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 2019  ottobre 24 Giovedì calendario

Migranti, la mafia dei camion

«Ogni secondo vissuto lì dentro è stato molto più penoso dell’acqua del mare che entrava nel gommone nella traversata dalla Turchia, molto più impegnativo di qualsiasi camminata notturna nei boschi al confine, sotto la pioggia e al buio», ci raccontava una giovane curda di appena 14 anni nel 2015, in piena crisi migratoria, descrivendo il suo viaggio nascosta in un camion, dalla Serbia al nord Europa. Raccontava di come gli altri siriani che erano con lei nel cassone battessero contro la parete dell’abitacolo con il gomito, per avvisare l’autista «quando proprio non ce la facevamo più, quando l’aria si faceva così pesante, sporca e calda che non restava quasi più ossigeno da respirare».
Solo quell’anno 860mila persone provenienti soprattutto da Siria e Afghanistan hanno imboccato la rotta balcanica e attraversato la Grecia, la Macedonia o in alternativa la Bulgaria, la Serbia, e l’Ungheria, puntando a nord, verso quell’Europa che, tappa dopo tappa, in un rincorrersi di voci, storie e informazioni più o meno fondate, prendeva per chi era in viaggio i contorni della terra dei sogni. Da allora a oggi, secondo i dati dell’Acnur, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, altri 260mila cittadini extraeuropei hanno fatto illegalmente il loro in- gresso via terra o via mare in Grecia. Come i loro predecessori, hanno puntato verso nord, spesso trovandosi costretti a scegliere vie alternative, mano a mano che i confini dei Balcani si chiudevano e i controlli aumentavano, a seguito della costruzione della recinzione metallica voluta dal governo ungherese di Viktor Orbán dall’estate del 2015, ma anche per il blocco della frontiera greco-macedone nel villaggio frontaliero di Idomeni, fino al controverso accordo firmato il 18 marzo 2016 tra Unione Europea e Turchia per fermare il flusso di migrazione irregolare. Negli anni successivi la rotta balcanica pareva sigillata, anche
se non in maniera ermetica, perché la circolazione di persone non si è mai arrestata del tutto. Ora, negli ultimi mesi, i viaggi sono tornati a intensificarsi: a settembre in Grecia, “porta d’ingresso” della rotta balcanica, sono approdate 10.551 persone, contando solo gli arrivi via mare. Nello stesso mese del 2018 erano state 3.960. Una volta sulla terraferma, oggi come cinque anni fa, quella della “mafia dei camion” è sempre un’opzione che viene presa in considerazione: la chiama così Otman Ilmotaki, un ragazzo palestinese che nell’estate del 2018 aveva raccontato ad Avvenire le difficoltà del suo viaggio. Si trovava in Albania e nei mesi successivi era riuscito ad arrivare a Sarajevo. Ieri lo abbiamo ricontattato. Ora vive in Spagna: «In Bosnia un viaggio in camion costa minimo duemila euro e fino a tremila euro. Ci ho provato, mi sono informato. Per quello che so io, fanno entrare le persone da sotto il mezzo: ci sono come dei buchi vicino alle ruote, spazi attraverso cui introdurre le persone. Da fuori non si vedono, solo l’autista del mezzo sa che sono lì. Nella mafia dei camion c’è gente di cittadinanza varia, europei in generale, tedeschi, inglesi».
I trafficanti condannati per uno degli episodi più drammatici avvenuti a bordo di un camion erano quasi tutti di nazionalità bulgara, tranne uno che era afghano. La loro condanna è arrivata nel 2018, ma la terribile vicenda – che tanto ricorda quella scoperta ieri nell’Essex – risale all’agosto del 2015: la polizia austriaca di pattuglia lungo un’autostrada vicino al confine ungherese aveva individuato un camioncino abbandonato. Una volta aperti i portelloni, gli agenti avevano trovato 71 cadaveri, tra cui quattro bambini. Provenivano da Siria, Iraq e Afghanistan. Partiti dai loro Paesi per salvarsi, avevano trovato la morte nel cuore del sogno europeo.