Il Messaggero, 26 ottobre 2019
1954, l’entrata dei bersaglieri a Trieste
Il 5 Ottobre 1954, sessantacinque anni fa, fu risolta una delle situazioni più dolorose per il nostro Paese: il nostro governo firmò a Londra il Memorandum che restituiva di fatto Trieste all’Italia. Per alcuni, l’accordo, sottoscritto con i rappresentanti britannici, statunitensi e jugoslavi, costituì l’epilogo del Risorgimento, iniziato il secolo prima con le guerre di indipendenza e compromesso dal disastro del fascismo. Per altri fu anche la fine di un incubo, perché la minaccia dei comunisti titini, che avevano massacrato e infoibato migliaia di locali costituiva una comprensibile ossessione. Per tutti, fu la rimarginazione, non scontata né indolore, delle ferite della seconda guerra mondiale.
Trieste era stata riconquistata dopo la vittoria del 1918, assieme a Trento e ad altre zone della Dalmazia. Ma l’avidità irresponsabile di Mussolini aveva guastato tutto.
LE RAPPRESAGLIE
Geloso delle conquiste di Hitler in Polonia nel 39 e in Francia l’anno dopo, il Duce non aveva trovato di meglio che invadere la Grecia nell’Ottobre del 1940. Quella che sembrava una spedizione facile e breve si rivelò invece, per l’impreparazione dell’aggressore e l’abilità dell’aggredito un fiasco colossale: i nostri soldati furono costretti a ripiegare in Albania e rischiarono di esser ricacciati in mare. Per soccorrere il socio in difficoltà, Hitler dovette occupare anche la Jugoslavia, e i Balcani diventarono un inferno di guerra, di resistenza, di rappresaglie e di massacri reciproci. Le truppe tedesche e italiane non si comportarono, diremo, cavallerescamente. I nazisti usarono le consuete brutalità con le deportazioni degli ebrei, la distruzione di villaggi e le esecuzioni di massa. Ma neanche gli italiani andarono per il sottile. È vero che molti dei nostri furono aggrediti catturati, torturati, mutilati e uccisi da serbi, croati, bosniaci e sloveni. Ma è anche vero che la nostra milizia fascista, aiutata dagli ustascia e dai collaborazionisti locali, si macchiò di atrocità analoghe e persino peggiori, alimentando un’atmosfera di vendetta e di odio che si protrasse anche a conflitto concluso. La Jugoslavia era stata l’unico Paese ad essersi liberato quasi da solo, e la rappresaglia contro i vinti fu spietata.
LA FUGA
Tito fece una vera e propria pulizia etnica, assassinando e deportando migliaia di italiani, occupando la quasi totalità della Venezia Giulia e costringendo alla fuga le popolazioni locali. Quando le sue truppe entrarono a Trieste, ufficialmente controllata dagli inglesi, si abbandonarono a soprusi e brutalità inimmaginabili. La vergogna peggiore non fu nemmeno questa: fu la solidarietà, e addirittura il plauso, che questi banditi raccolsero tra i comunisti italiani. L’Italia era stata sconfitta, e le sconfitte si pagano. Ma il tradimento di questi nostri sciagurati connazionali asserviti a un’ideologia nefasta non può esser perdonato né dimenticato.
Tuttavia Tito, tanto abile quanto spregiudicato, si affrancò presto dall’ingombrante tutela sovietica; questo imbarazzò gli sgherri di Stalin, ma mitigò le diffidenze degli Alleati verso l’eretico partigiano che peraltro avevano aiutato durante la guerra. Se Tito non diventò un alleato degli inglesi, certo non fu più un loro nemico, e gli stessi americani lo considerarono un argine all’invadenza dell’ Orso russo, in quella che ormai era diventata la guerra fredda. Trieste, qualificata territorio libero restò occupata dalle truppe alleate, i cui governi si guardarono bene dal sollevare il problema della ricongiunzione all’Italia per non litigare con il nuovo e singolare compagno.
Non era naturalmente così per i triestini. Dopo la delusione dell’inerzia britannica davanti all’ invasione degli slavi e dopo averne subito le umiliazioni e le ferite, la popolazione diffidava degli Alleati, detestava i titini, e sperava nel’Italia. Ma qui il problema era essenzialmente politico. Gli accordi di pace avevano dato al territorio una definizione provvisoria, e De Gasperi temeva che l’annessione di Trieste all’Italia avrebbe comportato l’incorporazione del resto dell’ Istria alla Jugoslavia. Il nostro grande statista non aveva capito che dove arrivava la bandiera rossa, anche se sventolata da un dissidente antistalinista, potevi schiodarla solo con le armi, e che la zona B, assegnata a Tito, era comunque irrimediabilmente perduta. Stanchi di questo indugiare, i patrioti triestini cominciarono a manifestare. Nel Marzo del 52 vi furono disordini, e un dimostrante rimase ucciso. Le autorità angloamericane, con le quali l’Italia aveva già stipulato una solida alleanza, allentarono la presa cedendo parte della gestione territoriale a un consigliere italiano. Tito reagì minacciando di annettersi de jure la zona che già occupava de facto, e convocando ai nostri confini un’oceanica manifestazione di ex partigiani. Il governo di Roma, presieduto da Giuseppe Pella, rispose per le rime, e minacciò addirittura un’occupazione militare di Trieste.
IL NEGOZIATO
L’opinione pubblica italiana (tranne i comunisti) lo sostenne con entusiasmo, e anche Tito capì che l’Italia non stava scherzando: il 6 Settembre 1953 l’abile dittatore, dopo aver eccitato gli animi dei suoi ex combattenti con gli elenchi dei compagni morti conditi delle consuete litanie antimperialiste, concluse – e questa fu la parte più importante – invitando le parti a cominciare una conversazione. Pella reagì con indignazione alle offese e alle minacce, ma lasciò aperta la porta al negoziato. Intanto gli animi dei triestini si erano infiammati, e in Novembre, in occasione dell’anniversario della Vittoria della Grande Guerra, scoppiarono disordini più gravi dei precedenti. La polizia e le truppe britanniche intervennero, prima con prudenza, poi con durezza ingiustificata. Fra i triestini vi furono alcuni morti e decine di feriti. L’Italia, e soprattutto l’America, inorridirono.
Fu a seguito di questa situazione ormai intollerabile che si arrivò al memorandum di Londra che oggi rievochiamo. Nessuno poteva dubitare che, per la storia e la geografia, Trieste dovesse ritornare italiana. Si trattava solo di trovare un compromesso ragionevole, che salvasse a tutti la faccia. Così, si decise di restituire all’Italia la sola amministrazione della zona A.Ma fu soltanto un’astuzia diplomatica: Trieste ridivenne a tutti gli effetti italiana e il 26 Ottobre, i bersaglieri entravano in città mentre le nostre navi militari attraccavano al porto, in un tripudio di una folla festante che sventolava il tricolore. Con il trattato di Osimo del 75 tra Italia e Jugoslavia la questione fu definitivamente chiusa con il riconoscimento formale della piena sovranità italiana. Vi fu qualche sterile polemica, ma i triestini rimasero sostanzialmente indifferenti.