La Stampa, 23 ottobre 2019
Intervista a Isabelle Allende
La scrittrice di lingua spagnola più letta al mondo (22 romanzi, tradotta in 35 lingue, 67 milioni di copie) è una pasionaria della vita e della scrittura. A settantasette anni, energizzata dal recente terzo matrimonio, la cilena naturalizzata americana Isabel Allende arriva in libreria con Lungo petalo di mare (Feltrinelli, pp. 352, € 19,50), un nuovo romanzo che affonda le radici nella Storia ma non potrebbe essere più attuale: quella tra Roser e Victor è qualcosa di più di una storia d’amore. Sullo sfondo rifugiati politici, esilio, migrazioni, identità, diversità e appartenenza. La stessa Isabel Allende, nipote del presidente socialista Salvador destituito dal colpo di stato di Pinochet, fu costretta all’esilio.
Perché il libro inizia con la guerra civile spagnola?
«Avevo sentito della vicenda dei rifugiati del Winnipeg che Pablo Neruda portò in Cile nel 1939, ma è solo ora, quando la condizione di milioni di rifugiati è diventata parte della coscienza collettiva, che ho sentito il bisogno di scriverla. Per spiegare perché quelle persone dovevano fuggire dall’Europa, ho dovuto parlare della guerra civile in Spagna».
Lei parte da Franco e arriva a Pinochet. Questo «demonio chiamato fascismo» come lei lo definisce, può tornare?
«Il fascismo è sempre presente nel mondo, prende forme diverse: nazionalismo, autoritarismo, razzismo, xenofobia, misoginia ed esclusione di chiunque non sia d’accordo. Crea uno stato di repressione e paura. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il fascismo è stato universalmente condannato, ma ciò non significa che sia scomparso. È stato semplicemente messo sotto controllo in quei paesi che danno valore alla democrazia. Certo, potrebbe tornare. Oggi ne vediamo chiari segni».
In Cile sono tornati i carri armati per le strade, come in quegli anni.
«Sebbene il paese sembri prospero, la distribuzione della ricchezza è spaventosa. Le persone vivono di credito o in condizioni di povertà. Il neoliberismo, la cui unica preoccupazione è il profitto, ha creato prosperità nelle statistiche, ma è un sistema crudele per i lavoratori. Ha concentrato la ricchezza in poche mani. In Cile quasi tutto è stato privatizzato: elettricità, acqua, gas, sanità, trasporti, istruzione, pensioni, ecc. Anche le foreste sono state vendute a scopo di lucro. La disuguaglianza crea violenza. Tutte le rivoluzioni iniziano con la disuguaglianza. Ascolta le persone!»
Pablo Neruda ha descritto il Cile come «un lungo petalo di mare, vino e neve», da cui il titolo. Ogni capitolo si apre con un suo verso.
«Questo libro non sarebbe stato possibile senza Pablo Neruda: ebbe l’idea di portare i rifugiati repubblicani in Cile, ha personalmente convinto il presidente cileno ad accettarli e riuscì a trovare i soldi. Disse che forse la sua poesia sarebbe stata dimenticata, ma il poema del Winnipeg sarebbe sempre stato ricordato».
L’ha mai incontrato di persona?
«Sì, in Cile nel 1973, poco prima del colpo di Stato. Neruda morì undici giorni dopo. È stato detto che è stato avvelenato da Pinochet ma forse è morto di cuore spezzato…»
Il libro è dedicato ai «naviganti della speranza». Chi sono?
«Sono i rifugiati del Winnipeg nel romanzo, ma rappresentano anche i migranti e i rifugiati che vagano per il mondo oggi. Stanno scappando per le loro vite, sono disperati e sperano di trovare un posto nel mondo in cui possano essere al sicuro».
Il suo è un libro molto politico. Tocca temi molto attuali, ma anche senza tempo…
«Sì, sfortunatamente la tragedia di 500 mila rifugiati spagnoli nel 1939 oggi si è moltiplicata. Ci sono oltre 60 milioni di rifugiati nel mondo, principalmente donne e bambini. Tutti conoscono la difficile situazione dei migranti siriani e africani in Europa. Negli Stati Uniti ci sono migliaia di richiedenti asilo al confine meridionale. Stanno fuggendo dall’estrema violenza e povertà nell’America centrale, principalmente in Honduras, Guatemala e Salvador, paesi con governi falliti in cui il crimine, i traffici illeciti e la corruzione dilagano. Queste persone vivono in condizioni orribili. I bambini sono stati separati dai genitori e messi in gabbia. Le famiglie sono distrutte. È una situazione vergognosa che Trump usa come propaganda. La storia giudicherà duramente gli americani per questo».
Victor Pey, il giornalista che ispira il personaggio principale, era amico di suo zio Salvador Allende. Ci racconta come?
«Víctor conobbe Salvador Allende molto prima che diventasse presidente, giocavano a scacchi insieme, proprio come nel libro. Allende aveva molti amici tra i rifugiati del Winnipeg. Molti dei quali erano intellettuali e artisti».
Ancora il Cile e Allende: la sua morte ha cambiato non solo la sua vita ma anche quella di milioni di cileni. Lei fu costretta all’esilio. È questo il prezzo da pagare per la libertà?
«A volte l’esilio è il prezzo della libertà, ma più spesso è il prezzo della sicurezza, nient’altro. Le persone stanno scappando dalla morte. È stato così in America Latina. Durante i decenni degli anni ’70 e ’80 molti paesi del continente hanno subito colpi di stato militari, dittatura e brutale repressione. Milioni di persone sono state sfollate. E questo è il caso oggi in Siria».
Nel Cile machista in cui lei è cresciuta e che racconta, i suoi personaggi femminili sono sempre donne forti e piene di speranza. Ha senso definirsi femminista oggi?
«Certo. Le mie donne sono molto forti proprio perché devono sopravvivere in un patriarcato. Le donne devono essere sempre vigili per difendere i diritti acquisiti e devono lavorare insieme per sostituire il patriarcato con una civiltà in cui donne e uomini condividano la gestione del mondo in parità. Solo così possiamo sperare in pace e prosperità per tutti, non solo i privilegiati».