Il Sole 24 Ore, 25 ottobre 2019
Storia delle «manette agli evasori»
Anche la nomenclatura delle leggi penali può avere la memoria corta. Soprattutto se inclina alla corrività. È il caso delle «manette agli evasori», ma anche della «spazzacorrotti». Perché, nel campo del penale tributario, sinora, la proverbiale «manette agli evasori» è considerata la legge n. 516 del 1982. Quella che, tra l’altro, oltre a prevedere un generale inasprimento delle pene, attrasse nell’area penale un’ampia casistica di violazioni sino ad allora considerate solo formali e cancellò la pregiudiziale amministrativa, la necessità, cioè, che prima dell’avvio del procedimento penale si fosse completato quello amministrativo. E già allora si introducevano alcune soglie come i 25 o i 100 milioni di lire (di imponibile) per l’omessa dichiarazione, equivalenti a circa 45mila e 180mila euro o come il 2% per gli omessi corrispettivi.
E già allora emerse con una certa evidenza il rischio di un’applicazione viziata da distorsioni. Per esempio, a Torino nel 1985 in due riprese – la prima dedicata a imprenditori e commercianti, la seconda a professionisti – la Guardia di Finanza si presentò, armata (il che all’epoca sollevò un vespaio di polemiche), in case, studi, aziende, negozi, per notificare a 646 persone un decreto di perquisizione che ipotizzava il reato di dichiarazione infedele. E a Milano in procura piovvero 60mila denunce solo per omesso versamento delle ritenute, reato per il quale di soglie non ne erano state previste.
Subito si accesero le polemiche sugli incroci di natura statistica tratti dalle dichiarazioni dei redditi e sul loro discutibile utilizzo sul piano penale, meno legittimo rispetto al piano amministrativo. E a una parziale correzione di tiro si arrivò solo nel 2000 con il decreto legislativo n. 74, che tuttora rappresenta il punto di riferimento del penale tributario, con la rideterminazione delle soglie di rilevanza penale e l’esclusione di infrazioni solo formali dalla sfera di applicabilità della sanzione penale.
Negli ultimi anni sui reati tributari si sono poi esercitati un po’ tutti i Governi, da Monti a Renzi, a conferma dell’irresistibile tentazione a mettere le mani su un campo del diritto penale dell’economia ancora più bisognoso di altri di un minimo di certezza, manovrando soprattutto sul meccanismo delle soglie e con filosofie di intervento diverse. Il Governo Monti nel 2011 mise in campo una decisa stretta, abbassando i limiti di rilevanza per reati come la dichiarazione fraudolenta, cancellando ipotesi attenuate, riducendo gli effetti della sospensione condizionale della pena e i benefici del pagamento del debito tributario; innalzò infine i limiti di prescrizione.
Un utilizzo della leva penale nella lotta all’evasione che però venne in larga parte mitigata dal Governo Renzi che, nel 2015, intervenne a sua volta per alzare le soglie in maniera assai significativa per alcuni reati, dalla dichiarazione infedele, con una tollerabilità passata da 50mila a 150mila euro di imposta evasa – ora potrebbe attestarsi a 100mila -, all’omessa dichiarazione portata a un limite di 50mila euro, dai precedenti 30mila. Ma anche l’omesso versamento di Iva e ritenute vedeva una nuova soglia attestata a 250mila euro dai precedenti 50mila.
Questi sono i limiti ancora in vigore, e tali resteranno fino al debutto del nuovo pacchetto antievasione, prudentemente spostato a una data successiva a quella della legge di conversione.
Ora anche questo settore del penale, come tutti naturalmente, ma più di altri per l’impatto a più livelli che può avere sul sistema impresa, va maneggiato con attenzione. E con chiarezza sugli obiettivi dove – al di là del rischio reputazionale cui si espongono le imprese quando si apre un’indagine penale destinata magari a chiudersi con proscioglimenti dopo anni di indagini e processi (da Dolce e Gabbana a Roberto Cavalli, per restare al comparto moda) – anche sull’assai più vasta platea di piccoli artigiani, commercianti e professionisti bisognerebbe avere nitida la direzione politico-sociale che si intende perseguire. Cercando di evitare segnali contraddittori. Per cui se ci si erge a paladini di questo mondo, sollecitando cautela sui nuovi limiti all’uso del contante, poi è tutto da valutare l’impatto di una norma penale che più che raddoppia i minimi della sanzione detentiva, avallando una politica che con la mano destra promuove il carcere per chi con la sinistra si vuole tenere indenne da modalità di pagamento indigeste.