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 2019  ottobre 24 Giovedì calendario

Maltempo, quanto rimpianto per Cavour

Le cronache del maltempo di questi giorni si assomigliano tutte: cambiano solo la collocazione geografica e le cause metereologiche che le provocano. Quanto s’è visto non è che l’anticipo di quanto accadrà in Italia.
Il maltempo è una condizione naturale dell’autunno e di certo la protezione civile è stata attrezzata di mezzi e di uomini per rispondere alle emergenze. Ma rispondere alle emergenze equivale a medicare le ferite, non a curare l’ammalato.
Eppure “La difesa della patria è sacro dovere del cittadino”, recita l’art. 52 della Costituzione: i padri costituenti non si riferivano solo ai confini del paese da aggressioni esterne ma alla difesa dell’insieme di valli, montagne, fiumi, laghi, coste, paludi, città, insediamenti e quadri geografici. Questi principi hanno la loro esplicita enunciazione nell’ art. 9 della Carta: la Repubblica “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione”.
Il dibattito su questo articolo durò un anno dal 1946 al 1947 e si giunse a una formulazione efficace nella sua secchezza che è un unicum al mondo e parte dei principi fondamentali dello Stato. La tutela del paesaggio risaliva alle leggi di tutela dell’Italia liberale (1902, 1909), alla legge Croce (1922), alle leggi Bottai (1939), di fatto scritte da Argan e Brandi, e alla legge urbanistica (1942) scritta anche da Piccinato.
Le leggi nulla avevano di fascista. L’art. 9 ometteva – e fu dimenticanza gravida di conseguenze – l’assoluta rilevanza della conservazione della natura, intesa non come valore estetico (il paesaggio di Croce e Bottai), ma quell’insieme atropogeografico che è lo scheletro portante dell’Italia. Qui non si tratta di valori estetici “di non comune bellezza”, ma dell’essenza della natura con le leggi scientifiche che la governano ed essa costituisce quell’insieme che oggi si indica come ecologico. Va da sé che questa debolezza intrinseca veniva surrogata nel rimando “alla cultura e alla ricerca scientifica” di un altro articolo della Carta. Sul tema sono intervenuti insigni giuristi e storici e i più sono giunti alla conclusione che nel corso della storia repubblicana questi stessi principi fondanti sono stati nel tempo annacquati o distorti da revisioni, sentenze, addenda nel cui merito è impossibile soffermarsi. Ma non v’è dubbio che alla radice di tutto l’impianto giuridico, storico e culturale del paese grava ancora quel che Enrico Bellone, uno storico della scienza, espose nel saggio La Scienza negata (2005), inopinatamente trascurato anche dai più attenti esegeti del disastro Italia.
Il male è dunque antico ed è radicato nella sottovalutazione delle scienze nella cultura e nella politica dell’Italia contemporanea. La scissione tra arti e scienze è alla radice del drammatico spettacolo di cui siamo impotenti spettatori. Gli articoli citati della Carta non nascevano dal nulla, ma dalla legislazione dell’Italia preunitaria che almeno alcuni dei padri costituenti dovevano ben conoscere. Il Lombardo-Veneto, parte dell’Impero Asburgico, aveva un sistema di controllo del territorio esemplare; a partire dai primi del Settecento Vittorio Amedeo II di Savoia, con spirito illuminato e mosso da dominanti ragioni militari, organizzò il sistema stradale e idraulico; si sa bene quanto Cavour fosse stato appassionato e consapevole nell’affrontare la gestione agricola delle campagne e montagne piemontesi.
La Repubblica di Venezia fino alla sua caduta nel 1799 aveva leggi severissime per la gestione non solo della laguna, ma dei territori della Serenissima. Il Gran Ducato di Toscana ebbe fortuna quando rientrò in un sistema di gestione e di controllo del territorio del tutto simile a quello asburgico. Non è un caso che in una mappa comparata dell’Italia post-unitaria, liberale, fascista e repubblicana queste regioni hanno retto assai meglio di quanto non sia accaduto in altre aree del paese. I vasti territori dello Stato Pontificio e del Regno di Napoli erano terre vituperate da viaggiatori di ogni nazione per lo stato d’abbandono di strade, fiumi e montagne.
Ma vorrei capire come si prepara l’Italia del presidente Conte al maltempo dell’inverno. Quale programma è stato varato perché si ponga mano a questo sfascio della Bella Italia? Se si consultano i dati forniti da enti pubblici e istituti di ricerca si resta delusi. Tra le priorità strategiche per l’economia e lo sviluppo del Paese c’è il rischio idrogeologico, il territorio nazionale è fragile e l’erosione edilizia si mangia campagne e aree urbane con voracità. Mettere al sicuro il Paese sarà un’impresa ciclopica: esige ingenti risorse per alcuni decenni e un lavoro di manutenzione quotidiana che va programmata. Una politica saggia che guardi al futuro deve occuparsi di questi temi.