Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  ottobre 25 Venerdì calendario

Biografia di Nadia Ponti


Nadia Ponti, nata a Torino il 26 ottobre 1949 (70 anni). Terrorista. Esponente di spicco delle Brigate Rosse • Nome di battaglia: «Marta» • «Una inafferrabile primula rossa […], attivissima ma sconosciuta fino al momento in cui il “pentito” Patrizio Peci non rivelò nomi e cognomi, attribuendo ai militanti di varie “colonne” ferimenti e delitti. Cosi emerse la figura di “Marta”. Un ritratto incredibile, che ricalca in pieno le scelte compiute da centinaia di giovani passati da quella che viene definita una vita “normale” alla guerriglia contro lo Stato, anzi contro le persone che in qualche modo lo rappresentano» (La Stampa, 24/12/1980) • A soli 31 anni fu ritenuta responsabile, direttamente o indirettamente, di: un tentato omicidio (un politico dc); due ferimenti (un politico dc e un giornalista); sei omicidi (un giornalista, quattro agenti di pubblica sicurezza, un secondino e il vicepresidente della Montedison) • «A questi delitti bisogna aggiungere l’“inchiesta” preparatoria per l’omicidio di Fulvio Croce, il presidente dell’Ordine degli avvocati che fu la prima vittima torinese delle Br, la preparazione dei volantini che venivano distribuiti dopo gli attentati, l’opera di reclutamento di nuovi complici» (La Stampa, 27/12/1980) • Arrestata nel 1980, condannata all’ergastolo, durante il processo non ha mai voluto collaborare con la giustizia, né avvalersi dell’istituto della dissociazione, cose che le avrebbero portato uno sconto di pena. Ha ottenuto la semilibertà nel 2003 e la libertà condizionale nel 2011 • Già amante di vari terroristi, in carcere ha sposato Vincenzo Guagliardo, anche lui brigatista, anche lui condannato all’ergastolo, anche lui libero dal 2011 • «Se la scelta che hai fatto non aiuta a cambiare, è lei che cambia te».
Titoli di testa «Ho suonato il campanello. Mi ha aperto una signora di mezza età, piccola di statura, dall’aria gentile, occhi azzurri e capelli di un grigio chiaro che le scendevano a caschetto sul viso. Portava un paio di occhiali e indossava uno scialle di lana color prugna. Mi sono presentata. Lei mi ha risposto: “Sono la moglie di Vincenzo. Entra pure”» (dal libro di Sabina Rossa, figlia di Guido Rossa, vittima del terrorismo, L’Espresso, 1/5/2006).
Vita «Il passato di Nadia Ponti non ha nulla di clamoroso, nulla comunque che faccia sorgere sospetti sulla sua vocazione rivoluzionaria» (La Stampa, 24/12/1980) • Viene da una famiglia operaia, è «figlia di un partigiano delle Brigate Garibaldi» (Giovanna Pezzuoli, Corriere della Sera, 5/6/2017) • Ha una vita normale. Cresce con i nonni a Druento, alla periferia di Torino. Si diploma in francese e inglese, poi trova lavoro come impiegata. Nel 1970, a ventuno anni, sposa Cosimo Palmitesta, infermiere al Maria Vittoria, l’ospedale della città • Ma poi, nel 1977, la coppia si separa e per Nadia, «ragazza dai capelli biondi, minuta», inizia la metamorfosi • «Come? Frequentando, dicono, il collettivo politico delle Vallette [un quartiere di Torino, ndr]. Lì, in un bar, si riuniscono giovani che parlano di politica, delle delusioni per i “tradimenti” patiti dentro e fuori le organizzazioni partitiche, anche le più estreme della sinistra. Parlano anche di lotta armata, di sovversione, di impegno di classe non solo teorico» (La Stampa 24/12/1980) • Nadia conosce Raffaele Fiore, un ragazzo di 23 anni, giovanissimo: eppure, anche se sono in pochi a saperlo, ricopre già, con il nome di «Marcello», il grado di capo-colonna delle BR a Torino • I brigatisti, infatti, hanno tutti un nome di battaglia: «Quello di Peci era “Mauro”, quello di Morucci “Matteo”, quello di Bonisoli “Gigi”, quello di Azzolini “Menco”, […], Piancone è “Sergio”. Betassa si è chiamato “Roberto” e “Antonio”, Nicolotti è “Valentino”» (L’Espresso, vol. 26, 1980). A Nadia, dopo un periodo come “irregolare”, danno quello di «Marta» • È entusiasta di unirsi al terrorismo: «Qui mi si aprono prospettive che in una vita normale non sarebbero possibili» (lei, citata dal sito spaziosettanta.it) • Si fidanza con un compagno d’armi, Cristoforo Piancone, romano, un anno più giovane di lei • Entra nella direzione della colonna delle Brigate Rosse di Torino assieme a Raffaele Fiore – il giovane capo – a Rocco Micaletto, a Patrizio Peci, a Piancone stesso. È