il Giornale, 21 ottobre 2019
Biografia di Paolo Brosio raccontata da lui stesso
Paolo Brosio per 50 anni ha flirtato col testamento morale di George Best, che professava: «Ho speso gran parte dei miei soldi in alcol e donne. Il resto l’ho sperperato».
Prima della sua conversione nel 2008, Brosio non conosceva neppure il Padre Nostro e per lui gli unici riferimenti «religiosi» erano, ai tempi di «Mani pulite», i soprannomi del pm Antonio Di Pietro (La Madonna, L’Onnipotente, Padre Pio).
Oggi Brosio ha 63 anni ed è un volto che ai ragazzi ricorda un concorrente dell’Isola dei famosi o un giudice di Italia’s got talent. Per chi ha invece i capelli grigi, l’ex cronista giudiziario – torturato dal suo implacabile direttore, Emilio Fede – rappresenta l’icona tv di Tangentopoli.
Il giovane Brosio era sveglio, con un curriculum dove brillava la parola «gavetta». Fede, ras indiscusso del telegiornale di Rete 4, ne rimase abbagliato e, da esperto in scommesse qual era, decise di puntare su di lui, sicuro di vincere. Lo assunse nel 1990.
E un anno dopo lo gettò nella vasca dei piranha del Palazzo di giustizia milanese.
Era il ’91: esplose Mani pulite.
«Bomba che distrusse la Prima Repubblica».
Lei, svezzato dal domatore Fede, si trasformò in un tigrotto famelico di scoop.
«Venivo da Firenze, cronista con le suole consumate tra i giri di nera per il quotidiano La Nazione già dall’età di 19 anni. Poi nel 1985 mi laureai in giurisprudenza con 110 e lode a Pisa. A Milano nel ’90 mi ero trasferito per amore della mia futura moglie. Matrimonio naufragato quasi subito».
In compenso decollò la carriera giornalistica.
«Era la mia unica consolazione. Dopo essere stato cacciato di casa dalla mia consorte, Fede mi trovò una stanzetta a Milano 2, arredata con tristissimi mobili anni ’70. Come vicino avevo Raimondo Vianello che inveiva contro le papere nel laghetto perché facevano troppo casino».
Intanto Di Pietro, Davigo e Colombo facevano molto più «casino» delle papere. Nella scodella di Mani pulite la ciccia non mancava. Ma per azzannarla non bisognava abbassare mai la guardia.
«E io la guardia non l’ho mai abbassata per 900 giorni di seguito. Al Palazzaccio appena ti distraevi, i colleghi ti fregavano».
Da allora è trascorso un trentennio. Per lei è tempo di bilanci.
«Sono soddisfatto. Ho realizzato la mia ambizione: fare l’inviato. Grazie a Fede sono diventato famoso, ma sull’altare del successo ho sacrificato due matrimoni, compensati dai record di ascolti in trasmissioni Mediaset e Rai, soprattutto in Quelli che il calcio di Fazio. In bacheca conservo quattro Telegatti, due Tapiri e un Oscar tv».
Meno brillante invece l’avventura imprenditoriale della discoteca Twiga a Forte dei Marmi. Un brutto periodo durante il quale ha rischiato di perdersi.
«Non conoscevo il valore della preghiera. Per me lo faceva solo quella santa donna di mia madre. Ma a salvarmi arrivò la conversione. Grazie a una “voce"».
Di chi era questa «voce»? E quando l’ha sentita?
«Era il 2008. In casa avevo organizzato una festa. Roba non proprio da educande. A quel punto sentii una “voce": Paolo basta, non puoi andare avanti così...».
«Così» come?
«Troppi stravizi».
Vuoi vedere che la «voce» era invidiosa?
«No. Perché, in realtà, quella era la voce della mia coscienza. Dissi a tutti di andare via e rimasi in silenzio. Finalmente il mio cuore era stato illuminato da qualcosa di soprannaturale».
Di divino?
«Era fede».
Non Emilio Fede.
«Grandissimo Emilio. Mostruosamente bravo. Sempre sul pezzo 24 ore su 24. È lui che mi ha trasformato da semplice giornalista in personaggio popolare. Gli sono grato e gli voglio bene».
