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 2019  ottobre 23 Mercoledì calendario

Genoa, l’assalto della Cina

L’ambasciatore americano in Italia, Lewis M. Eisenberg, giovedì scorso a Washington ha aperto i lavori del Consiglio per le Relazioni Italia-Stati Uniti con un discorso tipico della "seconda guerra fredda": un monito agli italiani perché non sottovalutino i nuovi pericoli per la sicurezza nazionale. Era chiaro che si riferiva alla Cina. Eisenberg vigila sulla penetrazione cinese nelle infrastrutture italiane. È un esperto: prima di essere mandato a Roma da Donald Trump fu al vertice della Port Authority di New York e New Jersey. Cioè l’ente che gestisce il maggiore porto americano sull’Atlantico.
Genova è in cima alle preoccupazioni di Eisenberg, ed è un osservatorio speciale per capire come la Cina avanza in casa nostra. Una collina con vista mare, gli Erzelli, è un pu nto di partenza per questa esplorazione. Lì c’è una sede dell’Istituto Italiano di Tecnologia, circondata da aziende dei settori biomedico, informatico, della robotica e delle telecom. È anche un "belvedere" affacciato sul porto di Genova, infrastruttura che collega Europa, Norditalia, Mediterraneo. La Cina è già qui in veste di proprietaria, magari a nostra insaputa. Gli americani, loro, ne sono consapevoli.
L’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit), è una piccola Silicon Valley in casa nostra. È un’eccellenza riconosciuta nel mondo, perfino sorprendente in una città come Genova che troppo spesso è stata sinonimo di decadenza, o addirittura tragedia con il Ponte Morandi. All’Iit lavorano 1.700 ricercatori. Un terzo sono stranieri, venuti da ogni angolo del pianeta, America inclusa. Il 16% sono "cervelli di ritorno", giovani talenti italiani che erano espatriati e ora hanno trovato un’opportunità nel paese natale. Operano in settori di punta come le scienze della vita (biogenetica), la nano-matematica, l’intelligenza artificiale, i super-computer del futuro. Proprio come nelle università americane l’Iit combina la ricerca pura e le applicazioni imprenditoriali: ha già partorito dal suo interno 20 start-up, germogli di aziende. Un simile incubatore d’imprese e vivaio di innovazioni attira le multinazionali: agli Erzelli e dintorni si sono insediate Siemens, Ericsson, Nikon; altre stanno arrivando. Ci sono grandi enti pubblici come l’Agenzia Spaziale Europea che commissionano lavori alle squadre di giovani scienziati.
Sulle alture di Genova si lavora alla nano-medicina che consente di trasportare il farmaco esattamente in quel micro-ambiente dentro l’organismo umano dove deve agire. Un altro laboratorio del campus si occupa di un materiale avveniristico, il grafene. È la cosa più sottile che esista in natura, un foglio di grafene ha lo spessore dell’atomo. È più robusto e flessibile dell’acciaio, ha doti prodigiose come conduttore elettrico e termico. Siamo appena agli albori nell’intuire le potenzialità di un materiale che potrebbe dischiudere nuovi orizzonti al risparmio energetico, alla tutela dell’ambiente. In un altro reparto dell’Iit circolano gli I-Cub, "cuccioli di robot", piccole macchine umanoidi oppure centauri, quadrupedi dal corpo umano o quasi. Una linea di questi I-Cub viene concepita e addestrata per le emergenze: devono sostituirsi a noi per intervenire in caso di frane, terremoti, incendi, inondazioni, attentati terroristici. Altre squadre di ricercatori lavorano sulla "economia circolare", l’immagine coniata per descrivere non solo il riciclo e il riuso, la raccolta differenziata e i materiali organici: l’idea di economia circolare evoca una sorta di equilibrio ambientale permanente.
Un gioiello come l’Iit non passa inosservato dall’altra parte del mondo. È già finita nelle mani di un proprietario cinese una delle aziende- simbolo di questa Genova hi-tech, la Esaote: all’avanguardia nella biomedica made in Italy, per esempio la produzione di apparecchiature per risonanze magnetiche. In questo caso c’è stata un’acquisizione da parte di un soggetto privato cinese, che con Esaote "presidia" gli Erzelli e così ha messo un piede nel campus tecnologico. C’è un interessamento crescente di Tencent, uno dei campioni nazionali su cui punta Xi Jinping. Tencent è la "T" nell’acronimo Bat, insieme a Baidu e Alibaba: sono l’equivalente di Apple Amazon Google, i giganti digitali che hanno costruito posizioni dominanti in Cina e ne hanno espulso gli americani. È aumentato anche l’attivismo di Huawei, il colosso delle telecom che è diventato la bestia nera dell’Amministrazione Trump. È imminente l’inaugurazione di una nuova filiale di Huawei a Genova. Tutto questo accade mentre Washington tenta di stendere un cordone sanitario attorno a Huawei, invitando gli alleati a fare quadrato, in un embargo contro la telefonia 5G "made in China".
