Per non parlare dell’Argentina, sull’orlo di un default e con metà della popolazione letteralmente affamata. E ancora la Bolivia, sconvolta dagli incendi che hanno bruciato milioni di ettari di boschi e terreni, dove Evo Morales si candida a presidente a vita. E poi il Perù, travolto da una corruzione dilagante, il presidente che scioglie d’autorità il Parlamento, una crisi istituzionale senza precedenti. Fino alla Colombia dove traballa l’accordo di pace con la guerriglia, si uccide il più alto numero di attivisti sociali e ambientali, la produzione di coca raggiunge un nuovo record. Senza considerare il Brasile con un presidente incapace di risollevare l’economia, che divide sempre più il paese e allarga la forbice tra i pochi ricchi e i tantissimi poveri. In fondo a questo cupo scenario spicca il Venezuela, isolato dal mondo, con due presidenti, senza cibo e medicine, le bande criminali che imperversano coperte dagli apparati repressivi dello Stato.
La destra non riesce a governare. Ha dimostrato il suo limite. In America Latina soffia un vento nuovo. Si riaffaccia la sinistra. Ma anche questa, quando è al potere, è priva di idee e progetti.
Colombia
A due settimane delle elezioni amministrative si registrano già 83 vittime tra i candidati politici. Oltre 250 capi della comunità rurali e attivisti sociali sono stati assassinati. Le ex Farc si sono spaccate e un folto gruppo è tornato nella clandestinità. L’economia arranca, il paese è spaccato sul processo di pace, continuano ad aleggiare i fantasmi del passato. Le riconversioni delle colture di coca non funzionano, i contadini restano prigionieri dell’inerzia del governo e delle bande di narcotrafficanti. Cresce la povertà, cala il lavoro.
Venezuela
La Commissione per i Diritti Umani dell’Onu ha tracciato un bilancio pesantissimo sulle violazioni e gli omicidi. Ma il governo di Maduro conquista un seggio proprio nello stesso organismo. Sembra una beffa. È la realtà contraddittoria di un paese ormai fallito. Oltre 4 milioni di persone sono fuggite all’estero. Ci sono 650 prigionieri politici, decine di parlamentari rifugiati nelle ambasciate. L’opposizione non è in grado di offrire un’alternativa e il regime governa con il pugno di ferro.
Ecuador
Solo la revoca dell’aumento del prezzo della benzina ha placato una rivolta che ha messo in ginocchio il paese. Il presidente Lenin Moreno ha dovuto piegarsi all’invasione di 25 mila indigeni che per una settimana hanno incendiato e sconvolto l’intera capitale. La situazione è tornata nelle normalità. Ma è stato un segnale: la crisi serpeggia, il governo non può limitarsi ad alzare i prezzi per ottenere prestiti internazionali.
Perù
Tre presidenti arrestati, un quarto latitante. Un ex capo di Stato suicida. Una paralisi legislativa perché la maggioranza difendeva uno stuolo di corrotti anche tra le alte sfere della magistratura. Una crisi istituzionale culminata con lo scioglimento del Congresso e nuove elezioni per il 26 gennaio. A pagare è la crescita economica: è crollata dal 5 al 1,5 per cento.
Bolivia
Evo Morales cerca la quarta vittoria. L’esito del voto è incerto. I sondaggi lo danno per favorito. Ma la sua base contadina e indigena è insoddisfatta. L’ex leader dei cocaleros ha fatto molto nei suoi 13 anni di potere ininterrotti. La crisi degli incendi ha messo in luce i limiti di una politica che campa di rendita. Morales punta sulla paura e la mancanza di alternative: ha già gridato al golpe se non sarà rieletto.
Argentina
Si vota domenica prossima. I peronisti sono i favoriti. La destra di Mauricio Macri ha fallito. Il peso è crollato, l’inflazione è del 54 per cento, il governo ha proclamato l’emergenza alimentare. Soffre la classe media diventata povera. Il governo ha bruciato il prestito da 53 miliardi di dollari e il Fmi ha già detto che non aprirà di nuovo il portafoglio. Tutti attendono l’esito delle urne. Ma senza troppe illusioni. Il rischio di una bancarotta, un nuovo corralito, lo stop al prelievo dei contanti, resta all’orizzonte.