il Fatto Quotidiano, 21 ottobre 2019
A Madeira, l’isola di Ronaldo
“È lì”. Puntando l’indice verso il bronzo l’autista dell’autobus Paulu risponde prima che i turisti terminino la domanda. Da anni chiedono sempre la stessa cosa: “Dove sta il busto di Cristiano Ronaldo? È il primo interrogativo degli stranieri arrivano sull’isola. Siamo la sua pequena patria, piccola patria, siamo fieri”. È l’inizio dell’osanna di Funchal che risuonerà in ogni picco di Madeira e fa eco tra le palme di un aeroporto che si chiama come lui. Ronaldo, professione: dio dell’isola.
La portoghese Madeira è il piedistallo da 300mila abitanti del calciatore, adibita a set della culla del mito.
Più delle parole, riferiscono i petti gonfi d’orgoglio degli abitanti. Una veronica a Manchester e una rovesciata a Madrid fino a Torino, “Cristiano ha girato il mondo ma alla fine torna sempre qui”.
Spenti gli schermi delle partite domenicali, storditi da una rete dopo l’altra, gli abitanti tornano alle loro, quelle da pesca. Non è importante se non è presente adesso, “è come Dio in chiesa: a Madeira lui c’è sempre” dice Juau al ristorante Trigal. Questione di fe, fede e di fado, destino. Nella sala da biliardo di fronte hanno visto le sue lacrime in diretta al programma tv inglese Good Morning Britain mentre ricordava suo padre morto prima di contare i suoi goal: “Era sempre ubriaco”. Barcollando per queste strade, morì di bottiglia a 52 anni nel 2005 Jose Dinis Aveiro. E se il padre di Ronaldo aveva sempre sete, sua madre aveva sempre fame.
Riferiscono le agiografie orali che l’alcol è stato la spada di Damocle di Ronaldo da quando i calci li dava ancora solo in pancia. Para sobreviver, per sopravvivere alla povertà, sua madre Maria Dolores voleva terminare la gravidanza e i vecchi le consigliarono di bere birra calda. Il feto sopravvisse all’etilismo e nel 1985 nacque qui, battezzato in onore dell’attore presidente Ronald Regan, Cristiano Ronaldo dos Santos Aveiro. È il “c’era una volta dell’isola”, leggenda pulviscolare che ognuno, in decine di bar, declina con i particolari che nelle sale traboccano di aneddoti e biografie non autorizzate, come i bicchieri di poncha e vino. Ronaldo dogma indiscutibile, fagocitato dalle pubblicità di se stesso, laccato come i suoi capelli. Una cornice dove se provi a nominare le accuse di stupro mosse al calciatore, i ragazzi si allontanano all’istante indignati sputando a lato, con espressione dettata da machismo schifato.
Ronaldo, patrono di questo scoglio atlantico che ha deciso di essere cassaforte della sua infanzia. Volto e divisa dell’ego isolano. Se ora la terraferma lusitana tifa la Madeira remota grazie a lui, Ronaldo continua a tifare l’isola. Ha costruito il Cristiano Ronaldo futebol campos di fronte l’estadio da Madeira. Poi la sua palla di cuoio ha rimpiazzato quella del mappamondo e lui ha preso il posto di Cristoforo Colombo, che in quest’isola si fermò prima di raggiungere l’America. Messe in un angolo le caravelle, il governatore Miguel Albuquerque ha deciso di ribattezzare tutto al calciatore chiosando: “Ronaldo significa boom turistico”.
Ronaldo l’invincibile, che viveva d’hamburger d’elemosina. Ronaldo la statua, marchio supponente. Ronaldo l’albergo, l’uomo teca dei trofei. Ronaldo fallo dorato. Di fronte al suo museo e il suo hotel, il Pestana Cr7, la sua statua bruna fuori scala si è scolorita solo in un punto delle parti basse, dove turiste russe e asiatiche si affollano allungando le mani più dei mariti perché “dicono porti fortuna”. Il percorso sulle orme della leggenda del bambino prodigio non è lineare ma concentrico, va dal basso verso l’alto, da riva a montagna, pagina dopo pagina, strada dopo strada, un libro della sua infanzia all’indietro.
Non sul mare, dove si affaccia la borghesia madeirense, ma in alto: è cresciuto tra le case povere e diroccate di Quinta Falcao, quartiere Santo Antonio. Tra ruderi e casali abbandonati, salite e discese che forgiano i muscoli dei polpacci, ci sono facce scure di sud, occhi ardenti che ritrovi nei partenopei con cui condividono la terra vulcanica. Come quasi tutte le leggende del calcio, ha cominciato a brillare tra la melma delle vie non asfaltate, spolverando qui l’inizio del suo riscatto.
Per culto epidemico e idolatria al re dei campi verdi, Madeira è pari solo a Napoli che continua a venerare il suo numero dieci argentino, ma Ronaldo sembra il gemello inverso, narcisista complementare di quel giocatore irripetibile e disgraziato che è stato Maradona.
Ronaldo il posticcio, muscoli umanoidi illuminati dalla boria con cui inonda il mondo. Sorriso perennemente identico bianco gesso, palesemente falso, indistinguibile da quello del pupazzo digitale Playstation. Ma in salumerie e tabaccherie c’è però il suo reliquiario infantile, immagini di quando era un pubescente smarrito, con acne e denti storti. Sul muro un vecchio guarda la sua foto da bambino povero con la maglia bianco nera della squadra di Funchal, il National, gli stessi colori del club più blasonato d’Italia in cui gioca oggi.“Ha avuto la stessa determinazione delle onde del nostro oceano. Si è allenato sempre, si è arreso mai, ha palleggiato fino alla vetta dell’isola, fino a quella del mondo”.