Il Sole 24 Ore, 26 ottobre 2019
Il declino dell’acciaio inglese
A Scunthorpe, profonda provincia inglese del Lincolnshire, si arriva da Doncaster con il TransPennine Express, nome pomposo per una “littorina” a gasolio di sole due carrozze, vecchia e lenta. Benvenuti al Nord dell’Inghilterra, una zona storicamente povera e depressa. Fuori dalla stazioncina-cartolina, Scunthorpe si presenta con file di modeste villette a schiera che hanno conosciuto tempi migliori: una sensazione di povertà trasuda dalle facciate. Il meglio, Scunthorpe forse lo ha già vissuto. Per decenni è stata una città ricca, come la British Steel, l’acciaieria più importante del paese. Un gigante arrugginito che si estende per 1.100 ettari. Scunthorpe è la città-simbolo dell’industria pesante in Inghilterra, del declino degli ultimi 20 anni. In primavera la British Steel è fallita: nel 2016 al capezzale dell’industria era arrivato il fondo di private equity Greybull Capital che raccoglieva i cocci della precedente proprietà, gli indiani di Tata Steel. Dopo aver pagato il prezzo simbolico di 1 Sterlina, i signori di Greybull avevano promesso 400 milioni di investimenti e di riportare in utile l’azienda: hanno alzato bandiera bianca dopo nemmeno tre anni. Ora l’ultima speranza arriva dalla terribile Turchia.
Il degrado che si vede in giro a Scunthorpe è la conseguenza della lunga crisi del maggior datore di lavoro locale. La High Street, che nelle città del Regno Unito è la via esclusiva dei negozi di lusso, è solo una sequela di fast food, vetrine chiuse e negozi “Tutto a 1 sterlina”, cianfrusaglie fatte in Cina. Lo storico pub The Crosby ha porte e finestre sprangate. Decine di edifici e case abbandonate. Scunthorpe è nata, vissuta e arricchita con la British Steel: la fabbrica fu costruita qui perché c’era abbondanza di carbone e perché avrebbe dato lavoro in una zona derelitta. «Il carbone inquina ed è sporco, ma ci dà lavoro» ammette Michelle Catalano, signora inglese che ha sposato l’italianissimo proprietario del boutique hotel San Pietro, «per sopravvivere dobbiamo continuare a produrre acciaio, e dunque inquinare. Ma se inquiniamo la Ue ci multa. E i pochi soldi che lo Stato ci può dare, sempre per le regole europee, finiscono a Bruxelles mica a salvare posti di lavoro qui». Inutile chiedere cosa abbiano votato al Referendum del 2016: la parola Brexit a Scunthorpe non è una parolaccia.
All’ingresso dell’immenso sito dell’acciaieria, da dove ogni anno escono ancora 2.800 tonnellate di acciaio, c’e un cartello multi lingue: c’è anche in italiano. British Steel è specializzata nelle travi a doppia T usati nelle ferrovie. Oggi l’area è in gran parte derelitta: edifici vuoti, interi capannoni fatiscenti, muretti che cadono a pezzi. Su una grossa parete hanno dipinto un murales “Save our Steel”. Peccato che l’unico che possa salvare l’acciaio inglese sia Recep Erdogan. Unico acquirente interessato a BS è Ataer, il braccio finanziario del fondo pensione dei militari turchi.
Nel 1971 l’acciaio dava lavoro a 330mila persone nel Regno Unito. Oggi l’industria è praticamente scomparsa. Nel 2016 tutta l’Inghilterra ha prodotto 8 milioni di tonnellate di acciaio: la Cina ne ha sfornate 808 milioni. La Gran Bretagna è scesa al quinto posto in Europa, che tutta insieme vale un settimo della produzione di Pechino: la Cina inonda il mercato di acciaio a prezzi stracciati grazie ai sussidi statali che eroga alle sue aziende (mentre la Ue li vieta). Nel mondo globalizzato, le dimensioni sono tutto. C’è poi sempre meno bisogno di acciaio: la domanda è in calo da anni e i prezzi scendono. L’acciaio, un tempo industria di punta di ogni nazione ricca e importante, oggi è marginale: nel Regno Unito dà lavoro a sole 32mila persone, appena lo 0,1% dell’occupazione. E genera 1,6 miliardi di sterlina di giro d’affari, lo 0,1% del Pil inglese. Percentuali da Pollicino. Da 1960 a oggi l’industria ha perso il 60% (e nel solo annus horribilis 2016 il 30%), mentre economia Uk è salita del 160%. L’acciaio, però, pagava e paga ancora bene: lo stipendio di un operaio si aggira attorno alle 36mila sterline l’anno, che è un 50% in più della media delle paghe della zona.
Ma a Londra, a molti politici i turchi non piacciono. Un fondo pensione di militari ancor meno. «Soldi sporchi» li ha bollati il Guardian, il mastino progressista della stampa britannica. E ora con il premier Erdogan che invade la Siria, nessuno vuole la Turchia. Nessuno tranne la gente di Scunthorpe. L’identità della città è l’acciaio: le ciminiere hanno ognuna il nome di una regina d’Inghilterra. Quando la British Steel occupava 25 mila persone, non c’era famiglia dove almeno una persona non lavorasse nell’acciaieria.
Intere generazioni, di padre in figlio, si sono tramandate il “posto” in fabbrica. Oggi sono rimasti in appena 3mila (ma c’è ancora un indotto di 20mila lavoratori). Se si perdessero anche quelli, Scunthorpe precipiterebbe ancora di più nella povertà. «Nessuno dei dipendenti spende soldi, nessuno prenota una vacanza, nessuno di loro sa se a Natale avrà ancora un lavoro e uno stipendio» prosegue la signora. Ma loro, i 3mila “dinosauri” sopravvissuti all’estinzione, sfoggiano una tranquillità difficile da distinguere dalla rassegnazione. «Dobbiamo continuare a fare quello che sappiamo fare, ossia produrre acciaio. Ma dobbiamo riuscire a farlo a un prezzo competitivo con gli altri paesi, non c’è altra soluzione» commenta un operaio mentre esce in bici dall’ingresso.
A un tavolo del San Pietro, di martedì sera, mentre fuori è calata una cappa di irreale coprifuoco, con le strade completamente deserte, ci sono 5 persone: sono i proprietari di Karro, il più grande produttore di bacon della Gran Bretagna, rivela Daniele, cameriere italiano che ha appena comprato casa: per 180mila sterline (e un mutuo 25ennale) andrà a vivere in una villetta di 3 piani con 4 camere da letto giardino e garage (a Londra ci vorrebbero 2 milioni per una casa simile). Ma basterà la “pancetta” a tenere in piedi Scunthorpe se non arriverà il Sultano ad allungare la vita dell’acciaieria? Senza l’odiato Erdogan, l’emigrato italiano come pagherà il suo mutuo?