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 2019  ottobre 26 Sabato calendario

Giovanni Battista Belzoni, l’inventore delle piramidi

Giovanni Battista Belzoni apparteneva a quella stirpe o genia ch’io chiamo il miracolo italiano, gente che dal nulla si forma una cultura, un sapere, e cresce da sola come una bella palma. Questa palma era Belzoni che quando arrivò in Egitto non sapeva quasi nulla di quella terra. Del resto dell’antico Egitto, nessuno sapeva un gran che. Champollion non aveva ancora decifrato i geroglifici, che venivano comunque considerati segni magici, i nomi dei faraoni si riferivano ai nomignoli dati loro dai greci, le piramidi, si sospettava, fossero monumenti per condurre i viaggiatori nel deserto, la sfinge era quasi del tutto insabbiata, Suez non aveva un canale e l’Egitto non era che una provincia dell’impero ottomano. La religione era arrivata però fino a Roma con una Iside trasformata in Magna Mater trasformandosi poi in massoneria che a tutt’oggi conserva i grembiulini faraonici e la magia — Belzoni stesso era un Fratello massone. Affiorava la moda per l’Egitto nel Flauto Magico di Mozart e per l’Oriente che cominciava ad essere scoperto da indomiti viaggiatori pur se il territorio, era meglio conosciuto nell’antichità che non nel ’ 7-’ 800. Beh, non tanto stranamente, la colonizzazione ottomana (i colonizzatori più terribili della storia moderna furono i Turchi. Altroché la Francia e l’Inghilterra!). Quando Belzoni ( 1778- 1823) mise piede ad Alessandria che era in preda alla peste, quel mondo era stato soggetto a grandi cambiamenti: Napoleone era sbarcato in Egitto cercando una via per le Indie che avrebbe potuto raccorciare le distanze e tagliar le gambe all’Inghilterra. Tutti anelavano alle ricchezze delle Indie, i francesi avevano cominciato ancor prima della East Indian Company, ma era l’Inghilterra che si era impadronita delle vie del commercio. Così che nell’annoso scontro tra la Francia e l’Inghilterra, fiorirono i servizi segreti di ambedue le nazioni mandando in giro esploratori, gente coraggiosa e intelligentissima. Non per nulla il servizio si chiama Intelligence. Uno di questi era Gian Battista Belzoni che nei suoi vari scritti naturalmente non dice nulla di tutto questo. Con l’aiuto della moglie Sarah, pubblicò un paio di diari in inglese soprattutto per rivendicare i propri meriti e diritti sulle scoperte che aveva fatto. Ce l’aveva, non a torto, con il console inglese Henry Salt e anche con i molti che avevano cercato di appropriarsi non solo delle statue che andava accumulando ma anche dei suoi meriti; nella versione francese, Belzoni si premurò di autocensurarsi sugli accidenti e le accuse che mandava ai colleghi cisalpini. Uno dei quali era Drovetti, ex console francese, la cui “ collezione di antichità” egiziane è alla base del meraviglioso Museo di Torino. Belzoni, “ the Great Belzoni”, era nato a Padova ma non era di nazionalità italiana perché l’Italia non esisteva. Era stato francese ( con l’occupazione napoleonica della Serenissima), austriaco ( con la susseguente presa di potere degli Asburgo), ma la sua patria d’adozione era l’Inghilterra, allora mondo che accoglieva gli esuli a braccia aperte.