l’unica donna: «Girava in casa mezza nuda; da questo punto di vista la sua condotta era scorretta. Non perché io sia un moralista ma perché sventolare così le tette sotto il naso di chi è magari mesi che non tocca una ragazza non è né corretto né gentile» (Patrizio Peci a Giordano Bruno Guerri, citato da spaziosettanta.it) • Il 20 aprile 1977 le danno la sua prima missione: deve uccidere Dante Notaristefano, 48 anni, avvocato, consigliere comunale democristiano di Torino, da qualche giorno impiegato al tribunale della città • Sono le due del pomeriggio • «Stavo rientrando a casa in via Lungodora Voghera dall’ufficio. In mano stringevo la borsa dove avevo le delibere da esaminare nel pomeriggio durante il consiglio comunale, i giornali, altri documenti. […] Ho visto tre persone ferme sul bordo della strada. All’improvviso una di loro, una ragazza con un poncho […], ha estratto una pistola e l’ha puntata contro di me. Ho creduto fosse uno scherzo, ma quando ho capito che stava davvero per spararmi ho urlato e alzato istintivamente le braccia. La pallottola ha colpito la borsa e si è fermata nella fodera. Il perito balistico mi ha poi spiegato che spesso la carta oppone più resistenza ad un proiettile di una tavola di legno. Beh, ho cominciato a correre e loro mi hanno sparato ancora, bucandomi i pantaloni ma senza mai colpirmi...» (Meo Ponte, la Repubblica, 9/9/2008) • Notaristefano è fortunato, perché la pistola di Nadia si inceppa, e ne esce illeso • «Un uomo della Dc inserito in un apparato dello Stato […] La prossima volta non sbaglieremo» (la rivendicazione dell’attentato) • Già otto giorni dopo, infatti, un commando delle BR ammazza con cinque colpi di pistola Fulvio Croce, 75 anni, presidente dell’Ordine degli avvocati della città. Durante i processi, regolarmente, i brigatisti rifiutavano l’assistenza dei legali, per mandare in tilt la procedura. La colpa di Croce era di aver designato, su incarico del tribunale, gli avvocati d’ufficio • «È il primo omicidio firmato dalle Br in città. Ne seguiranno altri e Nadia Ponti, ormai pratica nell’uso delle armi, entra a far parte del ristretto gruppo dei killer» (La Stampa 1980) • Fa parte del gruppo che uccide Rosario Berardi, agente di pubblica sicurezza, mentre si reca alla fermata del tram, il giorno dell’inizio del processo ai brigatisti, alle sette del mattino • «Il Maresciallo viene colpito da tre proiettili alla schiena e, dopo essere caduto a terra, cerca di coprirsi il volto con un ultimo gesto istintivo e disperato. Gli assassini sparano ancora, mirando alla testa. Quattro proiettili lo raggiungono al capo e alle braccia: una spietata esecuzione» • «Qui le Brigate Rosse: abbiamo colpito Rosario Berardi. Seguirà un comunicato» (telefonata all’Ansa, ore 8.30) • Tra il ’78 e il ’79 la Ponti organizza altri omicidi e ferimenti. Quasi sempre partecipa • Quando sparano a Lorenzo Cutugno, secondino, quello risponde al fuoco, lei è ferita e va a farsi curare dall’ex marito infermiere, che però non la denuncia • «Nadia è ancora un volto sconosciuto per gli inquirenti. […] Ci penserà Peci a svelare il mistero su quella apparentemente fragile ragazza dai capelli corti. Sarà lui a rivelare che, dopo la cattura di Fiore, capocolonna delle Br a Torino, Nadia ha lavorato al suo fianco in altri efferati omicidi: il più terribile è l’assassinio degli agenti Lanza e Porceddu, falciati all’angolo delle [Carceri] Nuove, all’alba del 15 dicembre ’78. Nel ’79 […] partecipa ad altri ferimenti, ma la fine dell’anno segna il disgregamento della colonna BR a Torino. Viene infatti scoperto dagli inquirenti il covo di corso Lecce; poco dopo Peci è catturato» (La Stampa 24/12/1980) • La Ponti, quindi, si trasferisce in Veneto assieme a Vincenzo Guagliardo. A Padova, i terroristi di Autonomia Operaia sono in crisi, perché li stanno arrestando tutti e le BR cercano di prenderne il posto • «Per il suo esordio nella colonna veneta, Nadia Ponti aveva proposto […] una rapina in un ospedale di Venezia. […] “La sua proposta fu respinta, perché la rapina esigeva un triplice omicidio» (La Stampa 27/12/1980) • Sotto la sua direzione, le BR uccidono il vicequestore della polizia Alfredo Albanese e il vicepresidente della Montedison Sergio Gordi • La Ponti e Vincenzo Guagliardo vengono arrestati in un bar a Torino il 22 dicembre 1980 • Si dichiarano entrambi «prigionieri politici».
