il Fatto Quotidiano, 23 ottobre 2019
Lingerie in pelle d’agnello
Buongiorno, sto seguendo sui social le polemiche contro l’azienda Intimissimi, che ha appena lanciato una linea di lingerie in pelle d’agnello, attirandosi le critiche del mondo veg: a Milano, addirittura, c’è stato anche un blitz animalista davanti a un negozio della catena. Io non sono vegana, né animalista, ma quest’operazione commerciale mi sembra inutile, se non anacronistica.
Carlotta Petroni
Gentile Carlotta, la prima reazione a questa campagna ricorda il vecchio dubbio “Mi si nota di più se mi adeguo all’ambientalismo/veganismo dilagante o se rompo l’asse dei buoni e faccio parlare comunque di me?”. Se il principio da cui sono nati reggiseni e perizomi di pelle d’agnello fosse questo, saremmo di fronte a una campagna di marketing. Il “purché se ne parli”, come tutti sanno, funziona alla grande. Anche perché, rispetto alla maggioranza di donne ormai consapevoli e responsabili nei consumi, c’è sempre una minoranza (abbondante) che se ne frega e preferisce vestirsi di pelle piuttosto che di cotone di dubbia provenienza (del resto: dove è coltivato? E da chi? Siamo sicuri che non utilizzino “schiavi” o bambini?). Ho paura, però, che questa risposta sia troppo semplice. In alcune mail inviate alle consumatrici arrabbiate, l’azienda avrebbe tentato di mettere una toppa che è peggio del buco e, come la pelle d’animale sotto il sole delle ottobrate romane, puzza dalla testa. Care amiche, avrebbero risposto da Intimissimi, non vi preoccupate per i poveri cuccioli: abbiamo utilizzato solo “pelle di scarto”, ovvero la pelle di quegli animali portati al macello per fini alimentari. Gli arrosticini nel piatto, il tessuto epiteliale sotto le tette, perché dell’agnello, come del maiale, non si butta via niente. Ora, al di là dell’avversione che desta una simile affermazione (ma la sensibilità è personale e lungi da chi scrive giudicare), resta il fatto che nel 2019, dopo che Greta ha solcato l’Atlantico per puntare il dito contro i grandi della Terra, tornare alla pelle animale e per di più per l’intimo è decisamente anacronistico, come scrive lei. Sono tantissime le aziende che – seppur cavalcando l’onda animal-ambientalista – hanno immesso sul mercato prodotti “veg” (vedi i jeans Carrera, credo ultimi in ordine di tempo). Allora decisamente non c’è motivo per utilizzare nemmeno gli scarti animali, né per convenienza né per marketing. E se proprio non ci rassegniamo al modello “Jessica” di “Viaggi di nozze”, beh, lo si può fare strano anche in ecopelle.