milioni (34,2%) e le persone dai 55 anni in su si attestano a 21,3 milioni (45,9%).
Nell’ultimo mese hanno fatto scalpore due proposte avanzate da Enrico Letta e Beppe Grillo. Il primo ha proposto di estendere il diritto di voto in Italia anche ai 16-17enni (poco più di un milione di persone) allo scopo di coinvolgerli maggiormente nella vita politica, riconoscendo che esiste un problema di sotto-rappresentazione delle loro idee e dei loro interessi. Solo un italiano su quattro (26%) si dichiara d’accordo mentre il 64% è contrario. Il disaccordo prevale tra tutti gli elettorati, anche se tra dem (39%) e pentastellati (36%) il favore è più elevato. Ciò che colpisce, tuttavia, è l’opinione degli intervistati più giovani, dai 18 ai 34 anni: solo 27% favorevoli e 59% contrari.
La boutade di Grillo
L’idea di «togliere il voto agli anziani» bocciata anche dal 66% dei giovani
La proposta di Grillo sembra più una provocazione: ha infatti dichiarato che sarebbe opportuno togliere il diritto di voto alle persone con più di 65 anni (12,8 milioni di elettori) perché costoro sono meno preoccupati del futuro sociale, politico ed economico del Paese rispetto ai giovani, e le loro decisioni rischiano di incidere negativamente sugli interessi di questi ultimi e delle generazioni future. Solo il 13% concorda con questa ipotesi, mentre quattro su cinque (81%) la respingono. Anche in questo caso la maggior parte dei più giovani dissente (66%) e la contrarietà sale al 91% tra chi si vedrebbe privato del diritto di voto.
Ma come votano gli ultrasessantacinquenni? Se consideriamo le ultime elezioni europee, eliminando gli elettori di oltre 65 anni la graduatoria dei partiti non sarebbe cambiata, ma ne avrebbero guadagnato soprattutto Lega e M5s, mentre sarebbero stati penalizzati Pd e, in misura minore, Forza Italia e Fratelli d’Italia. Analizzando le intenzioni di voto più recenti, tra gli elettori meno giovani la Lega si colloca al primo posto con il 30,2% delle preferenze, seguita dal Pd con il 26,3% quindi, quasi appaiati, M5S (11,3%) e FdI (11,2%). A seguire Forza Italia (9,4%) e Italia viva (5,6%), entrambi con valori superiori tra gli anziani rispetto al dato complessivo.
Le intenzioni
Senza contare i voti
di chi ha più di 65 anni scende il Pd, salgono Lega e 5 Stelle
Insomma, per motivi diversi le due proposte non convincono gli italiani. Spesso ci si chiede perché, a parte qualche misura a favore della famiglia, la politica fatichi ad imprimere una svolta che favorisca i percorsi di autonomia dei giovani e una ripresa demografica. Le risposte possono essere due: la prima riguarda il costo che comporterebbe un’ampia riforma che consideri non solo la questione occupazionale (la disoccupazione giovanile si mantiene su valori nettamente superiori rispetto alla media europea), ma anche quella abitativa (i canoni d’affitto spesso scoraggiano l’uscita dalla famiglia), le politiche conciliative, che consentano un equilibrio tra impegni lavorativi e familiari, e i servizi per l’infanzia, ad oggi largamente insufficienti. Reperire le risorse per una tale riforma comporta scelte difficili: possiamo immaginare che i politici attuali abbiano il coraggio dell’impopolarità? La seconda ha a che fare con i tempi, comprensibilmente lunghi, per ottenere una crescita demografica significativa: in uno scenario di spasmodica ricerca del consenso, i tempi lunghi confliggono con l’esigenza di ottenere un dividendo elettorale immediato.