Processi Nadia e Vincenzo, durante le udienze del processo, passano il tempo a scambiarsi baci e carezze • Ma lei perde la pazienza quando il suo ex compagno, Patrizio Peci, che ormai sfrutta la legge sui pentiti, intervistato da Enzo Biagi la accusa di aver tradito il loro comune capo, Raffaele Fiore: «Urla ancora nel microfono, abbarbicata alle sbarre della gabbia, l’imputata: “Se Peci pensava che fossi una traditrice perché non mi ha fatto passare per le armi quando era ancora nelle BR?”» • In tribunale Nadia legge un lungo documento: «L’esperienza delle Brigate rosse è finita […] un’esperienza rivoluzionaria della quale abbiamo fatto parte con orgoglio […] Nelle file del potere ci si è resi conto che il processo di frantumazione delle vecchie esperienze guerrigliere non porta necessariamente all’abbandono della lotta... per cui aumentano diffamazioni e calunnie, diventando la normalità di un nuovo terreno di scontro che impareremo a praticare» • Il 17 giugno 1981, dopo cinquantuno ore di camera di Consiglio la Corte d’assise di Torino la condanna a 17 anni e 6 mesi solo per il reato di partecipazione e costituzione di banda armata • Poi, nel 1983, i vari processi Moro le danno l’ergastolo.
Carcere Non ha mai voluto collaborare con la giustizia in cambio di sconti di pena • Si dice convinta che «quando un’organizzazione clandestina si frantuma, ha esaurito la sua funzione» • «Sono ancora in carcere mentre da molti anni potrei essere fuori libera o semilibera come la gran parte di coloro che hanno fatto parte della lotta armata in Italia: per obiezione di coscienza. Non per un attaccamento al passato, ma per rispetto della verità, per onorarla. E la verità è che l’unica scelta individuale in una organizzazione politica, è l’adesione al suo progetto, mentre gli atti compiuti non dipendono dalla volontà del singolo ma da decisioni collettive. La legge premiale consente di uscire dal carcere purché si neghi questa verità e ognuno affronti la sua sorte a prescindere dagli altri. Io non mi sento di collaborare ad un atto di ingiustizia, non potrei vivere sapendo di averlo fatto» (una lettera dal carcere di Opera, vicino a Milano, 1997) • «Come diceva una canzone di oltre vent’anni fa: “cinque anatre volavano a sud, solo una arrivava, ma quel suo volo certo vuole dire che bisognava volare”» (ibidem) • «Chiede di poter trascorrere 45 giorni all’anno accanto al marito, Vincenzo Guagliardo. Una “battaglia dei sentimenti” che li mantiene in vita, crea tra loro una fusione tale da “sognare uno per l’altra”, anche se questa difesa del loro rapporto viene vista da molti compagni come un’ingenuità, un tradimento tout court della politica, un vergognoso ritirarsi nel personale» (Pezzuoli) • «Vincenzo è considerato uno che si è bevuto il cervello dietro una donna, uno senza palle» (lei) • «Vincenzo Guagliardo e Nadia Ponti […] hanno tradotto su pc migliaia di libri per ciechi. Un impiego completamente inventato a Opera insieme ad altri due ex brigatisti, Giulio Cacciotti e Rosaria Bondi. I due uomini stavano in una cella nella sezione maschile, le donne nel reparto femminile, quando iniziarono non avevano nemmeno lo scanner. Trascrivevano riga per riga, come gli amanuensi. Lo scorso autunno il tribunale di sorveglianza ha negato la libertà alla coppia Guagliardo-Ponti, trasferitisi nel frattempo a Roma, dove lavorano presso la coop Soligraf» (Concetto Vecchio, la Repubblica, 5/1/2009) • Dal 2003, il tribunale di sorveglianza le concede la semilibertà - fuori di giorno, dentro di notte – e dal 2011 la libertà condizionale.