Libero, 25 ottobre 2019
«Così ho comprato una bella filippina»
uoi una ragazza orientale, scopo fidanzamento o convivenza prematrimoniale? C’è un posto dove te la “vendono“: ampia scelta, alta qualità, prezzi modici. È la ANCS di Lissone, premiata agenzia nazionale di cuori solitari; funziona da un anno e mezzo e ha già smerciato un centinaio di “articoli”. Ne avevo sentito parlare, qualcosa avevo letto sui giornali, ma in queste circostanze – anche se è spiacevole dar ragione a Guido Angeli – bisogna provare per credere. E io ci ho provato. Sono andato lì per trattare un acquisto. D’altro canto, se mi fossi presentato da giornalista, mi avrebbero mostrato soltanto la vetrina; invece, nei panni di cliente ho potuto dare un’occhiata dappertutto, anche nel retrobottega. E, vi assicuro, ho scoperto cose interessanti. Il “negozio“è in via Oberdan 36, in una villa squadrata fine anni Cinquanta. Sono ricevuto (...) segue dalla prima VITTORIO FELTRI (...) con grande cordialità da un’impiegata che mi introduce nell’ufficio del titolare, un omone sulla cinquantina, occhiali affumicati, capelli grigi, accento meridionale. Non avevo valutato un aspetto dell’operazione: l’imbarazzo che si prova, sia pure davanti a personale specializzato, nel momento di manifestare non tanto il motivo della visita, che è scontato, dato il luogo, bensì le proprie esigenze. Ma provvede l’agente a mettermi a mio agio, discettando nella delicata faccenda con la stessa disinvoltura come se fosse in ballo una partita di cereali. «Immagino che lei – dice – sia orientato verso una persona sui 20-25 anni». «Anche trenta andrebbero bene. Non sono giovanotto e non aspiro a una bambina». «Scusi, quanti anni ha?». «Quarantadue». «Non li dimostra. Non per farle un complimento, ma può pretendere qualcosa di meno stagionato di una trentenne». «Mi affido all’esperto». «Per semplificare, è necessario compilare una scheda con le sue caratteristiche. Il metodo è serio. Le debbo fare qualche domanda, non per indiscrezione, ma per inquadrare il problema». L’INTERROGATORIO Supponevo che saremmo giunti all’interrogatorio e sono pronto alle bugie indispensabili per recitare correttamente la parte. «Domandi pure». «Professione?». «Ingegnere edile». «Stato civile?». «Separato da tre anni, ho tre figli che stanno con la mia ex moglie». «Okay. Reddito, pressappoco?». «L’anno scorso ho denunciato 108 milioni lordi, sottolineo lordi». «Abbasserei, sa, le filippine e le thailandesi sono abituate alla miseria e non vorrei che si montassero la testa. Facciamo quattro milioni al mese, d’accordo?». «D’accordo, ma prima di perfezionare, mi spieghi come si svolge la pratica». «Dopo questo sondaggio, le sottoporrò un catalogo. Stia tranquillo, ce n’è per ogni palato». «Mi riferivo ai costi». «Sono contenuti. Un milione d’anticipo, per le spese. Due milioni e 800 mila lire per il biglietto d’aereo. Due milioni per l’agenzia, compresa la quota per i nostri corrispondenti di laggiù». «Capisco. Quanto tempo per concludere?». «Se il contratto la soddisfa, nel giro di quaranta giorni, avrà la compagna». «Non posso sposarmi, divorzierò fra due anni. E intanto?». «Ripiegherà sulla convivenza. Guardi, ho esperienza e so che un periodo di rodaggio non guasta, anzi». «Beh, ma dopo averla presa, anche se avesse dei difetti, mica potrei mandarla via». «Certo che potrà. Gliela sostituiremo, gratis. A noi preme che la clientela sia soddisfatta. Ragioniamo così: se la copia risulta male assortita significa che abbiamo sbagliato, e tocca a noi riparare. Teniamo alla professionalità». «E i soldi del viaggio?». «Quelli no, spetterebbe a lei sborsarli. Ma non tema, finora non ci è mai successo di fallire, nessuna contestazione. Saremo fortunati anche stavolta, lo sento». «Lo sento anch’io». «Bravo, andiamo avanti. Qui ci sono due