La Lettura, 20 ottobre 2019
Il caso Hong Kong, in breve
Le proteste a Hong Kong esprimono il malessere profondo di una comunità che ha sfruttato appieno il ruolo strategico che la storia le ha riservato. Gli abitanti dell’isola s’interrogano sul proprio futuro. Tutto è cambiato nel 1997, anno del ritorno alla sovranità cinese. La situazione s’è fatta critica quando Xi Jinping ha avviato il piano d’espansione sulle «vie della seta» e Donald Trump ha vinto le elezioni promettendo un rafforzamento della supremazia americana e un contenimento delle ambizioni cinesi.
Hong Kong è tra le prime città al mondo per qualità della vita e reddito pro capite, ma sta vivendo una pesante fase recessiva. La richiesta di libere elezioni avanzata dai manifestati è inaccettabile, non tanto per il governo dell’isola, quanto per quello del continente. Pur avendo uno statuto speciale, infatti, Hong Kong è Cina, e in Cina è al potere il Partito comunista. Il confronto a livello internazionale è ben più rilevante del destino di Hong Kong, il cui ruolo economico-finanziario potrebbe venire ulteriormente ridimensionato da Pechino pur di mantenere il controllo politico dell’isola, evitando pericolose ripercussioni sul continente. La richiesta dei manifestanti di un intervento americano in difesa dei diritti democratici e l’avvio da parte del Congresso Usa di un processo legislativo volto a legittimare un’ingerenza statunitense negli affari dell’isola rappresentano una minaccia per il futuro di Hong Kong e alimentano una guerra fredda destinata a coinvolgere il mondo intero.