Corriere della Sera, 23 ottobre 2019
Tassi negativi, quanto ci costano
È possibile che io investa il mio denaro e invece di ricevere un interesse, sia io a pagarlo? Oggi succede questo. Si chiamano tassi negativi, ma quali sono gli effetti sui conti dello Stato, delle banche, e sulla vita quotidiana dei cittadini che investono o si indebitano per comprare casa?
Il tasso di interesse indica il guadagno che chi presta denaro otterrà in cambio. Se è pari al 3% annuo e io compro un Btp prestando mille euro al Tesoro, dopo il primo anno il mio capitale sarà pari a 1030 euro. Oggi con i tassi negativi sono io a pagare il Tesoro per comprare un Bot. Prendiamo quello annuale che scade l’11 ottobre 2020: in asta il suo prezzo è stato 100,255, ma verrà rimborsato a 100, vuol dire che ho perso lo 0,255%. In Italia i tassi sono negativi solo sulle scadenze fino a due-tre anni. In Germania invece quasi tutti i titoli di Stato, anche quelli che scadono tra trent’anni, hanno rendimenti negativi. Nel mondo ci sono circa 14 mila miliardi di obbligazioni a tasso negativo. In agosto, quando è stato toccato il massimo mai raggiunto nella storia dei mercati, si è arrivati a 17 mila (Indice Bloomberg Barclays).
Il vantaggio per gli Stati è quello di indebitarsi a cifre sempre più basse. L’Italia, per esempio nel 2012 spendeva per pagare gli interessi dei Btp il 5% del Pil, nel 2020 (stime del Fmi) spenderà intorno al 3,5%. Ma anche il cittadino che fa un mutuo per la casa si trova a pagare molto meno di qualche anno fa. Per esempio un mutuo da 120.000 euro a tasso variabile partito nel 2011, la rata iniziale era di 619 euro mentre oggi se ne pagano 543. Meno bene va a chi deve investire. Oggi è molto difficile trovare titoli di Stato e obbligazioni di buona qualità interessanti: il 60% circa dei bond governativi dei paesi Sviluppati rende meno dell’1%, il 40% ha tasso negativo (indice Bofa/Merrill Lynch). Chi vuole ottenere buoni rendimenti deve prendersi più rischi, scegliendo la Borsa o i bond di aziende meno affidabili e per questo costrette a pagare interessi più alti.
Ma perché i tassi sono diventati negativi? La storia comincia dopo la crisi finanziaria del 2008: le banche centrali (dalla Fed alla Bce) hanno inondato i mercati di soldi per evitare il crollo dei prezzi di beni e servizi (la deflazione), con la conseguente paralisi dei consumi (perché devo comprare una cosa se so che domani costerà meno?) e l’innesco di una spirale che porta alla diminuzione dei salari, al fallimento delle aziende e delle banche che le finanziano. In definitiva, ad una débacle dell’economia.
In questo modo le banche centrali hanno mandato a zero il costo del denaro, ma per curare l’economia hanno anche comprato 15 mila miliardi di dollari di obbligazioni, levandole dal mercato e mettendole nei loro bilanci. I loro prezzi sono quindi cresciuti e i rendimenti diminuiti. In Europa, dove c’è la moneta unica ma ogni Paese continua a far da sé la politica fiscale ed economica, i titoli degli Stati ritenuti più affidabili sono diventati merce rara. Ed ecco spiegato perché la Germania ha quasi tutti i tassi di interesse negativi e prezzi dei titoli di Stato carissimi, mentre l’Italia no. Dal 2014 si è poi disincentivato le banche a tenere i soldi parcheggiati presso la Bce: bisogna pagare per farlo, anziché incassare un interesse. L’obiettivo è quello di spingere le banche a prestare più soldi a famiglie e imprese e ad investirli da altre parti (visto che comprare titoli pregiati non rende più). Funziona la cura? Un po’ si, visto che la spirale deflazionistica non si è messa in moto. Un po’ no, perché gli investitori non hanno rischiato granché, e a lungo andare il conto sarà salato per tutti.
I tassi negativi in Europa potrebbero durare altri otto anni (stime Jp Morgan Am) con due problemi all’orizzonte. Il primo riguarda il sistema bancario: se non “rovescia” sui clienti i tassi negativi pagati alle banche centrali per la sua attività monetaria all’ingrosso i conti non quadrano. Si stima che fra il 2014 e il 2018 le banche europee abbiano perso 23 miliardi. Vuol dire che oltre ad aumentare i costi per i servizi, rischiamo di pagare un interesse per tenere i soldi sul conto corrente? Il portale Biallo.de ha fatto un sondaggio tra 160 banche tedesche: ben 107 hanno chiesto ai clienti di pagare un tasso negativo sui conti correnti. Accade anche in Svizzera e Danimarca. Certo si tratta di depositi con soglie intorno al milione di euro. Intanto Unicredit ha annunciato una misura simile a partire dal 2020. Oggi mantenere i soldi sul conto corrente tradizionale costa in media a una famiglia 145 euro l’anno (l’Economia del Corriere, prime sette banche, settembre 2019) a fronte di un rendimento a zero. Quindi anche per gli italiani con poche migliaia di euro sul conto i tassi bancari sono negativi da un pezzo.
I fondi pensione e le Assicurazioni hanno sempre comprato titoli di Stato, proprio perché devono fare investimenti sicuri: la prestazione finale dei loro prodotti è garantita. Ora i bond con tasso negativo li stanno mettendo in difficoltà (perdono invece di guadagnare), e non possono permettersi di investire massicciamente in titoli troppo rischiosi, che espongono al pericolo di non mantenere le promesse fatte ai clienti, grandi e piccoli. Come è successo, per esempio alla Cassa di risparmio di Amburgo, che ha annunciato di dover cancellare 16 mila piani di risparmio.
Come se ne esce? Con piani di investimento pubblico e di politica fiscale, almeno per i Paesi che possono permetterselo. E non lo ha detto solo Mario Draghi, in procinto di lasciare la Bce. Kristalina Georgieva, la nuova numero uno del Fondo monetario internazionale, nel suo discorso di insediamento ha citato espressamente le potenzialità di spesa della Germania “è ora che faccia la sia parte”. Berlino ha fatto bottino con i Bund, la merce rara che tutti vogliono, e dal 2014 al 2018 il rapporto debito/Pil è passato dal 75,3% al 60,9%, mentre quello dell’Italia è sempre sopra il 130%. Però nessun investimento pubblico, e ha puntato sull’export. Ma ora c’è la Brexit, i dazi Usa e una economia globale in frenata, con tutti gli indicatori, dal manifatturiero all’export, ai minimi del 2009. Se i tedeschi spendessero di più, a cominciare dall’annunciato piano di investimenti “verdi” da 100 miliardi di euro, l’Italia, da sempre partner commerciale della Germania, ma anche tutta la Ue ne trarrebbero beneficio.