Il Sole 24 Ore, 20 ottobre 2019
Rugby, un mondiale giapponese da 3,5 miliardi
Un successo di pubblico e finanziario. Più una favola sportiva legata ai trionfi sul campo del Giappone padrone di casa. Arrivata alla nona edizione, la fase finale della Rugby World Cup viene ospitata per la prima volta fuori dai Paesi di maggiore tradizione. Non che nel Sol Levante il rugby sia una disciplina sconosciuta: fino agli anni 80 è stato più popolare del calcio.
L’exploit del Giappone
Quest’anno la squadra in bianco e rosso – espressione di un movimento con oltre 100mila giocatori tesserati e con centri dedicati come quello di Ueda Sugadaira, decine di campi dotati di porte “ad acca” dove si è preparata anche l’Italia – ha fatto meglio di sempre battendo prima l’Irlanda e poi, domenica scorsa, la Scozia. Con un picco di telespettatori locali che ha superato i 60 milioni e il 50% di share.
L’exploit ha senz’altro ragione tecniche, poiché il team ha trovato un gioco brillante e veloce adatto alle caratteristiche dei suoi uomini. Dietro però c’è anche una solidità finanziaria non da poco. Infatti i maggiori club della Japan Rugby Top League appartengono ad aziende locali, tra cui Honda , Yamaha , Panasonic e Toyota . Sta qui la ricchezza del rugby nipponico, capace di attrarre giocatori stranieri, assi di grande levatura venuti a chiudere la carriera (su tutti il mediano d’apertura neozelandese Dan Carter) o elementi giovani alcuni dei quali, in virtù di una permanenza di almeno 3 anni, possono giocare in Nazionale. Una pratica adottata anche in tanti altri Paesi, Italia compresa, ma le corporation giapponesi hanno un appeal molto forte. In media le 16 squadre del massimo campionato vantano budget annui superiori ai 10 milioni di euro e, a fronte del “dilettantismo” degli atleti di casa assunti come dipendenti, chi arriva da fuori è allettato da forti ingaggi.
Il mondiale 2019
La manifestazione iniziata il 20 settembre si concluderà con la finale del 2 novembre, a Yokohama, in quello stesso Nissan Stadium da oltre 72mila posti che ospitò nel 2002 le finali dei Mondiali di calcio nippo-coreani. Alla fine saranno in tutto 45 le partite disputate negli stadi di 12 città. Impianti che nella maggior parte dei casi non hanno avuto bisogno di interventi di rilievo: solo il più piccolo (Kamaishi, 16mila spettatori) è stato costruito ex novo per circa 25 milioni di euro nella regione più colpita dallo tsunami del 2011. A proposito di eventi climatici estremi, 3 partite della fase a gironi (tra cui Italia-Nuova Zelanda) sono state annullate per il terribile tifone Hagibis.
Secondo le previsioni la Rugby World Cup dovrebbe portare in Giappone 450mila appassionati, un giro d’affari di 3,5 miliardi e un incremento del Pil superiore al miliardo e mezzo, con la creazione di 25mila posti di lavoro. La Federazione internazionale world rugby, lascia gli incassi delle partite agli organizzatori locali ma tiene per sé diritti tv, sponsor e merchandising.
Nonostante un ricavo netto inferiore agli oltre 150 milioni di sterline di 4 anni fa a causa di maggiori costi organizzativi, il “lordo” dovrebbe risultare superiore. I 45 milioni di sterline assicurati per England 2015 dal confermato sestetto di sponsor internazionali (Land Rover, Société Générale, Dhl, Emirates, MasterCard e Heineken ) sono aumentati anche grazie al coinvolgimento di diverse grandi società giapponesi, tra cui Canon e Nec. Era difficile, invece, ottenere dai diritti tv più dei 110 milioni di sterline incassati per England 2015, visto il fuso orario penalizzante. In realtà, a quanto risulta, chi ha investito ha ottenuto in cambio un’opzione per la Coppa del 2023 in Francia. E in prima fila su questo fronte c’è la transalpina TF1.