Neanche il tempo di arrivare in redazione, e subito mise a segno lo scoop della Moby Prince.
«Scoprii la registrazione originale dell’esplosione. Un colpo che fece il giro del mondo».
Per Fede adrenalina pura.
«Mi conquistai la sua fiducia. Così, quando arrestano Mario Chiesa, Emilio mi spedì in tribunale. “Ho la sensazione che sia l’inizio di qualcosa di grosso”, mi disse. Un segugio, come sempre».
E per lei iniziò una stagione interminabile.
«Vivevo stabilmente in Tribunale. Un edificio che pare una cittadella labirintica, ma io ne conoscevo gli anfratti più reconditi. Compresi i bagni dai quali si potevano origliare gli interrogatori di Di Pietro».
Sempre con lo stesso sogno: chiamare Fede e pronunciare la fatidica frase: abbiamo l’esclusiva!.
«Il lavoro era diventato la mia magnifica ossessione. Con la prima moglie era finita male, quindi ero stato adottato dalla “famiglia” del Palazzo di giustizia: tutti mi volevano bene, compreso quel variegato popolo orbitante attorno al marciapiede da cui ogni giorno mi collegavo con Fede».
Un marciapiede diventato la sua appendice. Praticamente era parte integrante dell’arredo urbano.
«La gente sapeva che mi avrebbe trovato lì ogni giorno. Col sole, pioggia o neve non cambiava nulla. E per anni non è cambiato neppure lo sfottò quotidiano di un giovane in auto. La scena si ripeteva puntualmente: la macchina rallentava, lui abbassava il finestrino e urlava, Bosiooo sei culooo».
Folclore a parte, in un’occasione però se la vide brutta: le scagliarono una monetina e finì in ospedale con l’occhio tumefatto.
«La gente era infuriata per una legge del governo Berlusconi. Il pool di Mani pulite l’aveva contesta duramente, tanto da minacciare le dimissioni. E la folla se la prese con me».
Ma chi fu a scagliare la monetina?
«Boh. La scena fu surreale. Io sembravo Alberto Sordi nel film I vitelloni, quando lungo la strada prende in giro i contadini, gridandogli dall’auto: Lavoratoriii?, e poi gli fa il gesto dell’ombrello. Ma dopo qualche metro l’auto si ferma per un guasto, e lui viene inseguito dai contadini che gliele suonano di santa ragione».
Per non parlare del falso allarme dell’autobomba.
«Prima del collegamento per il Tg4, ci accorgemmo che vicino alla nostra postazione c’era un’auto crivellata di colpi. Fede quando la vide sentì odore di scoop e disse: “Potrebbe essere un’auto bomba”. In pochi minuti scoppiò il finimondo. Poi si scoprì che l’auto era di un pregiudicato che, giorni prima, aveva subito un attentato. Mi ricordo che Fede mi diceva: “Stai attento, allontanati dall’auto... Ma non troppo però, altrimenti se esplode non vedi niente"».
Mitico Fede.
«Poi Emilio vide una faccia sospetta e disse: “Occhio, quello potrebbe essere il proprietario dell’autobomba”. Ma io lo rassicurai: tranquillo direttore, è un collega: Peter Gomez del Giornale».
Ma è vero che Di Pietro le rubò il taccuino degli appunti un attimo prima del collegamento con Fede?
«Esiste anche la prova fotografica del furto. Antonio mi scippò il taccuino dove avevo scritto i 15 nomi delle persone che quel giorno erano state rinviate a giudizio. Dovetti rincorrerlo come un pazzo per farmelo ridare appena in tempo».
E quella volta che il Gabibbo di Striscia la notizia le portò un tapiro e una torta per il compleanno?
«Emilio, colto da una crisi di gelosia, addirittura mi “mandò in nero” (cioè chiuse improvvisamente il collegamento, ndr)».
Ma, aneddoti a parte, Mani pulite fu una stagione di drammi personali.