cataloghi. Coraggio apra. Ecco, con calma li sfogli e scelga quattro signorine, non di più. Non abbia fretta, si concentri e annoti i numeri delle selezionate. La lascio da solo per non influenzarla. Frattanto, vado di là da un altro cliente. Tornerò fra dieci minuti». Sono completamente calato nel ruolo e mi impegno nella ricerca. Ma 200 schede disorientano, è difficile estrarne quattro. Su ciascuna spiccano due foto della medesima ragazza, di faccia e di profilo; sotto le generalità, l’altezza, il peso, il titolo di studio, la professione, la nazionalità, la religione, l’anno di nascita, gli hobby. Le esamino tutte, non manca la varietà: donne piccole, magrissime, traccagne, scure e meno scure, giovanissime e mature. Hanno un comune denominatore: lo sguardo smarrito, anche quelle che sorridono. Qualcuna ha sfoderato per l’obiettivo un po’ di civetteria, imitando nella posa gli atteggiamenti leggiadri delle mannequin: tenere nella loro goffaggine, sono sedute con le gambe accavallate, il dorso della mano sulla guancia o l’indice che regge il mento; fresche di parrucchiere, riccioli e cotonature vistose, poveri vestiti di cotone, scarpette appuntite. Ci sono bei volti olivastri con labbra carnose, denti bianchissimi; altri hanno lineamenti duri mascelle contratte, occhi piccoli o socchiusi aria sofferente. Più sfoglio quelle pagine e più cresce in me un senso di malinconia e di vuoto. Ma i minuti trascorrono e devo spicciarmi a separare dal mucchio le quattro che mi vanno più a genio. Con l’impressione di fare un torto alle escluse, mi decido a trascrivere le matricole di quelle che ho privilegiato: 198, 123, 250, 161, che corrispondono a un’architetto, una bibliotecaria, a una ragioniera e a una sarta. E avverto l’omone d’avere esaurito la fatica. Egli ne stima gli esiti e sembra apprezzarli. «Caspita – commenta – ha buon gusto, le piace la donna fine». E riconsegnandomi la quaterna, mi ingiunge di restringere a due la rosa delle candidate. È la tecnica della ditta. Scarto la ragioniera e la sarta. «Ora – continua – metta in ordine di gradimento le rimanenti». Al primo posto eleggo l’architetto. Si chiama Jolanda Barcelon, 24 anni, un metro e 63, 52 chili, filippina, cattolica, ama la lettura, il giardinaggio e il jogging. La foto la ritrae su una poltrona blu, ha un abito a fiori. Al secondo, la bibliotecaria, Norma Samonte, 29 anni, un metro e 56, 52 chili, thailandese, cattolica anche lei. L’ISTANTANEA Nell’istantanea è sdraiata sul muretto, indossa pantaloni neri e maglietta arancione. È carina. Chiedo all’agente perché mi ha imposto di stilare la mini-graduatoria. E lui: «Caso mai il numero uno avesse delle riserve, punteremmo sulla numero due». Poi, mi accosta ad una lampada: «Permette uno scatto? Serve per le aspiranti, è legittimo che si facciano un’idea del pretendente. Un’ultima seccatura, ingegnere: butti giù due righe per creare un aggancio con la ragazza, due frasi gentili. Che vuol mai, sono donne…». Rimango nuovamente solo. La carta bianca mi intimidisce. E spingere la presa in giro così in là, coinvolgendo nell’orribile gioco la poveraccia, mi ripugna. Ma non ho scampo, il rischio è di smascherarmi. Scrivo, in fondo, quel che penso: «Cara Jolanda, credo di aver intuito che nei tuoi occhi ci sia ansia di una vita normale, una casa, dei bambini, un po’ di fiducia nel futuro, una persona vicina che ti dia una mano e una carezza quando sei triste. È quello che ho sempre desiderato anch’io. Vorrei darti tutto questo. Ti aspetto. Un abbraccio…». Quando esco dall’agenzia, provo soltanto amarezza. Unica consolazione la speranza che Jolanda non riceva la lettera. L’omone, letto questo articolo, la bloccherà? Se non per rispetto della destinataria, lo farà perché l’affare è sfumato. Era un espediente per raccontare una storia: mesta ma vera.