la Repubblica, 18 ottobre 2019
Raoul Bova nei panni di Giorgio Armani
«Armani? Gli basta guardarti trenta secondi per farti la radiografia. E capire tutto di te, se sei giù, in forma, ingrassato, dimagrito». In Made in Italy, la serie già online su Amazon Prime e da marzo in onda su Canale 5, Raoul Bova veste i panni di Re Giorgio. Senza guardarlo nei suoi famosi occhi azzurri, ma ascoltandolo al telefono, da Torino, dove sta girando la fiction prodotta da Mediaset, Giustizia per tutti, racconta la sua ansia da prestazione: «Per la prima volta mi sono confrontato con un personaggio reale, noto a tutti, con il rischio dell’effetto imitazione o della caricatura. Ci conosciamo da vent’anni, c’è affetto, stima reciproca, ecco perché mi sono sentito investito di una certa responsabilità. Il suo perfezionismo è proverbiale. Temevo di deluderlo. Prima di accettare il ruolo, ho chiesto il suo parere». Per diventare il designer del rigore, si è sbiancato i capelli, ( «Me li hanno decolorati per otto giorni, non venivano mai bene»), ha inforcato gli occhiali e l’ha studiato per bene. A partire dall’erre moscia. «Ne ha una tutta sua: quando inizia la frase è dura, in mezzo alle sillabe s’ammorbidisce e a volte non c’è proprio. È preciso, secco, chiaro. Sa cosa vuole».
La serie ambientata nella Milano barricadera e poi da bere – sullo sfondo i cortei, il femminismo, l’omosessualità che inizia a mostrarsi – racconta gli esordi del fashion di casa nostra: «Mi è sembrata una bella occasione per la nostra Italia e le eccellenze che ci hanno fatto conoscere nel mondo. Questa storia potrà funzionare anche all’estero». Che sia per il Festival di Sanremo, una serata di gala o un red carpet, da una ventina d’anni Raoul Bova è firmato Armani: «Alcune sue maglie le puoi indossare sia sul pigiama che sotto lo smoking. Sa fondere come nessuno eleganza e semplicità».
Nella serie Netflix La reina del Sur, la fiction in lingua spagnola più seguita di sempre negli Stati Uniti, Raoul Bova è il cattivo Lupo: «Ma poi diventa buono. Di lui si scandaglia l’anima, i traumi all’origine della perfidia». Meno avvenente, lo zio Fester al quale presta la voce nel cartone La famiglia Addams che sarà presentato alla Festa del cinema di Roma. Un contrappasso per il bello dei nostri schermi: «"Che figata”, mi sono detto. Fantastico rimettersi in gioco con un’immagine così diversa dalla propria. Finalmente ho potuto divertirmi, cazzeggiare, tirare fuori le mie modalità di gioco». Chissà se, con una fisicità diversa, la critica sarebbe stata più clemente... «Di sicuro avrei vinto il premio Oscar», ride. «A inizio carriera, mi presento per Il branco ma Marco Risi mi scarta:” Sei andato bene”, mi rassicura,” ma quell’aria angelica non funziona”. Su consiglio di Ferzan Ozpetek, che era l’aiuto regista, non dormo due notti, mi compro lenti a contatto marroni e ci riprovo. Marco non mi scelse comunque, ma rimase impressionato dall’impegno che ci avevo messo». Merito della tenacia acquisita durante gli allenamenti di nuoto in vista di quel futuro da campione sognato dal padre: «Volevo ripagarlo degli sforzi e dei sacrifici fatti per crescermi, avere un padre così presente è stato il regalo più bello».
In questa intervista, il silenzio e i «preferisco non rispondere» sono stati il controcanto alle domande sulla famiglia e il suo nuovo amore: «A volte vuoi dire una cosa bella e l’effetto è opposto. Ho capito che è meglio parlare direttamente con le persone. Le intermediazioni creano distorsioni». Qualche tempo fa, il figlio Francesco ha celebrato i 18 anni con una gran festa alla quale c’erano tutti, salvo le due sorelline Luna, tre anni, e Alma, dieci mesi, avute con la nuova compagna Rocio Muños Morales, l’eplosiva modella di 17 anni più giovane, per la quale ha lasciato la moglie Chiara Giordano, 46 anni, che è anche madre di Alessandro Leon, 20 anni, e con cui è di nuovo in buoni rapporti. La famiglia allargata da telefilm, per ora, resta un miraggio. E tanta cautela nell’esprimersi si spiega con la voglia di arginare il gossip, proteggere i figli e prepararsi a un divorzio che rischia di far male visto il profilo della suocera, Annamaria Bernardini De Pace, avvocato matrimonialista autrice, nel periodo della separazione, di una lettera a Il Giornale intitolata Caro genero degenerato, vai e non tornare. Tra alti e bassi, accuse, ritrattazioni e la favola del bello e buono andata in pezzi, si è delineato il ritratto di un uomo meno perfetto sì, ma reale. Capace di raccontare il dolore per un matrimonio che finisce, la rabbia, la depressione: «Ma il termine depressione è stato abusato, è una cosa seria. Parlerei invece di un momento di difficoltà dal quale non pensavo di riemergere, quando sei debole e vedi gli amici che se ne vanno e gli avvoltoi che arrivano e ti consigliano male. Soffrendo, ho imparato a capire quello che volevo veramente, a resistere e ad accettare i miei limiti. Con il tempo, la sincerità dei miei affetti verrà fuori. Se sei vero e onesto non devi temere niente. Adesso sto bene. E quando stai bene non c’è niente da raccontare. Ricomincio da me».