«Sono stato testimone di tre suicidi: Moroni, Cagliari e Gardini. In un caso lessi una dolorosa lettera d’addio. Non ne ho mai rivelato il contenuto a nessuno. Sono orgoglioso di aver mantenuto il segreto. Tragedie che, alla luce di ciò che sono oggi, mi appaiono ancora più strazianti».
E com’è oggi?
«Più maturo. Ho compreso i veri valori in cui credere. Meno materialista è più spirituale. In grazia col Signore. Sereno con me stesso e il prossimo. Un uomo nuovo che ha trovato nella Vergine la sua guida etica e religiosa».
Rimpianti?
«No. Considero ogni momento della vita, nel bene e nel male, come un dono di Dio. Il Signore ci mette alla prova, sta a noi imparare dagli errori e non ripeterli».
Da anni organizza viaggi a Medjugorje, scrive libri sulla fede mariana, si impegna in opere di solidarietà e beneficenza con la sua onlus Olimpiadi del Cuore. Lo fa perché sente di doversi redimere da qualcosa di grave che ha commesso?
«Ma no. Sono una persona buona. Da piccolo regalavo i giocattoli agli amici che non potevano permetterseli».
Ma da grande qualche peccatuccio lo ha commesso?
«Ho avuto tante, troppe donne. Ho tradito e sono stato tradito. Ora credo nel valore della fedeltà matrimoniale. Spero di avere un’altra occasione per poterlo dimostrare. A me stesso. E a Dio. Mai disperare: ci sono incontri che, improvvisamente, possono cambiarti la vita».
Come, ad esempio, quello che ha avuto con Papa Francesco
?
«Un’esperienza meravigliosa, avvenuta nel 2015 all’indomani di quel brutto scherzo che mi fecero in tv Le Iene quando mi ingannarono con una finta telefonata da parte di Bergoglio. Mi sentii tradito nel profondo. Ancora oggi ricordo quella vicenda con enorme amarezza».
Eppure fu proprio quell’esperienza che convinse il Papa a invitarla in udienza privata a Roma.
«Il giorno più bello della mia vita. Portai anche mia madre, felice fino alle lacrime».
Cosa le disse il pontefice?
«Mi ha incoraggiò a proseguire nella mia opera per raccogliere fondi con l’obiettivo di costruire a Medjugorje un Ospedale della pace, al servizio di musulmani, ortodossi e cattolici».
L’antico scetticismo della Chiesa sul Medjugorje è ormai superato.
«Vero. Francesco ha inviato in Bosnia il suo vicario di Roma e il presidente della Cei. I miracoli della Vergine e la credibilità dei veggenti non sono ormai più in discussione».
Anche su questo fronte lei ha fatto un lavoro di ricerca storica, svelando una serie di verità scomode.
«La guerra contro la Madonna di Medjugorje l’hanno fatta soprattutto gli ultimi due ex vescovi di Mostar, Zanic e Peric, in combutta con Kgb e un regime comunista che ha sempre violentemente osteggiato l’opera di evangelizzazione portata avanti dai frati francescani. Due anni fa trovai le prove di questo accordo segreto e le inviai al Papa. Da lì è poi nato un libro di successo».
A proposito di successo e miracoli. Da juventino sfegatato, quest’anno riuscirete a vincere la Champions?
«Io la grazia alla Madonna l’ho chiesta. Chissà se verrà esaudita».
Ha chiesto pure qualcosa di importante: magari un terzo matrimonio, questa volta più fortunato dei precedenti, o la gioia di diventare padre.
«In realtà sono padre di una bambina stupenda che ho adottato in Bosnia. Quanto a un’altra moglie, le vie del Signore sono infinite. Anche se...».
Anche se?
«La donna che più amo è mia madre».
Una mamma super, anche lei gran personaggio. Molto cattolica.
«Nel mio periodo più buio i nostri rapporti erano entrati in un tunnel. Ma poi è tornata la luce».
Impossibile scindere Paolo dalla mamma.
«Ha 98 anni. Si è ripresa da un brutto incidente. Ora sta meglio ed è lucidissima. Le ho sempre voluto un bene dell’anima e oggi che la vedo così fragile gliene voglio ancora di più. E, finalmente, preghiamo insieme».