il Giornale, 24 ottobre 2019
Madame Tussaud raccontata da Edward Carey
Non era Piccola. Cioè, era Piccola, bassa, molto brutta, e geniale. Ma la vita di Anne Marie Tussaud, la Signora delle cere, è stata tutt’altro che Piccola, così come tutt’altro che Piccola è stata, per lo scrittore inglese Edward Carey, l’impresa di trasformarla in romanzo: «Ho impiegato quindici anni per scrivere questo libro, è molto tempo». Non solo scriverlo, direttamente con la voce di Marie, in prima persona: lo ha anche disegnato, magnificamente. Piccola (La nave di Teseo) comincia dalla nascita in un piccolo villaggio dell’Alsazia (è il 1761) di Anne Marie Grosholtz, che perde quasi subito il padre e, poi, anche la madre, quando è a Berna, dal dottor Curtius, medico strambo e appassionato di riproduzioni anatomiche in cera, e arriva fino al trasferimento, con il mentore Curtius appunto, a Parigi, dove Marie insegna alla sorella del Re, diventa una celebrità, attraversa la Rivoluzione, finisce in carcere, perde l’amato Edmund, sposa il signor Tussaud (un inetto), ha due figli, emigra a Londra e crea una casa-museo delle cere, in Baker Street. E qui muore, a 89 anni.
Davvero ha impiegato 15 anni?
«È vero. Alcuni libri si lasciano scrivere facilmente, questo era un mostro. Lo avevo abbandonato».
Poi?
«Poi, dopo la trilogia per bambini degli Iremonger, mi è tornato l’amore per la scrittura e ho ripreso in mano Madame Tussaud. Ho sentito distintamente la sua voce nella mia testa, e gli ultimi due anni sono stati molto più facili».
Quante ricerche ha fatto?
«Pensavo di affogare nelle ricerche. Ho letto libri su Versailles, sulla Rivoluzione francese, su tutti quei personaggi così affascinanti, resoconti dei contemporanei. Ma è stato Louis-Sébastien Mercier che ha cambiato la mia prospettiva, con il racconto della Parigi del suo tempo: scrivendo della vita quotidiana, delle persone della strada, mi ha svelato la città».
Gli fa fare una brutta fine.
«Dopo la Rivoluzione, Parigi per lui non è più riconoscibile, e le sue adorate scarpe lo tradiscono... Mercier non è riuscito a reinventarsi, a differenza di altri, come Jacques Louis David, un mostro, uno che è il pittore dell’Ancien régime, poi della Rivoluzione e, infine, di Napoleone».
Ha un po’ lo sguardo di Mercier?
«Nel mio romanzo la storia non è vissuta solo da Robespierre o Saint-Just o Napoleone, bensì da una personcina della strada, una di quelle che, di solito, sono schiacciate dall’esperienza della storia».
Racconta la grande storia guardando la storia di una Piccola?
«Per esempio racconto quello che successe due giorni prima della presa della Bastiglia, quando la folla rubò due teste di cera dalla casa di Curtius e Marie, quelle del ministro Necker e del duca d’Orléans, e le portò in corteo, marciando per le strade della città. Incredibile».
C’è un legame inquietante fra le teste di Marie e le teste tagliate della Rivoluzione.
«Lo trovo divertente. E bizzarro. Marie e Curtius facevano le teste già prima che la ghigliottina le rendesse il piatto del giorno: erano teste di persone belle, intelligenti, nobili, anche assassini, e le facevano per un bisogno di copiare la realtà».
Come nel caso di Marat assassinato?
«Furono obbligati a fare la riproduzione del suo cadavere nella vasca da bagno: glielo ordinarono perché era estate e il corpo si stava decomponendo in fretta; così, da quella copia in cera, David poté dipingere il suo celebre quadro, che è un capolavoro della propaganda, uno dei peggiori prodotti dell’arte che siano mai stati creati. Abominevole e meraviglioso».
Non è disgustoso maneggiare teste?
«Basta immaginare il peso, fisico, di una testa umana in grembo... Credo che Marie avesse come un desiderio, una necessità di farlo. Allo stesso tempo, queste opere sono dei pezzetti di verità, delle descrizioni reali del comportamento umano: se vive in un periodo terribile, il giornalista lo mostra come sanguinario e mostruoso. E Madame Tussaud era una opportunista».
Era una reporter, come dice Curtius?
«Lui cerca di autogiustificarsi, perché c’è qualcosa di repellente in queste teste mozzate; però queste teste, e anche i corpi, esistono ancora, e possiamo vederli».
È vero che Marie fece la testa, tagliata, di Luigi XVI?
«Così diceva. Io la amo, era una donna straordinaria, però raccontava un sacco di frottole. Del resto era un’imprenditrice grandiosa».
«La cera è vera», come dice Marie?
«Sì. È una copia della pelle umana, precisa, onesta al cento per cento. Però, quando la guardi, c’è qualcosa di spaventoso in essa, perché anche il ritratto di una persona vivente ha una relazione più vicina alla morte che alla vita. L’opera in cera è il gradino fra la vita e la morte».
Nel libro ci sono anche i suoi disegni, bellissimi.
«Per me il disegno è un’altra voce. Ho anche intagliato una donna in legno, a misura reale, con i capelli di mia moglie. I miei figli la usano come sedia».
Come ha deciso di raccontare questa storia?
«Da giovane ho lavorato da Madame Tussauds, a Londra. Dovevo proteggere le statue e, spesso, rimanevo da solo con loro: così ho scoperto che hanno una loro personalità, che la statua di Voltaire, per esempio, ha la sua personalità, che non è quella di Voltaire. E lì ho appreso della sua vita incredibile: Marie è una figura del mito, eppure è successo tutto, davvero. L’ultima statua è la sua, quella di una piccola donna straordinaria. Che ha incontrato, e ritratto, persone straordinarie, da Robespierre a Napoleone».
Anche il suo successo, ottenuto da sola, è stupefacente.
«È la storia di una sopravvissuta: un’orfana, piccolina, quante chance aveva? E invece ha avuto un successo immenso, ed è sopravvissuta a un periodo sanguinoso. E al carcere, dove, raccontava, aveva incontrato Giuseppina, la futura moglie di Napoleone».
È vero che, a Londra, Dickens andava a trovarla per trovare ispirazione nelle sue storie?
«Madame Tussaud è uno dei personaggi della Bottega dell’antiquario. Ed è vero, Dickens andava spesso in visita da lei, e le rubava le storie ma, del resto, anche lei era una ladra...».