il Giornale, 22 ottobre 2019
La multa al blasfemo Oliviero Toscani
Sarai un grande fotografo, avrai un immagine da intellettuale, ma non puoi insultare la Chiesa, sbeffeggiare la religione del tuo paese, sghignazzare in diretta dicendo che «sei un extraterrestre che atterri in Italia e entri in una bellissima chiesa cattolica e vedi uno attaccato, inchiodato a una croce che sanguina, dei bambini nudi che volano, San Bernardo tolta la pelle... Io credo che un club sadomaso non sia così all’avanguardia».
No, non si può. Lo ha stabilito il tribunale di Milano condannando Oliviero Toscani (quello che anni fa divenne famoso pubblicizzando dei jeans con un sedere di donna con su scritto «Chi mi ama mi segua», e già allora la citazione biblica suonò a molti blasfema) per «offese a una religione mediante vilipendio di persone». É il reato che fino al 2006 puniva solo gli insulti al cattolicesimo, e che ora tutela i sentimenti dei fedeli di qualunque confessione.
Ma Toscani se l’è presa solo con una: la fede cristiana, cattolica, apostolica e romana. E lo ha fatto, in una lunga intervista alla Zanzara del 2 maggio 2014, con una violenza tale che nelle motivazioni della condanna, depositate nei giorni scorsi, il giudice Ambrogio Moccia lo paragona a un imam di Hamas: «la definizione di Cristo in Croce come di uno attaccato è una manifestazione di profondo disprezzo per i valori del cristianesimo, una esternazione confrontabile solo al peggior linguaggio propagandistico di un predicatore del fondamentalismo islamista».
Ad aggravare il reato contestato a Toscani, avere vilipeso insieme a un Credo anche due persone, ovvero i papi Benedetto XVI e Francesco, in occasione della beatificazione dei loro predecessori Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II: «L’ultimo show che ho visto a Roma, neanche i più grandi rockettari fricchettoni avrebbero fatto una cosa così, due Papi che fanno santi due altri Papi. È incredibile, tutto fatto in famiglia», aveva detto il fotografo, trattenuto a stento (va detto) dai conduttori della trasmissione. «Bergoglio dice delle cose banali – aveva aggiunto – in tutti questi anni qua che cazzo ci hanno detto ’sti Papi? Delle cose inutili». Da lì era partito per un affondo all’intera Chiesa, «e poi tutti uomini, le suorine di fianco, le serve, le donne... è la più grande invenzione omosessuale che ho mai visto... è una organizzazione maschilista però si vestono da donne, con le sottane e con tutto, fantastico».
Poi era passato al tema degli abusi sessuali, raccontando di avere subito molestie in una scuola religiosa, e aggiungendo «ma io vorrei sapere chi non le ha subite... chiunque abbia studiato in un collegio coi preti». E per finire aveva attaccato la Chiesa per i suoi rapporti con il nazismo, «domandati che religione avevano quelli dell’Olocausto, quelli dall’altra parte (...) ti ricordi quel manifesto del film di Costa Gavras, c’era una croce cattolica però era uncinata».
Nel giudicare Toscani il giudice Moccia sapeva di muoversi su un terreno impervio, alla ricerca di un punto di incontro tra diritto di espressione e dovere di rispetto. Alla fine non ha avuto dubbi: ha condannato il fotografo a una pena poco più che simbolica, quattromila euro di multa, ma ha stabilito senza titubanze che ci sono dei limiti che non si possono valicare. E Toscani li ha scavalcati con «dichiarazioni sprezzanti al massimo livello» e «una incontinenza verbale di rara offensività». Sbeffeggiando il Crocifisso «massima espressione del Dio trinitario e salvifico», il fotografato ha superato con «debordante, eclatante eccedenza» i confini del codice penale. Per questo Toscani viene condannato e dovrà pure versare un risarcimento a due associazioni cattoliche.
(E comunque a venire scorticato vivo non fu san Bernardo ma san Bartolomeo: e il giudice lo ricorda all’imputato).