21 ottobre 2019
Perché a Westminster sembrano tutti impazziti
In Europa ci si domanda se a Londra non siano tutti impazziti. Il Parlamento britannico era un esempio di concreta democrazia rappresentativa al quale si guardava per le nostre riforme, ed eccolo lì, impantanato da più di tre anni sulla Brexit, incapace di prendere una decisione. Una farsa, culminata con le tre lettere inviate a Bruxelles: una per chiedere un rinvio, l’altra per chiedere che non sia concesso, la terza per cercare di spiegare la ragione delle prime due.
Ma la ragione dello stato di coma nel quale è precipitata la politica britannica sta quasi tutta in una legge approvata nel 2011, il Fixed Term Parliament Act. Prima di questa norma un premier che non aveva più la maggioranza poteva indire elezioni anticipate. Ora la legislatura deve durare invece cinque anni e per le elezioni anticipate è necessaria la maggioranza dei due terzi del Parlamento, una quota molto difficile da raggiungere: chi pensa di vincere le vuole, ma chi pensa di perdere voterà contro. È per questa ragione che Boris Johnson si trova oggi bloccato: è in carica, ma non avendo più una maggioranza è impossibilitato a portare avanti le sue politiche. Per le elezioni anticipate ha bisogno dei voti dei laburisti di Corbyn, che non le concederanno finché la partita della Brexit non sarà chiusa.
A differenza di quello che accade negli altri paesi, in Gran Bretagna il Parlamento ha una sovranità assoluta: le leggi che approva non possono essere annullate da nessuno e l’unico vincolo imposto al potere legislativo è il divieto di approvare leggi impossibili da modificare o revocare da parlamenti futuri. Solo un sovrano, Carlo I, si oppose a questi principi e nel 1642 gli tagliarono la testa abolendo per un po’ la monarchia. Chi ha seguito in questi giorni i dibattiti si è reso conto di quanto a Westminster sia rapido il meccanismo dell’approvazione di una legge. Lo speaker della Camera dei Comuni, John Bercow, ha il potere di decidere quali emendamenti siano da votare e quali no, di contingentare i tempi degli interventi, di dare la parola ai singoli deputati, di mantenere l’ordine e di fare in modo che tutti rispettino il parere degli avversari politici. La regia di Bercow ha permesso l’approvazione di emendamenti e di leggi che hanno continuamente cambiato lo scenario della Brexit, ponendo nuovi ostacoli alla sua approvazione.
Ma perché i parlamentari non vogliono approvarla? Lo storico inglese Robert Tombs ricordava sul New York Times che c’erano stati molti altri referendum in Gran Bretagna, ma tutti erano stati vinti dal governo e dall’establishment. Quello sulla Brexit ha aperto invece per la prima volta un serio conflitto tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta. La gente ha chiesto di uscire dall’Europa, ma – pensano in molti a Westminster - lo ha fatto per una forma di dilettantismo supponente e di isolazionismo ignorante, perché è stata convinta da false informazioni che l’Europa era il problema e che il ritorno alla vera britishness avrebbe risolto tutto. Le società finanziarie e le aziende manifatturiere che fanno i loro affari in Europa sono invece per il remain, come gli elettori metropolitani e molti giornali inglesi: hanno tutti una forte influenza sui parlamentari, anche su quelli del partito di Boris Johnson, che infatti ne ha persi molti per strada.
La verità che nessuno può confessare è che Westminster cerca da tre anni ogni pretesto per non obbedire a un voto popolare che ritiene in maggioranza sbagliato. Anche Churchill diceva che la democrazia non è una buona forma di governo, ma sapeva pure che tutte le altre sono peggio.