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 2019  ottobre 26 Sabato calendario

Sulla foto di gruppo con Di Maio, Zingaretti e Conte

L’hanno fatta? L’hanno fatta. Solo loro due? Veramente no, perché il foto evento, la cerimonia dell’iper-vicinanza, la prova provata dell’alleanza presente e vai a sapere quanto futura, appare comunque diluita, per così dire, dalla presenza dell’aspirante governatore Bianconi, del premier Conte e del Leu Speranza. Istantanea affollata, quindi, del genere "a grappolo", sebbene collettivamente gioviale. Ne circolano come ovvio diverse versioni, anche dall’alto, e con o senza Speranza che doveva partire. Però: a osservare con attenzione la foto di Narni, in tal modo solennizzata perché per la prima volta vi compaiono ritratti insieme Di Maio e Zingaretti, si noterà come ben tre dei cinque soggetti (Speranza, Di Maio e Conte) non sanno bene cosa fare delle loro mani; e così le hanno appoggiate, una sull’altra, dalle parti del basso ventre, o in grembo, se si preferisce (come spesso è raffigurata Elisabetta regina d’Inghilterra), o anche più in giù.
E non per essere incontentabili, ma nel linguaggio del corpo, tanto più il giorno dell’ultimo comizio, quelle mani giunte a conchiglia sono un segno d’imbarazzo, di chiusura. Con maggiore precisione – e la speranza di essere assolti per la smargiassa pedanteria – secondo i professori Nieremberg e Calero, esperti di tecniche di negoziazioni, tale postura denota un sentimento negativo e uno stato di ansia. Adesso è troppo tardi, decisamente, ma in tali casi, dinanzi ai flash nell’auditorium di San Domenico sarebbe stato meglio che qualcuno si fosse fatto carico di porgere ai cinque della coalizione MaZinga un qualche oggetto, «un bicchiere di vino» scherzava a suo tempo Craxi, o magari un cartonato di Renzi in camicia bianca o giubbotto da Fonzie.
Così comunque è andata. Sempre più la scena pubblica vive di tali specchietti, rifrazioncine e birichinate. Se ne dovrebbe dedurre che Zingaretti e Di Maio hanno smesso di fare gli scontrosi e ha cominciato Matteuccio; anche se in fondo era un bella pretesa, o una pia illusione, pensare che una foto con o senza sarebbe bastata a far dimenticare un anno almeno di insulti e promesse, noi mai, mai, mai...
Ed eccoteli lì, sia pure col sorriso tirato e il gesto di chi si aspetta il classico colpo basso. Che poi queste storie d’immagine, queste scappatoie di visibilità finiscono in genere come devono finire, e anche solo a tenerne viva la memoria ci si sente un po’ in colpa considerato l’impatto praticamente nullo, o peggio.
E comunque era il settembre del 2011 quando Bersani, Vendola e Di Pietro, convenuti in Abruzzo alla festa dell’Italia dei Valori, diedero vita alla cosiddetta foto di Vasto. E cioè a una coalizione incentrata sul Pd, ma "aperta" all’area di Sel e a quella giustizialista. Vasta eco nelle cronache e prolungati riferimenti per mesi e mesi. Fino a quando, marzo 2012, patapùnfete, altra foto di gruppo uguale e contraria, scattata a Palazzo Chigi e postata secondo il sopraggiunto canone social da Pierferdy Casini, in narcisistiche bretelle rosse, con il premier Monti, il solito Bersani e la new entry Alfano. Testo casiniano: "Siamo tutti qui - come nel Braccobaldo Show ( ndr) – nessuna defezione".
Spariti Vendola e Di Pietro. Come poi, almeno nell’orizzonte del Pd, sparirono Alfano e Monti. Morale, un conto è lo sguardo, altro conto la realtà. Diffidare dunque delle foto e ancor più della retorica che le accompagna, perché non c’è nulla in politica che non finisca, di solito male. La novità è che dagli e dagli, tutto diventa, oltre che fuggevole, spaventosamente più rapido e leggero - e tra un po’ sarà addirittura difficile ricordare perché Di Maio e Zingaretti volevano o non volevano farsi vedere insieme.