la Repubblica, 25 ottobre 2019
Rivolta contro la haka All Blacks
Sleali: dicono che quella danza celebri le loro radici, invece serve solo ad intimorire gli avversari. E a ingrassare gli sponsor. La haka degli All Blacks, i tifosi inglesi che sabato a Yokohama saranno la maggioranza – si gioca Nuova Zelanda-Inghilterra, semifinale dei Mondiali di rugby – proveranno a soffocarla intonando dagli spalti “Swing low, sweet chariot”, antico inno religioso che è diventato la colonna sonora dei successi dei Bianchi della Rosa di Lancaster. Gli irlandesi avevano fatto lo stesso l’altra settimana, cantando “Fields of Athenry” così forte che Perenara – il maori più vecchio in campo, quello che aveva il diritto di guidare i Neri nella cerimonia che precede lo scontro – è andato un po’ in confusione, e con lui i compagni. Però gli è andata male: i Neri hanno vinto, di brutto. Non si sa mai come reagire, quando quelli cominciano ad urlare e a battersi il petto, le cosce, ruotano gli occhi e fanno le linguacce: ignorarli o farli smettere?
«È un vantaggio sleale: loro si caricano, gli avversari restano fermi ad assistere. E si raffreddano. Sempre la stessa recita: con molti atleti bianchi che scimmiottano i nativi, cui hanno rubato l’identità nei secoli. Cinque minuti di pubblicità gratis a chi ha investito nel business All Blacks». Polemica riaccesa – con grande seguito – dal giornalista irlandese Edward MacKenna. Il pubblico l’ultima volta è quasi riuscito a zittire i Neri, scatenando l’indignazione dei neozelandesi: «È la storia del nostro Paese, la raccontiamo con una danza di guerra. Un modo per mostrare rispetto nei confronti dell’avversario. Ci aspettiamo altrettanta sensibilità», spiega Sir John Kirwan. Però i nemici degli All Blacks – tanti, vista la percentuale di successo negli ultimi 10 anni (86 %) dei campioni del mondo – insistono: basta, sta diventando noioso e soprattutto non è sportivo. Fino a 30 anni fa, la haka veniva eseguita solo lontano dalla Nuova Zelanda. «Poi Buck Shelford spinse per farla sempre. Ma alla fine si è trasformata in una recita», racconta Kees Meeuws, pilone Black tra il ’98 e il 2004. Nel 2006, a Cardiff, i gallesi la vietarono «per non dare un ingiusto vantaggio ai neozelandesi». Che la eseguirono negli spogliatoi, e vinsero (29-9). Negli ultimi anni c’è chi ha provato a rispondere in tanti modi, fino a sfiorare lo scontro fisico: è per questo che ora viene eseguita a 10 metri dalla metà campo avversaria. Nel Mondiale 2007, a Marsiglia, il ct azzurro Berbizier ordinò ai suoi di mettersi in cerchio e girare loro le spalle. «Non ero d’accordo», ricorda il capitano di allora, Marco Bortolami. Finì malissimo, 40 punti a zero dopo mezz’ora. «Non credo che la haka c’entrasse più di tanto. Ma è un gioco psicologico: se lo subisci, è solo colpa tua». Eddie Jones, istrionico allenatore dell’Inghilterra, se la ride: «Per me, che cantino gli All Blacks o le Spice Girls è lo stesso».