Il Sole 24 Ore, 26 ottobre 2019
Argentina, sotto il materasso oltre 300 miliardi
Le librerie di Buenos Aires, un archetipo della città. Alcune, in Avenida Corrientes, sono aperte tutta la notte. In vetrina, oltre a una produzione letteraria di prim’ordine, sugli scaffali sono in bella evidenza vari testi di politica e, naturalmente, di economia. “Argentina en su labirinto”, “La economia oligarquica de Macri”, “Por què funziona el populismo?”
Il default e i prestiti inesigibili dell’Fmi, in Argentina, non sono temi di esclusiva pertinenza di analisti finanziari e docenti universitari. Qui ne parlano tutti. E ne leggono in molti. Gli errori da non ripetere, il peronismo benedetto o maledetto (a seconda degli autori) come superare la dipendenza dalla materia prime alimentari, sono titoli che vendono. E, a proposito di errori da non ripetere, ce ne sono alcuni che l’Italia, a guardar bene, potrebbe replicare. Un trend che anni fa ha condotto l’Argentina nel baratro di una gravissima crisi sociale, con morti di piazza e disoccupazione al 55 per cento.
Uso e “tesorizzazione” del contante, vendita dell’oro della Banca centrale sono i due più macroscopici, che alcuni partiti politici italiani non disdegnano. O addirittura auspicano. Vero. C’è distanza geografica ed economica tra Argentina e Italia e, a dispetto di un consistente movimento politico contrario, l’euro resiste agli attacchi dei suoi detrattori.
Il dollaro sotto il materasso non è un eufemismo. I pochi o tanti pesos che gli argentini risparmiano li cambiano in dollari, unica valuta di cui si fidano. Il risultato è eclatante: gli attivi fuori dal sistema finanziario superano quota 300 miliardi di dollari; ciò rappresenta l’85% del pil, stimato a quota 350 miliardi di dollari.
Difficile quantificare quanti siano i miliardi che gli italiani tengono in casa, nelle cassette di sicurezza o all’estero; l’unica certezza è che la sfiducia nel sistema bancario sta crescendo esponenzialmente; complici i tassi di interesse negativi. Il crack di alcune banche ha coinvolto 140mila italiani, ora sfiduciati dal sistema. L’Italia, è un dato di queste ultime settimane, è in cima alle classifiche Ue per l’utilizzo del contante. L’altra faccia della sfiducia e dell’evasione. L’86% delle transazioni è in contanti. Uno studio Censis-Aipb rileva che la liquidità vale 1300 miliardi. Le obbligazioni sono il 6,9% contro il 21% del 2008. Il mantra degli italiani, riportato nello studio, è «non tassatemi il contante». Insomma, in filigrana, vi sono evidenti similitudini con l’Argentina. Pur stemperate da contesti macrofinanziari diversi.
Un altro errore riguarda le “mani sulle riserve della Banca centrale”, in particolare sull’oro. Un’abitudine argentina che genera squilibri e assoluta incertezza sulla loro entità. Enzo Farulla, analista già Raymond Jones, spiega che «le riserve argentine pareva fossero 55 miliardi di dollari, ma, al netto di quelle “impegnate”, pare siano solo 10 miliardi». Tra le riserve, quelle di oro, sono un tema caldo.
Ebbene, in Italia c’è chi accarezza l’idea di vendere i lingotti d’oro della Banca d’Italia per finanziare la spesa corrente. «Sarebbe come – ha scritto Sandro Trento, economista dell’Università di Trento – vendere la casa per pagarsi le vacanze». Don’t cry for me Italia, ops…Argentina.