I vertici dell’Iit parlano di una Cina «molto visibile nel campo della robotica, o sui nuovi materiali come il grafene». Constatano che «da qualche anno alcuni dei principali convegni mondiali sulla robotica e l’intelligenza artificiale si sono tenuti a Shanghai, Pechino Hong Kong, Macao ». Aggiungono che «la Chinese Academy of Science è ormai la numero uno per pubblicazioni scientifiche di alto livello nei settori in cui operiamo». I cinesi bussano spesso alle porte dell’Iit per proporre collaborazioni, «ma meno lo diciamo agli americani meglio è, con l’aria che tira ». Un centro di eccellenza nella ricerca scientifica come l’Iit sente soffiare il vento premonitore della nuova guerra fredda. Deve muoversi con cautela. È un’istituzione pubblica e la maggior parte dei suoi fondi vengono dal nostro Ministero dell’Economia, seguito dall’Unione europea. Tutto ciò che avviene sulla collina degli Erzelli rischia di essere interpretato come una scelta di campo dell’Italia, nel confronto bipolare Usa-Cina.
Lo scivolamento del mondo verso la logica dei blocchi, degli schieramenti, è ancora più evidente quando dagli Erzelli si scende verso il mare. Si è parlato molto del porto di Genova come un oggetto del desiderio cinese, quando ci fu la visita di Xi Jinping in Italia e il primo governo Conte accettò di entrare nel progetto Belt and Road firmando un Memorandum ufficiale (23 marzo 2019). In quel documento erano contenuti "protocolli d’intesa" sui porti di Genova e di Trieste. Di tutte le ricchezze italiane, le infrastrutture marittime sono quelle che suscitano l’appetito più immediato. I trasporti navali sono vitali per una superpotenza che ha costruito la sua ricchezza sul commercio estero. La Cina è una grande esportatrice e anche una vorace importatrice (di petrolio, cereali, soia, carni). Alcune Vie della Seta storicamente sfociano nel Mediterraneo, "corridoio" che le merci cinesi usano dai tempi dell’antica Roma. La Repubblica Popolare non può correre il rischio che il clima da nuova guerra fredda le precluda alcune rotte di navigazione, o che certi porti stranieri diventino inaccessibili in seguito a qualche forma di embargo.
Sono scenari estremi, ma chi governa Pechino deve tenerli in considerazione. Se i venti del protezionismo preannunciano un cambiamento durevole, allora i cinesi devono correre ai ripari. La loro penetrazione nelle infrastrutture portuali serve a quello. Proprio per questa ragione, quando Conte ha firmato il Memorandum con Xi e in quel documento sono apparsi i porti di Genova e Trieste, l’allarme è scattato subito a Washington. Oltre alle condanne formali per l’ingresso dell’Italia nella Via della Seta, si sono moltiplicate le pressioni informali. Genova, già abituata ad essere un crocevia commerciale, è diventata anche una frontiera calda della geopolitica, con visite ravvicinate di diplomatici americani e ministri cinesi. Ci sono città che hanno avuto già il destino di essere "linee rosse", confini tra imperi: nell’ultima guerra fredda questo ruolo in Europa toccò a Berlino, Vienna, Helsinki. Nella prossima sfida tra imperi non solo Genova e Trieste ma l’Italia intera in quanto ponte sul Mediterraneo potrebbe svolgere una funzione simile.
«I cinesi — raccontano le autorità portuali chiedendo discrezione — hanno capito di essere sotto i riflettori. Ogni loro mossa ha subito una visibilità estrema. Perciò, passata la fase delle cerimonie e dei trattati, hanno adottato un atteggiamento pragmatico e un profilo più basso. Visto l’allarme che le loro incursioni in Italia suscitano a Washington, hanno appreso la lezione e hanno cominciato a invitarci a casa loro». La Port Authority che governa lo scalo di Genova si è vista offrire delle operazioni di cooperazione in alcuni porti cinesi, la partecipazione ad attività locali nella logistica. L’attrazione è forte anche perché la Cina è ormai all’avanguardia mondiale nell’e-commerce.
Nello scalo container di Vado Ligure i cinesi sono già semi-padroni, col 49% del capitale e in società con i danesi della Maersk. Lì vicino un’altra potenza asiatica è padrona di uno scalo ancora più grande. Il porto di Voltri-Prà gestisce il transito di 1,7 milioni di container all’anno. È in mano alla Port Authority di Singapore, la piccola città-Stato che nell’ambito marittimo è una vera superpotenza. Di recente Singapore ha esteso il suo controllo a un altro terminal container di Genova, il Sech.
Singapore è un caso interessante per molte ragioni. Dragone in miniatura, vive in casa propria una situazione simile a quella dell’Italia e dell’Europa. Il dilemma della nuova guerra fredda — "da che parte stare" — si pone in modo stringente a Singapore. La Cina le è vicina geograficamente, inoltre nella composizione multietnica della metropoli sono i cinesi ad aver avuto un ruolo dominante con il fondatore politico della città-Stato, Lee Kuan Yew.
I leader comunisti cinesi hanno sempre ammirato il confucianesimo autoritario di Singapore, versione di destra del modello a cui aspirano loro. Per avere una polizza assicurativa contro l’eccessiva vicinanza della Cina, il governo di Singapore è sempre stato un amico degli Stati Uniti, soprattutto dal punto di vista militare. Con sottile equilibrismo Singapore è riuscita ad avere rapporti eccellenti sia con Washington sia con Pechino. Questo ha consentito la crescita di un business navale dove Singapore è un gigante globale, investe nei porti occidentali, senza essere accolta con i sospetti che circondano i cinesi. Oltre che a Savona la Port Authority di Singapore è azionista degli scali di Anversa (Belgio) e Danzica (Polonia). Per decenni nessuno ha obiettato al fatto che Singapore diventasse una sorta di Svizzera del Sudest asiatico — compreso il ruolo di paradiso fiscale — ma la prova del fuoco deve ancora arrivare. Per loro e per noi.