Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  ottobre 23 Mercoledì calendario

Evali, la malattia dei fumatori elettronici

Malattie in cerca di nomi. Non ne aveva ancora uno la misteriosa patologia polmonare, battezzata questi giorni col nome di Evali, un acronimo della malattia in inglese , traducibile con "danni polmonare associati all’uso di sigarette elettroniche o vaping". Si tratta dell’ultima arrivata nell’elenco delle malattie dell’ Oms presenti nella "Classificazione statistica Internazionale delle malattie e dei problemi sanitari correlati" che di recente ha fatto posto al gaming disorder, ovvero la dipendenza da videogiochi. E così siamo a 55000 malattie e sindromi, parte delle quali, c’è da dire, legate al processo di medicalizzazione della nostra vita e alla tendenza, in continua espansione, a costruire realtà patologiche. Come, per fare un solo esempio, la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (Adhd), divenuta, a partire dagli anni Ottanta, una patologia che sembrava dilagare – come mai prima - tra bambini "con l’argento vivo addosso", si sarebbe detto un tempo. Irrequietezza, iperattività e/o l’impulsività, ridotta capacità di concentrazione a scuola, diventavano i sintomi di una malattia da curare con un farmaco. 
Ma Evali, che ha fatto notizia sui media, non è un’entità astratta a cui, per i più vari motivi, viene dato un nome. Comparsa alla ribalta in aprile, ha finora manifestato la sua minacciosa presenza solo negli Stati Uniti, dove si contano 1299 casi presunti e 26 decessi in 49 Stati. Un mistero, che fa il paio con quello che riguarda l’insieme di sostanze implicate nello scatenarsi della misteriosa malattia polmonare. Segnalata con distratta intermittenza qui da noi, nel Vecchio Continente, la malattia, una volta identificata in un gruppo di pazienti, doveva necessariamente ricevere un nome, in modo che possa essere descritta, studiata e trattata. Ora, battezzare una condizione patologica è una faccenda maledettamente seria. Intanto il nome deve essere appropriato, scientificamente valido, socialmente accettabile. Una volta entrato nell’uso comune attraverso Internet e social diventa virale, ed è difficilissimo cambiarlo, come ci ricordano i casi dell’influenza suina e di quella aviaria. 
Una scelta impegnativa, dunque, che deve aver richiesto un surplus di riflessione da parte degli esperti e dei ricercatori del Cdc e della Food and Drug Administration. Escluso che si possa dare a una malattia, il nome del luogo in cui si sono verificati i primi casi (l’incolpevole Spagna è associata da sempre alla pandemia influenzale del 1918, la più terrificante di tutti i tempi), occorre rifarsi alle linee guida dell’Oms che, qualche anno fa, di fronte all’incalzare di malattie sempre nuove, ha deciso di fornire anche le coordinate sociologiche e antropologiche. Sono da evitare oltre ai riferimenti ai luoghi, quelli a comunità etniche e religiose, che implicherebbero rischi di stigmatizzazione. E, ancora, nomi che colpevolizzino le vittime, come avvenne negli anni Ottanta, quando la scoperta dei primi focolai epidemici a Chicago, tra gruppi di omosessuali, suggerì il nome di "gay cancer" e poi Grid, acronimo di "Gay Related Immune Deficiency", sostituiti poi da Hiv/Aids. Tramontato l’uso di dare alle malattie il nome di persone, scopritori di una determinata condizione morbosa (malattia di Alzheimer, di Parkinson, di Creutzfeldt-Jakob, Chagas), le malattie presenti e future dovranno evitare termini lugubri, come sconosciuta o fatale, e contenere termini descrittivi e generici, legati ai sintomi e alle manifestazioni. Il nome della nuova malattia – "danno polmonare associato all’uso di sigarette elettroniche o vaping" non ha convinto tutti : e il British Medica Journal ha dato voce alle critiche che arrivano dall’Europa. Dopotutto, a differenza dell’Hiv o della Sars, che non conoscevano confini, Evali è finora confinato agli Stati Uniti, per ragioni non chiarite. Nel Regno Unito è stata identificata una sola vittima dopo quasi 10 anni di utilizzo di sigarette elettroniche e non ci sono cartellini gialli ufficiali che annuncino pericoli. Mentre l’allarme per una malattia che rimanda al "danno polmonare associato all’uso di sigarette elettroniche o vaping", rischia di dissuadere i fumatori britannici dall’uso dei migliori aiuti di cui attualmente si dispone per smettere di fumare.