“ Quantunque non sia inglese, ho preferito di narrare io stesso in questa lingua, per quanto io posso, a miei lettori quelle ricerche le quali ho fatte in Egitto in Nubia, lungo la costa del Mar Rosso e nell’Oasi” sic. Ma tanto la costa del Mar Rosso e dell’Oasi sono sparite da questo volume, e della scoperta della tomba di Seti si parla pochissimo. È lecito pensare che questa sia una traduzione “ pirata” pur se i diritti d’autore allora non esistevano, ( ben sappiamo quanto si diede da fare Giuseppe Verdi, anni avanti, per ottenerli e stabilirli.) e che fosse uscita in Italia senza il consenso dell’autore.
Quando già era al Cairo, Belzoni incontrò l’orientalista J.L. Burckhardt e da lui apprese moltissimo. Forse aveva già letto Strabone e Plutarco, ma certamente Burckhardt, uomo coltissimo, gli insegnò a leggere i classici. Burckhardt, straordinario personaggio ( uno svizzero che parlava l’arabo e andava in giro per il Sahara come se fosse in un Cantone svizzero), fu importantissimo per Belzoni che difatti in questo testo lamenta la sua morte precoce e inaspettata. Questo pur se Belzoni dei suoi affari privati non ci dice quasi nulla. In effetti non si chiamava Belzoni e persino la sua data di nascita varia nei vari documenti e scritti.
Ma Giovanni Battista ( che era più alto di due metri ed era un uomo famosamente bello) aveva molte cose da nascondere. Contro ogni aspettativa — ma non sua, “ the Great Belzoni” riuscì a trasportare 7 tonnellate di un busto di Ramses II, che si trovava al Ramasseum, fino al Nilo e di là al Cairo, ad Alessandria, a Londra e finalmente al British Museum. Allora non si sapeva che l’effige del Giovane Memnone rappresentasse il faraone Ramses II; Belzoni impiegò 17 giorni e 130 operai che non volevano lavorare per lui. Così iniziò la sua carriera di esploratore/ archeologo/ avventuriero/ agente segreto ecc ecc.
L’Inghilterra gli deve essere grata: molte statue al British Musem, istituzione che Belzoni idolatrava, lì si trovano per merito suo; e così altre meraviglie distribuite in vari siti, come il sarcofago di Seti in alabastro istoriato, uno degli artifatti più belli del mondo. Che venne aquistato da sir John Soane, l’eccentrico architetto la cui dimora londinese, the sir John Soane’s Museum a Lincolns Inn, è visitabile — una visita che consiglio.
Sbarcato a Bulak, il porto del Cairo, Belzoni racconta degli intrighi francesi — e inglesi — che però non spiega, dei continui imbrogli dei locali che chiama arabi o albanesi (i mamelucchi), dei trabocchetti dei caimacan, degli Agae dei kacheff; i pagamenti, i bacshish che distribuisce a volte consistono in pezzetti di cristallo o specchi — ma anche in pistole e polvere da sparo.
Ci racconta di due brutti tiri dei quali fu vittima, sciabolate che quasi lo resero zoppo e pistolettate senza dirci che erano attentati belli e buoni. In questa versione manca la sparatoria da parte francese all’interno del tempio di Luxor che quasi lo accoppò. Sono interessantissime le osservazioni di Belzoni sui templi che visita; capisce quando sono Tolemaici o di epoca anteriore; le sue note sono accurate e preziose per il futuro dell’archeologia.
Anche le sue osservazioni sulla vita quotidiana degli indigeni sono interessanti pur se li copre d’insulti per la loro rapacità e ignoranza — del resto “ loro” chiamavano Belzoni & Co “ cani cristiani”. Il testo è arricchito da note dello stesso Belzoni. Ma molto manca, prima di tutto il racconto della scoperta della città di Berenice; non c’è una introduzione che dica chi fosse Belzoni e in quale epoca vivesse; che spieghi che quando parla dei franchi, intende gli stranieri, perché qualsiasi europeo veniva così chiamato dagli egiziani, ecc ecc. Quasi ogni pagina contiene uno o più errori di stampa oltre agli errori di ortografia nel testo ( probabilmente di un traduttore). A volte mancano delle parole, e dei nomi sono indicati con la sola iniziale o sono addirittura scritti sbagliati. Tali sono gli errori e le lacune in questo volume che si ha l’impressione che il testo non sia stato neanche letto da chi lo ha preparato, il segreto per cosa intenda la direttrice editoriale per mettere assieme il “ libro”, è profondo quasi quanto quelli custoditi dal Grande Belzoni.