Difatti prima delle sue avventure di esploratore e di archeologo ante- litteram, Belzoni era diventato famoso nel mondo dello spettacolo, specie per le sue invenzioni di effetti idraulici — e l’idraulica Belzoni l’aveva studiata quand’era seminarista a Roma, cosa che non voleva sottolineare dato che da Roma e dal seminario era scappato. Dopo essere stato reclutato dai nascenti Servizi Segreti britannici ( nascenti fino a un certo punto se pensiamo che Christopher Marlowe lavorava, come lui stesso specifica, per l’Intelligence) rimase per qualche tempo in Spagna, Portogallo e Malta per poi, nel 1815, sbarcare in Egitto. Ne Viaggi in Egitto ed in Nubia, edito da Harmakis, Belzoni racconta parte della sua avventura egiziana, e una selezione dei suoi viaggi. Come egli stesso specifica nella prefazione, questo volume è una traduzione dall’inglese.
“ Quantunque non sia inglese, ho preferito di narrare io stesso in questa lingua, per quanto io posso, a miei lettori quelle ricerche le quali ho fatte in Egitto in Nubia, lungo la costa del Mar Rosso e nell’Oasi” sic. Ma tanto la costa del Mar Rosso e dell’Oasi sono sparite da questo volume, e della scoperta della tomba di Seti si parla pochissimo. È lecito pensare che questa sia una traduzione “ pirata” pur se i diritti d’autore allora non esistevano, ( ben sappiamo quanto si diede da fare Giuseppe Verdi, anni avanti, per ottenerli e stabilirli.) e che fosse uscita in Italia senza il consenso dell’autore.
Quando già era al Cairo, Belzoni incontrò l’orientalista J.L. Burckhardt e da lui apprese moltissimo. Forse aveva già letto Strabone e Plutarco, ma certamente Burckhardt, uomo coltissimo, gli insegnò a leggere i classici. Burckhardt, straordinario personaggio ( uno svizzero che parlava l’arabo e andava in giro per il Sahara come se fosse in un Cantone svizzero), fu importantissimo per Belzoni che difatti in questo testo lamenta la sua morte precoce e inaspettata. Questo pur se Belzoni dei suoi affari privati non ci dice quasi nulla. In effetti non si chiamava Belzoni e persino la sua data di nascita varia nei vari documenti e scritti.
Ma Giovanni Battista ( che era più alto di due metri ed era un uomo famosamente bello) aveva molte cose da nascondere. Contro ogni aspettativa — ma non sua, “ the Great Belzoni” riuscì a trasportare 7 tonnellate di un busto di Ramses II, che si trovava al Ramasseum, fino al Nilo e di là al Cairo, ad Alessandria, a Londra e finalmente al British Museum. Allora non si sapeva che l’effige del Giovane Memnone rappresentasse il faraone Ramses II; Belzoni impiegò 17 giorni e 130 operai che non volevano lavorare per lui. Così iniziò la sua carriera di esploratore/ archeologo/ avventuriero/ agente segreto ecc ecc.
L’Inghilterra gli deve essere grata: molte statue al British Musem, istituzione che Belzoni idolatrava, lì si trovano per merito suo; e così altre meraviglie distribuite in vari siti, come il sarcofago di Seti in alabastro istoriato, uno degli artifatti più belli del mondo. Che venne aquistato da sir John Soane, l’eccentrico architetto la cui dimora londinese, the sir John Soane’s Museum a Lincolns Inn, è visitabile — una visita che consiglio.
Sbarcato a Bulak, il porto del Cairo, Belzoni racconta degli intrighi francesi — e inglesi — che però non spiega, dei continui imbrogli dei locali che chiama arabi o albanesi (i mamelucchi), dei trabocchetti dei caimacan, degli Agae dei kacheff; i pagamenti, i bacshish che distribuisce a volte consistono in pezzetti di cristallo o specchi — ma anche in pistole e polvere da sparo.
Ci racconta di due brutti tiri dei quali fu vittima, sciabolate che quasi lo resero zoppo e pistolettate senza dirci che erano attentati belli e buoni. In questa versione manca la sparatoria da parte francese all’interno del tempio di Luxor che quasi lo accoppò. Sono interessantissime le osservazioni di Belzoni sui templi che visita; capisce quando sono Tolemaici o di epoca anteriore; le sue note sono accurate e preziose per il futuro dell’archeologia.
Anche le sue osservazioni sulla vita quotidiana degli indigeni sono interessanti pur se li copre d’insulti per la loro rapacità e ignoranza — del resto “ loro” chiamavano Belzoni & Co “ cani cristiani”. Il testo è arricchito da note dello stesso Belzoni. Ma molto manca, prima di tutto il racconto della scoperta della città di Berenice; non c’è una introduzione che dica chi fosse Belzoni e in quale epoca vivesse; che spieghi che quando parla dei franchi, intende gli stranieri, perché qualsiasi europeo veniva così chiamato dagli egiziani, ecc ecc. Quasi ogni pagina contiene uno o più errori di stampa oltre agli errori di ortografia nel testo ( probabilmente di un traduttore). A volte mancano delle parole, e dei nomi sono indicati con la sola iniziale o sono addirittura scritti sbagliati. Tali sono gli errori e le lacune in questo volume che si ha l’impressione che il testo non sia stato neanche letto da chi lo ha preparato, il segreto per cosa intenda la direttrice editoriale per mettere assieme il “ libro”, è profondo quasi quanto quelli custoditi dal Grande Belzoni.