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 2019  ottobre 20 Domenica calendario

Dna, gli inconvenienti dei test convenienti

La pubblicità: «Il tuo Dna rivela il tuo specifico retaggio, i gruppi etnici e le regioni geografiche da cui provieni. Trova nuovi parenti che non hai mai saputo esistessero mediante il tuo Dna condiviso». Con questo slogan, la MyHeritage (myheritage.it) pubblicizzava l’estate scorsa il test con cui conoscere la propria genealogia al costo di 59 euro anziché 79. Basta un cotton-fioc per solleticare l’epitelio all’interno delle guance e un poco di saliva da depositare in un tubicino, per poi rispedire tutto al mittente. E sino a qui si resta nel gioco dei «test genetici diretti al consumatore», gioco che però poi si fa «serio» con la nuovissima offerta a 149 euro per scoprire il «rischio genetico» di svariate malattie. Ad indicare che il mercato dei test genetici «fai da te» è ormai maturo, in rete si trovano altre imprese commerciali che offrono simili test: 23andMe, Geno2.0, FamilyTreeDna, Living Dna, Ancestry, DnaTribes, Wegene, Igenea.
È dunque possibile ricostruire il proprio albero genealogico senza andare in parrocchia per consultare i registri dei matrimoni e dei battesimi, con l’assicurazione, assai bizzarra, di poter scoprire il percorso migratorio seguito dai propri avi nelle ultime centinaia o migliaia di anni o se c’è del Dna di Neanderthal in noi. Ma certo che sì, quest’ultimo dato vale per tutti gli Homo sapiens! O ancora, per soli 149,95 dollari si può scoprire se Charles Darwin, la regina Vittoria o Napoleone Bonaparte sono connessi alla nostra storia famigliare. 

Come detto, da alcuni anni il gioco si è fatto «serio» e l’offerta è ora rivolta a test che svelano il rischio di sviluppare una determinata patologia. L’incipit, comune a tutti i siti, informa sul fatto che la gran parte delle malattie è dovuta a più geni e il rischio di manifestarle è determinato dai fattori ambientali (stile di vita, dieta, esposizione a xenobionti, fumo e così via): frase che già la dice lunga sul valore effettivo dei risultati che si ottengono. L’avvertenza suona infatti più come un ombrello a difesa di possibili conseguenze giuridiche, eventuali cause in tribunale, che non come una ulteriore informazione assai importante. Perché è tutto qui il problema della validità di queste offerte: la stragrande maggioranza delle malattie non sessualmente trasmissibili per le quali si muore (malattie cardiovascolari, polmonari e tumori) sono tutte dovute a una costellazione di geni; in altri termini, non sono monogeniche (dette anche monofattoriali o mendeliane). E dunque è ben difficile con un test al costo di qualche centinaio di euro pensare di poter evidenziare la presenza di tantissime variabili geniche (come minimo sono necessari test del valore di 5-7 mila euro), ma ancora più difficile è riuscire ad associare una specifica identità genetica allo sviluppo di una di quelle malattie, per il semplice fatto che oggi non conosciamo queste associazioni, se non molto approssimativamente.
È dunque prematuro pensare di ricevere risultati degni di nota su malattie causate da tanti geni. Ad esempio, la lista di malattie indicate da MyHeritage è di 27: tre rischi poligenici (tumore del seno, patologie cardiache, diabete tipo 2), undici monogeniche (malattia di Crohn e celiaca, degenerazione maculare, deficienza alfa-1 antitripsina, trombofilia ereditaria, insorgenza tardiva di Parkinson e Alzheimer, ed altre) e tredici profili di portatori (anemia di Fanconi e falciforme, fibrosi cistica, mucolipidosi di tipo IV, ed altre ancora). I costi variano tra cento e i duecento euro e il risultato non è altro che la valutazione del «rischio genetico», definito come la sola «componente genetica» (vi è poi quella ambientale, il più delle volte quella decisiva) della probabilità di sviluppare una malattia.
Di fatto il consumatore ha gettato dei denari e magari inizia a preoccuparsi inutilmente. La validità degli esami cambia quando si considerano le malattie causate dalle mutazioni di un solo gene, per le quali i risultati sono chiari. Queste malattie si distinguono in autosomiche o legate a cromosomi sessuali (X e Y) e possono presentarsi in una forma dominante (basta il contributo di un solo genitore per ereditarla) o recessiva (deve essere ereditata da entrambi i genitori). Alcune delle più frequenti sono nanismo, tumore familiare del colon e della mammella, retinoblastoma, betatalassemia, fibrosi cistica, anemia falciforme, emofilia, distrofia muscolare di Duchenne e poche altre ancora. Ci auguriamo risulti evidente al lettore che di fatto, per simili malattie, deve essere un medico a suggerire, svolgere e interpretare il test insieme al paziente.
Queste opportunità commerciali invitano a svolgere alcune riflessioni. La prima è certamente legata all’affidabilità scientifica: una considerazione da cui ne discendono altre ancora di natura psicologica, emotiva, etica, giuridica. Va precisato che simili test hanno una validità estremamente limitata al di fuori delle malattie monogeniche e dunque bisogna domandarsi se è giusto lasciare questo spazio a iniziative commerciali su temi tanto delicati, i cui rischi sono quelli di far cadere le persone in crisi psicologiche ed emotive del tutto fuori luogo, ma dagli esiti imponderabili. Sapere di avere un rischio genetico più elevato della media non significa affatto sviluppare una determinata malattia. I risultati vanno letti e interpretati con l’aiuto di uno specialista, poiché le conseguenze, come sopra specificato, possono essere devastanti sotto il profilo emotivo e psicologico. Di più, una volta a conoscenza di un reale maggior rischio genetico si ha il dovere di informare i propri consanguinei? O ancora, i consanguinei hanno il diritto di sapere o hanno il diritto di non sapere?

