la Repubblica, 26 ottobre 2019
Che cos’è la terza via
Luigi Di Maio ha evocato addirittura la “terza via” a proposito del voto di domani in Umbria. Definizione che in queste circostanze non significa nulla, serve solo a richiamare un po’ d’attenzione intorno alla fotografia dei quattro del centrosinistra (Zingaretti, Speranza, lo stesso Di Maio e il premier Conte) più il candidato Bianconi e ovviamente assente Matteo Renzi. Un’immagine che vorrebbe trasmettere l’idea di una forza ritrovata e invece rischia di trasformarsi in un messaggio di debolezza. Del resto, perché non dovrebbe essere così? Era proprio Di Maio, fino a qualche settimana fa, a circoscrivere il significato dell’alleanza con il Pd, considerata alla stregua di un cartello elettorale. Semmai erano i vertici del centrosinistra, da Franceschini allo stesso Zingaretti, a collocarla in una prospettiva strategica, come il primo mattone di una nuova proposta politica che nasce dall’unione di mondi diversi ma contigui. All’improvviso ecco che il capo politico dei 5S scavalca tutti e parla di “terza via": termine che rimanda ad altri dibattiti del passato, assai più elevati. “Terza via” era il tentativo di percorrere una strada riformatrice tra il comunismo sovietico e il capitalismo liberista: era la dottrina economica di Keynes, in un certo senso. Nell’Italia del dopoguerra – anni Cinquanta – era lo spazio politico che il Mondo di Pannunzio si sforzava di individuare tra il conservatorismo democristiano e la sinistra marxista egemonizzata dal Pci di allora. E per venire a tempi più recenti, si chiamò “terza via” il progetto Clinton-Blair, peraltro non troppo fortunato, a cui aderì anche D’Alema. Adesso non è chiaro a cosa voglia alludere Di Maio recuperando l’espressione. Ammesso che Salvini sia la “prima via”, qual è la seconda? Dovrebbe essere il Pd. Ma collocandosi nella photo opportunity umbra, Di Maio rinuncia a rappresentare il terzo polo del sistema, quello su cui i “grillini” hanno costruito le loro fortune proprio contestando gli assetti di potere esistenti. Se passa l’idea di un’intesa strategica fra 5S e Pd (più LeU), Di Maio e i suoi dovranno convergere nella “seconda via”, in chiave bipolare. E nascerà una nuova sinistra dai contenuti ancora fumosi, benché i primi segnali siano poco incoraggianti (giustizialismo, taglio dei parlamentari, assistenzialismo). C’è un altro personaggio che in quella foto non è del tutto a suo agio ed è il presidente del Consiglio. Aveva sminuito l’importanza del voto nella regione, ma poi si è convinto a darsi da fare in campagna elettorale. Segno che teme i contraccolpi a Roma e non ha torto. Nessuno crede che la settimana prossima cadrà il governo, ma in un quadro già precario il risultato umbro potrebbe avere l’effetto di un’infiltrazione d’acqua che corrode le fondamenta dell’edificio. Insieme ad altri fattori, certo: la manovra finanziaria, le possibili novità dal rapporto Barr che prima o poi sarà reso noto, le frizioni nel recinto della maggioranza. Conte in Umbria non aveva voglia di salire su un palco per fare propaganda, ma alla fine quella foto segnala una scelta a cui il premier non ha potuto sottrarsi. Segnala soprattutto un bisogno di protezione politica. E oggi il Pd è in grado di dargliene, se deciderà di farlo, molto più dei Cinque Stelle.