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 2019  ottobre 22 Martedì calendario

L’economia delle fake news

Suona ovvio affermare che sul corso della storia influiscano anche le credenze che nelle persone si creano, e che poi orientano le loro azioni. Ovvio non è, invece, per molti economisti: secondo loro, quando si tratta di denaro il calcolo razionale prevale. Ma negli ultimi tempi i politici populisti sempre più motivano decisioni economiche irrazionali con la «volontà del popolo».
Per questo il lavoro più recente di Robert Shiller, premio Nobel per l’economia 2013, ha attirato l’interesse di Mario Draghi, tanto da farglielo citare nella «lectio magistralis» alla Cattolica di Milano l’11 ottobre. Di credenze troppo semplificatorie, mezze vere e mezze false, oppure false del tutto, tratta appunto il suo libro appena uscito, Narrative Economics (Princeton, 2019).
Shiller, 73 anni, docente a Yale, uno dei pochissimi ad aver previsto almeno in parte la grande crisi del 2007-2008, non si applica a verificarne la corrispondenza ai fatti. Nel libro osserva quando e perché le stesse «narrazioni» si diffondano, scompaiano e tornino a riemergere; ricorre perfino a strumenti con cui la medicina studia il diffondersi delle epidemie. 
Aggiunge Draghi che al contagio contribuiscono oggi i nuovi mezzi di informazione, con le «opinioni soggettive che paiono moltiplicarsi senza limiti, rimbalzando attraverso il globo come in una gigantesca eco». Le scelte di breve respiro che i politici prendono «obbedendo più all’istinto che alla ragione» si appigliano alle narrazioni di maggior successo in quel momento.
Poter dare la colpa di tutti i mali dell’economia a un unico fattore è attraente. Shiller racconta come negli Stati Uniti il populismo sia nato, 130 anni fa, a partire da una questione monetaria non subito comprensibile al grande pubblico, se il valore del dollaro dovesse essere agganciato solo all’oro oppure anche all’argento (scelta che attraeva gli agricoltori perché avrebbe ridotto il valore dei loro debiti). Vi alludeva, attraverso oggetti d’oro o di argento, anche il famoso libro per bambini Il mago di Oz.
Quanto a narrazioni di successo senza fondamento razionale, oggi non c’è esempio migliore del Bitcoin, che, scrive Shiller, «non ha alcun valore se non quello che la gente pensa che abbia» (sugli 8.000 dollari ora, dopo aver sfiorato nel 2017 i 20.000). Eppure il Bitcoin attira capitali speculativi, spinge a consumare enormi quantità di energia per procurarselo, alimenta altre mode affini.
Sulla rete, in particolare su Twitter, le notizie false divengono «virali» – come appunto oggi si dice – sei volte più rapidamente di quelle vere (o almeno certificate dai principali siti di fact checking) risulta da uno studio scientifico pubblicato l’anno scorso. Shiller ne conclude che «una notizia falsa può continuare ad esercitare un effetto importante sull’economia anche dopo che è stata smentita».
Non è facile difendersi da questo pericolo; tanto meno prevenirlo («Neanche a Hollywood sanno in anticipo se un film farà cassetta»). La risposta principale dell’economista americano è, intanto, di studiarne più a fondo la dimensione storica, anche attraverso i sempre migliori archivi informatici di cui si dispone, capaci di ricercare nei giornali, nelle riviste e nei libri per decine di anni addietro.
Alcune narrazioni contengono una parte di verità; alcune vengono condivise da persone colte e informate. L’esempio limite è un genio come Albert Einstein, che nel 1933 attribuiva la grande depressione, allora al colmo, alle innovazioni tecnologiche: perché avevano «ridotto il bisogno di lavoro umano» e «di conseguenza diminuito il potere d’acquisto dei consumatori».
Le grandi innovazioni che facevano paura erano allora la catena di montaggio, il centralino telefonico automatico, l’ascensore con i pulsanti; dilagavano macchinari già inventati prima, come la linotype o la trebbiatrice. Oggi il dibattito sulle cause del crack di Wall Street nel 1929 è ancora vivace, ma nessuno più crede che la ragione fosse quella.
Piuttosto, l’analisi dei dati disponibili mostra che la narrazione sulle macchine che rubano il lavoro alle persone, in circolo da oltre 200 anni, torna a farsi epidemica nei momenti di disoccupazione elevata. Si rafforza quando la macchina si personifica in robot, mutamento iniziato circa cent’anni fa, già in corso quando nel 1921 lo scrittore ceco Karel Čapek coniò la parola «robot».
Può darsi che oggi, con l’intelligenza artificiale, la minaccia si faccia più concreta; su questo Shiller non si pronuncia, limitandosi a dettagliare le vicende dei ricorsi storici. Quando, come ora, negli Usa o in Germania i disoccupati sono a un minimo record, l’interrogativo è casomai se la tecnologia eserciti una pressione al ribasso sui salari.
I leader populisti paiono saggiare il terreno, in cerca della narrazione che attecchisce meglio. Donald Trump ha cercato di menzionare il «gold standard», o parità aurea, senza effetto. In Italia, potremmo aggiungere noi, il «no euro» è stato sfruttato per un po’ di tempo, poi, visto che non conquistava la maggioranza, è stato lasciato cadere. Quale sarà la prossima epidemia?