https://www.lettera43.it/whatever-it-takes-draghi-bce/, 21 ottobre 2019
Come Draghi ha cambiato la Banca centrale europea
Ha fatto tutto quello che era necessario, «Whatever it takes», dal punto di vista finanziario, ma ha anche usato intuito politico e creatività. E così Mario Draghi ha lasciato davvero il segno nella storia dell’Eurozona, delle sue istituzioni, dell’Europa e dei suoi cittadini.
na vignetta del Financial Times raffigurante Mario Draghi che usa armi non convenzionali a difesa della Bce e dell’euro. ANSA
Quando chiuderà il suo ultimo consiglio direttivo, giovedì 24 ottobre, Mario Draghi si appresterà a lasciare – la data dell’addio è il 31 ottobre – una Bce completamente cambiata. Con un mandato considerato quasi ovunque – con l’eccezione di alcuni ambienti politici dei Paesi nordici – un ampio successo, di cui sono testimoni la tenuta dell’euro di fronte alla crisi finanziaria, la creatività degli strumenti entrati nell’armamentario della banca centrale in una fase d’emergenza, la disoccupazione calata e il sostegno a favore della moneta unica tornato ai massimi. E un protagonismo, quello della banca centrale, che con Draghi si è spinto fino non solo al ruolo attivo per la riforma della governance economica dell’euro, ma anche a spronare direttamente i governi (in particolare la Germania) a intervenire per la crescita con politiche di bilancio espansive.
Mario Draghi, presidente del board della Banca centrale europea, durante una conferenza stampa a Francoforte. ANSA/ARNE DEDERT
QUELLA RIVOLUZIONE NATA NEL 2011, SCONFESSANDO TRICHET
È una rivoluzione quella che è accaduta a Francoforte rispetto alla Bce del predecessore Jean-Claude Trichet, particolarmente attento a salvaguardare il rapporto con la Bundesbank tedesca. Era il novembre 2011 quando Draghi, con la Grecia in piena crisi, il contagio che stava investendo in pieno l’Italia mettendo a rischio la tenuta della moneta unica, varò alla sua prima riunione da presidente un taglio dei tassi d’interesse all’1,25%, quando Trichet li aveva rialzati appena quattro mesi prima. Di lì in poi, il mandato dell’italiano all’Eurotower – anche se la sede della Bce si è nel frattempo spostata nel nuovo grattacielo di Sonnemannstrasse, è stato un crescendo di innovazioni e tessitura di consenso politico attorno ad esse, pur con frequenti rotture con i ‘falchi’ fautori dell’ortodossia monetaria, dell’inflazione come unico obiettivo.
RADDOPPIATO IL BILANCIO DELLA BCE E CROLLATI GLI SPREAD
Il culmine, nel 2012, con la promessa del ‘whatever it takes‘, qualunque cosa necessaria a difesa dell’euro, concretizzato con il programma Omt che ha fatto della Bce un prestatore di ultima istanza dei bilanci pubblici, mettendo all’angolo i mercati che scommettevano sull’implosione della moneta unica. E con il lancio del quantitative easing nel 2015, l’acquisto dei titoli, in particolare bond governativi, che allineò gli strumenti della Bce a quelli nelle altre grandi banche centrali – dalla Fed alla Bank of Japan – per fronteggiare il rischio-deflazione. Risultato, un bilancio della banca centrale raddoppiato a 2.600 miliardi di euro. Una Bce fattasi bastione principale della moneta unica, oltre ad assumere nel 2014 la Vigilanza bancaria. Un crollo degli spread – che misurano anche il rischio percepito di addio all’euro – nei Paesi periferici di cui fra i principali benefattori figura l’Italia, il cui differenziale è oggi a 130 punti base dai quasi 600 cui l’aveva trovato Draghi. Una crescita ripartita in gran parte d’Europa, con disoccupazione che da oltre il 12% del 2013 è ridiscesa ai minimi pre-crisi, al 7,4%. E una popolarità dell’euro ai massimi storici.
UNA SVOLTA AMERICANA DESTINATA A DURARE
La svolta ‘americana’ impressa da Draghi, che nei fatti ha portato la Bce oltre il mandato ortodosso di guardiano dell’inflazione, durerà oltre il suo mandato: di fatto, con un nuovo taglio dei tassi e il rilancio del Qe il mese scorso, Draghi ha segnato la strada almeno dei primi anni di Christine Lagarde, che gli succede il 1° novembre. Gli effetti collaterali della svolta di Draghi sono molti: la Bundesbank teme l’aver sconfinato nelle politiche di bilancio. Diversi economisti s’interrogano sulla dipendenza dell’economia dalla ‘droga’ del denaro facile e dei tassi negativi. L’obiettivo mancato è il non aver riportato l’inflazione all’obiettivo fissato nel suo statuto, «vicina ma inferiore al 2%»: oggi è allo 0,8%. Ma la Bce si trova nelle stesse acque inesplorate delle altre principali banche centrali: bassa inflazione e crescita rallentata, problemi che fanno parlare di una ‘stagnazione secolare‘. Le banche centrali tamponano le falle, sta ai governi intervenire alla radice.