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 2019  ottobre 23 Mercoledì calendario

Il problema dei Pos. Numeri e costi

Due miliardi di costi in più per i piccoli esercenti con l’obbligo dell’uso del Pos anche per importi molto ridotti (alle condizioni attuali) secondo Confesercenti, che chiede l’azzeramento dei balzelli per i micro-pagamenti e il credito di imposta per l’installazione dei Pos. Settantasette euro all’anno di maggiori aggravi per famiglia secondo il Codacons, convinto che i maggiori costi verrebbero poi riversati sul consumatore finale.Lo stesso governo ieri ha sottolineato, attraverso il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che le commissioni sui pagamenti elettronici vanno «ridotte o azzerate, altrimenti il patto non funziona». Un riequilibrio complicato da raggiungere, anche perché gli attori in gioco sono molti: le banche, che quasi sempre emettono le carte di credito; chi gestisce i servizi tecnologici da Nexi, a Sia a Equens – chi fa il cosiddetto “acquiring”, cioè la selezione dei punti vendita e l’affitto della “macchinetta” che legge la carta (il Pos l’apparecchio per la carta di credito); infine i circuiti internazionali di pagamento, da Visa a Mastercard.
Un sistema complesso – e in parte in evoluzione, grazie alle “app” e alle forme di pagamento direttamente dal cellulare – che dà vita a sua volta ad un sistema di costi fissi, affitti dei supporti tecnologici e commissioni variabili molto diverse a seconda del fornitore di servizi e del contratto ottenuto dall’esercente.
Ma una cosa è certa: siccome almeno una parte dei costi è fissa, l’incidenza sulle transazioni di minore importo rischia di essere rilevante. In media su ogni pagamento c’è un pagamento fisso di 10 centesimi, che su una spesa di 10 euro rappresenta un costo dell’1%. Più in generale si può stimare che i costi complessivi che i punti vendita sopportano per i pagamenti con la carta variano tra l’1 e il 2% della spesa effettuata dal cliente. Antonio Galiano, responsabile E-Bank di Iccrea, ha parlato di costi variabili, tra lo 0,4% e fino all’1,6%. Uno studio di settore del 2014 – prima che fossero imposti i tetti massimi alle sole commissioni interbancarie – per l’Italia si parlava di una spesa media per transazione (comprensiva anche della quota di costi fissi) intorno all’1,2%, in linea con la media europea e meno di Olanda e Svizzera.
L’unico banchiere per ora uscito allo scoperto sul tema è l’ad di Intesa Sanpaolo Carlo Messina: la banca sta considerando di ridurre – fino ad azzerarle – le commissioni interbancarie sui pagamenti senza contanti fino a 15 euro. Il presidente dell’Associazione bancaria italiana, Antonio Patuelli, ha suggerito invece di guardare al “modello benzinai": per ogni pagamento non in contante il gestore ha diritto ad un credito di imposta pari al 50% delle commissioni addebitate per la transazione.
I costi non sono l’unico elemento e forse nemmeno il principale, ma sono certo una ragione in più per scoraggiare la moneta elettronica in Italia. Le carte di pagamento crescono (+2,7% nel 2018 rispetto all’anno prima), ma sono sempre meno di rispetto alla media dei paesi più avanzati, nonostante ce ne siano ormai oltre 71 milioni in circolazione, considerando quelle di debito (Bancomat, le più diffuse) e quelle di credito. Sempre più acquisti sono effettuati con la moneta elettronica – gli importi totali l’anno scorso hanno superato gli 80 miliardi – ma nei pagamenti elettronici nell’Europa a 28 l’Italia è ventiquattresima.