Avvenire, 22 ottobre 2019
Gli italiani e il calcio in Cina
Il tenero e innocuo insulto che i ragazzini degli anni ’70 si scambiavano - «Ma va in Cina!» - oggi viene raccolto con grande entusiasmo dalla categoria dei professionisti che di mestiere prendono a calci un pallone. La via della Seta è lastricata di soldi, Marco Polo aveva capito tutto. La Cina è vicina certo, sopratutto al conto corrente dei campioni o presunti tali che ad un certo punto della loro carriera sbarcano ad Oriente per giocare nella modestissima Super League. Stephan El Shaarawy in estate ha accettato l’offerta dello Shangai Shenhua. Nessuno si chieda: chi gliel’ha fatto fare? A 26 anni? Nel pieno della carriera? Il Faraone ex Roma e Milan ha firmato un contratto triennale per una cifra complessiva intorno ai 40 milioni di euro. Soldi. Il calciatore italiano più pagato al mondo in questo momento sta mangiando un involtino primavera. Si chiama Graziano Pellè e ha un ingaggio da 15 milioni di euro netti a stagione. Gioca con lo Shandong Luneng e bravo chi di voi conosce il nome di uno solo dei suoi compagni. L’ex centravanti della nazionale ha ammesso candidamente: «Non sarei mai venuto in Cina se non mi avessero offerto così tanti soldi». Marek Hamsik - leggenda del Napoli con 121 gol in 520 partite e 11 anni di militanza - sta svernando con la maglia del Dalian Yfang. Non può nemmeno dire, lo slovacco, di voler lottare per lo scudetto. Il Dalian Yifang ha chiuso l’ultimo campionato all’11° posto, è un po’ l’equivalente del nostro Sassuolo. Forse a convincerlo sono stati i 9 milioni a stagione per tre anni. Da Napoli alla Cina, come fece l’argentino Ezequiel “El Pocho” Lavezzi prima di lui e come sembra aver voglia di fare un altro idolo del San Paolo, quel Dries Mertens (ma anche Callejon ci sta pensando, ndr) che si è beccato le ire del presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis. «Se Mertens vuole andare in Cina a fare le marchette perché è strapagato ma allo stesso tempo a fare una vita di mer..questo è un problema suo». Eccolo: il senso della Cina per ADL. Sono in molti a pensarla come lui.
La Super League oggi è davvero poca roba. Da un decennio a questa parte il calcio cinese ha provato a fare quello che riuscì al calcio americano negli anni ’70, che arruolò i migliori, Pelè, Beckenbauer, Best, Carlos Alberto e il nostro Chinaglia. L’acquisto dei grandi fuoriclasse però non coincise con la crescita del movimento. E la storia si sta ripetendo anche in Cina. Tutto è cominciato nel 2011, quando lo sconosciuto Dario Conca firmò per il Guangzhou Evergrande per 7,5 milioni a stagione, un ingaggio che altrove nessuno era in grado di garantirgli. Da allora c’è stato il boom, con il colpo del 2012, quando Marcello Lippi - che solo sei anni prima aveva trionfato con gli azzurri a Berlino - accettò la panchina del Guangzhou per un’offerta stellare: 30 milioni in tre anni. Lippi è poi diventato ct della nazionale, ruolo oggi occupato da un suo protetto, Fabio Cannavaro. Uno dei primi allenatori di questo ventennio a tentare l’avventura cinese è stato Beppe Materazzi (papà dell’ex azzurro Marco) che nel 2003 guidò il Tianjin. Da da Zaccheroni (Beijing Guoan) a Ciro Ferrara ( Wuhan Zall) la lista si arricchisce ogni anno di più. Ultimo della serie Roberto Donadoni, ex ct della nazionale a Euro 2008, reduce da un triennio a Bologna. Donadoni siede sulla panchina dello Shenzen Fc.
Negli ultimi anni la Super League ha messo in fila campioni del calibro di Tevez, Oscar, Gervinho, Guarin, Texeira, Hulk,
Hernanes, Ramires, Jackson Martinez e quasi un’intera squadra - il Corinthians - qualche anno fa si è trasferita in blocco in Cina. Dall’Italia abbiamo visto partire Diamanti e Gilardino. Toccata e fuga per entrambi. Firmato l’ingaggio, scatta inevitabile la nostalgia di casa. Si resiste un po’, poi si (ri)fanno le valigie. E si scappa. Arsene Wenger, il leggendario allenatore dell’Arsenal, di recente ha dichiarato: «L’Europa dovrebbe preoccuparsi. La Cina ha i mezzi economici per saccheggiarci». Il ratto dei centravanti in realtà - lo sappiamo bene - non ha nulla di violento. Ai cinesi riesce benissimo l’acquisto di grandi club europei (Milan e Inter ne sanno qualcosa, lo stesso City ha proprietari orientali e 12 club di Premier League su 20 fanno riferimento a gruppi cinesi). Il loro potere d’acquisto è spaventoso. Cambiano i rapporti di forza nel pianeta-calcio e i cinesi hanno un ruolo da protagonisti. 2026 e 2030 sono due caselle che equivalgono a due Mondiali ancora da assegnare: la Cina è in corsa. E non scherza. I dirigenti della Federazione hanno già dichiarato il loro traguardo: vincere il Mondiale nel 2050. Non manca poi così tanto. La promessa di garantire un campo da calcio ogni 10.000 abitanti è la base da cui partire. Parliamo di un paese già proiettato nel futuro. Sentite questa: visto che la scolarizzazione dei giovani talenti cinesi (ma ce ne sono?) nonostante i massicci investimenti nelle scuole calcio procede lenta, la Federazione ha fatto partire una sorta di reclutamento. Non abbiamo bravi calciatori? Allora li prendiamo da fuori. E li naturalizziamo, come è successo a John Hou Sæter (nato e cresciuto in Norvegia) e Li Ke (inglese) e il brasiliano Elkeson (vedi storia sotto, ndr), che sono stati ribattezzati rispettivamente Hou Yongyong e Nico Yennaris. Dovranno imparare la lingua per poter cantare l’inno cinese e studieranno le basi della dottrina comunista, poi potranno vestire la maglia della nazionale. E’ la Cina che insegue un pallone ricoperto d’oro. E’ il calcio, bellezza.