La Stampa, 20 ottobre 2019
Bolivia, Evo Morales verso la riconferma
Da fanalino di coda a Paese con la crescita più sostenuta negli ultimi dieci anni in tutto il Sudamerica. Se Evo Morales è il grande favorito delle elezioni di oggi lo si deve in gran parte al miracolo economico boliviano, frutto di un sistema ibrido tra statalismo e capitalismo, capace di oscurare i rischi evidenti della personalizzazione del potere, con un quarto mandato presidenziale consecutivo in barba persino alla Costituzione da lui stesso promulgata. I numeri parlano chiaro: dal 2006 ad oggi il Pil è cresciuto a una media del 5% all’anno (chiuderà il 2019 al 4.5%), la povertà è crollata dal 60% al 35% della popolazione, il debito pubblico al 50% del Pil, quando nei vicini Brasile e Argentina si attesta sul 80%. La chiave di volta è stata la nazionalizzazione degli idrocarburi, il petrolio e soprattutto il gas naturale; Morales ha rinegoziato i contratti con le multinazionali, facendo pagare fino al 85% di tasse. Un enorme flusso di denaro che ha permesso allo Stato di investire su infrastrutture e programmi sociali, che hanno beneficiato soprattutto le famiglie povere e indigene.
Una pioggia di «bonos»
La politica dei «bonos» ha trasformato la Bolivia; il «Jacinto Pinto», soldi agli studenti a patto che frequentino regolarmente corsi superiori e universitari, la «Rendità dignità», aiuti gli anziani che non riuscivano a ricevere una pensione perché avevano lavorato tutta la loro vita nel settore informale, il «Juana Zurduy» assegni alle giovani madri, a patto che i figli siano regolarmente vaccinati. L’apertura commerciale ha creato una nuova classe media, soprattutto di etnia aymara, la stessa del presidente, che dalle campagne si è installata nelle città con una rete di piccole fabbriche, negozi, ristoranti. Lo si vede soprattutto a El Alto, città satellite sopra la capitale La Paz, oggi cuore pulsante dell’economia boliviana. È da lì, a 4.000 metri di altitudine, che sono partite le rivolte contro i presidenti «bianchi»; cinque governi caduti uno dopo l’altro tra il 2001 e il 2005. Nel 2006 è arrivato il "presidente indio" e da allora comanda solo lui. Per diversi anni gli allevatori e agricoltori dell’altipiano orientale di Santa Cruz hanno cercato di sconfiggerlo, invocando addirittura l’indipendenza da La Paz, ma quando hanno capito che i benefici della crescita economica stavano arrivando anche a loro hanno smesso di considerare Morales un nemico. Gli investimenti nelle infrastrutture sono stati poi determinanti per mantenere alto il consenso verso il governo. In dieci anni sono state costruite strade, ferrovie, aeroporti, scuole, università e non ce n’è una che non abbia il simbolo del governo con la faccia sorridente del presidente.
Dopo dieci anni al potere Morales ha promosso nel 2016 un referendum per modificare la carta Magna e poter così aspirare a un terzo mandato, ma incredibilmente il popolo gli votò contro. Molti pensavano che il suo regno stava volgendo al termine ma dopo pochi mesi è intervenuta la Corte Suprema, sua alleata, per ribaltare tutto. Cosciente che le risorse del sottosuolo non sono infinite, il governo ha puntato su nuove settori con lo sfruttamento delle gigantesche riserve di litio nel deserto di sale di Uyuni e aprendo le campagne orientali alle coltivazioni estensive di soia. A luglio è stato firmato un decreto che permette ai coltivatori di bruciare fino a 20 ettari di foresta per espandere la frontiera agricola. Quando un mese dopo la parte boliviana dell’Amazzonia ha cominciato a bruciare il presidente si è guardato bene dal denunciare le ragioni dolose dei roghi preferendo, come ha fatto il collega brasiliano Bolsonaro, dare la colpa alla siccità. Dopo anni a difendere la Pachamama (la madre terra) Morales è stato accusato dagli indios boliviani di volerla distruggere in nome della crescita economica. «Evo usa il sistema capitalista con i suoi amici e rifila il socialismo ai suoi nemici» dicono dai banchi dell’opposizione, che oggi si affida all’ex presidente Carlos Mesa per cercare di ribaltare un’elezione che appare persa in partenza. A Morales basterà il 40% dei voti con dieci punti di distacco per staccare il ticket del quarto mandato e restare in sella fino al 2024.