Appare chiaro che si viene a creare un vero e proprio ingorgo giuridico. Di estremo interesse al riguardo è la lettura della commovente lettera dell’attrice Angelina Jolie pubblicata sul «New York Times» il 14 maggio 2013, nella quale sono raccontate le ragioni che la hanno indotta a un intervento di doppia mastectomia, riconducibili all’essere risultata positiva al test per il rischio genetico del cancro al seno (Brca1) e alla famigliarità di quel tumore. Purtroppo, il messaggio giunto al grande pubblico è stato del tutto distorto al punto che il settimanale «Time» dedicò la copertina all’attrice con l’eloquente titolo L’effetto Angelina, per sottolineare l’aumento di richieste per il test.
Vi è poi da sottolineare che queste offerte commerciali inducono il consumatore a interpretazioni non corrette, quali la sovrastima o la sottostima del rischio effettivo, prendendo ad esempio per certezza il risultato negativo. La risposta del consumatore è comunque forte, se consideriamo che i database delle tre principali imprese contengono ben 19 milioni di profili genetici in Ancestry.com, 9 e 3 milioni in MyHeritage e 23andMe, rispettivamente. E qui si celano le sorprese... giudiziarie. Un simile tesoro non può certo passare inosservato agli occhi degli investigatori che sono sulle tracce di criminali, poiché il Dna dei parenti è utilissimo per le identificazioni genetiche. Le relazioni famigliari di parentela amplificano a dismisura questa cifra a più del 60 per cento della popolazione statunitense. Ciascuno di noi ha infatti circa 800 «parenti», se si risale sino al terzo grado di parentela, e dunque per essere identificati e rintracciati basterà che uno solo dei nostri numerosi familiari di terzo grado abbia fatto il test e voilà, anche noi risultiamo essere a disposizione degli investigatori, senza mai aver neppure pensato di sottoscrivere un consenso informato.
È evidente l’interesse di una simile banca dati per fini «altri» da quelli dichiarati. Il sistema sanitario e quello della giustizia (nel suo settore investigativo) possono trarne vantaggi. Per non analizzare i recenti casi di cronaca nera italiani, basterà ricordare quello dell’assassino del Golden State o dell’arresto del padrino Bernardo Provenzano, identificati grazie al Dna di lontani parenti. 
Chi si mette alla ricerca di uno zio d’America è avvisato: è più alta la probabilità di trovare un più o meno lontano parente Mister Hyde, che un ricco dottor Jekyll!