Robinson, 19 ottobre 2019
Biografia di Mileva Marić, moglie di Albert Einstein
Slavenka Drakulić, originaria di Rijeka (Fiume, oggi in Croazia), si è affermata con alcuni libri di non fiction, che raccontavano con ironia e caustica sinteticità la disgregazione del suo Paese, la Jugoslavia, poi devastata dal nazionalismo e dalle guerre civili. Penso a Balkan Express (1993), Come siamo sopravvissute al comunismo riuscendo perfino a ridere (1994), Caffè Europa ( 1997). Femminismo, malattia, crimini di guerra sono al centro anche dei suoi romanzi: si vedano Pelle di marmo ( 1994) e il durissimo Come se io non ci fossi (2000), sugli stupri etnici in Bosnia. Ma nell’ultimo decennio si è dedicata anche alla narrativa biografica. Il letto di Frida ( 2007, tradotto in italiano nel 2011), era il ritratto intimo e aspro di un personaggio divenuto icona pop e banalizzato dai cliché, Frida Kahlo; Dora e il Minotauro ( 2014) ricostruiva la storia della fotografa Dora Maar e del suo rapporto con Pablo Picasso. Adesso Bottega Errante Edizioni, specializzata nella letteratura dell’est Europa, propone Mileva Einstein. Teoria sul dolore che, come si evince dal titolo, racconta la storia della moglie di Einstein. In esso confluiscono e ritornano molti temi cari all’autrice.
Zoppa e due volte diversa – perché disabile e studentessa universitaria in un’epoca in cui gli studi erano ancora un privilegio maschile – Mileva Marić, serba di Novi Sad, nel 1896 incontra, al Politecnico di Zurigo (unica università che ammetteva le donne ai corsi di fisica), Albert Einstein: adolescente, oppresso da una madre tirannica e a sua volta emarginato per il carattere, la genialità, l’insofferenza alle regole del mondo accademico. Inizia così, fra due “strambi solitari”, un’avventura amorosa e scientifica che condurrà il secondo alle scoperte che cambieranno il mondo, al Premio Nobel, alla ricchezza e all’immortalità, e la prima al fallimento, alla depressione, alla miseria e all’oblio.
Il romanzo, scritto in una prosa spiccia e quasi sgarbata, si compone di cinque capitoli, di differente misura; cinque flussi di memoria, per lo più in terza persona ma sempre dal punto di vista di Mileva, monologhi e ricordi ambientati ciascuno nella claustrofobia di un unico spazio: la cucina della casa di amici a Berlino; il treno che la porta a Zurigo dopo la separazione dal marito; l’ospedale in cui viene ricoverata per curare i suoi mali, fisici e psichici ( la tubercolosi, l’infarto, la paralisi); il balcone di Huttenstrasse in cui si è sistemata coi figli; il sanatorio, il rinomato Burghölzli, in cui ha ricoverato il diletto figlio minore, Tete. A poco a poco riaffiorano schegge di passato – l’infanzia da esclusa, il padre protettivo, la sorellina zoppa e folle, la prima bimba, nata fuori dal matrimonio, che lei fu costretta ad abbandonare e della cui morte mai poté perdonarsi – e i frammenti di una vita in pezzi si ricompongono per il lettore: che scoprirà come e perché una figlia molto amata, una giovane di talento, un’amante complice, una madre accudente, diventa una fallita, una casalinga, una serva: una “nullità”. È la storia crudele della moglie di un uomo speciale, ma nella sua implacabile discesa la caduta di Mileva somiglia a quella di ogni donna annientata dal matrimonio, dalla maternità, dalla cura del marito, il quale – col passare del tempo – scopre di non avere più bisogno del suo sostegno e del suo amore.
Costruito su episodi accertati delle biografie di Einstein, di Marić e del loro figlio Eduard, diagnosticato schizofrenico e infine internato dopo aver tentato di uccidere la madre, il romanzo ingloba anche documenti reali, come le lettere di Einstein. Si apre proprio con la trascrizione delle “Condizioni”, che il fisico propose alla moglie per proseguire il loro rapporto. Fra queste: «ti assicurerai che i miei indumenti e la mia biancheria siano tenuti in ordine», «rinuncerai a qualsiasi rapporto personale con me», «smetterai di parlarmi se te lo richiederò». Mileva prima accetta di essere degradata a domestica e privata della parola, poi fugge a Zurigo. Non sarà l’inizio della liberazione ma di una ancora più umiliante dipendenza economica.
I capitoli sono incorniciati fra le due date fatali della storia d’Europa, il 1914 e il 1933. La guerra privata della serba Mileva deflagra infatti nel luglio del 1914, nello stesso momento in cui la pallottola serba sparata a Sarajevo scatena il primo conflitto mondiale. La grande Storia ai cui margini si consuma sembra solo un rumore di fondo. Non lo è, e finisce per condizionare anche il suo destino e quello di Einstein: lui, che non si è mai riconosciuto ebreo, dovrà quell’anno lasciare l’Europa. Tuttavia Mileva – pure disinnescata dalla distanza – non si lasciava dimenticare. «Lei è e rimarrà sempre», scrisse, «la parte amputata di me». Mai laureata, mai riconosciuta come collaboratrice delle ricerche di Einstein, non poteva fare altro che scomparire. Così, nel 1925, le suggeriva l’ormai ex marito: «se uno è una nullità, non c’è nient’altro da fare che stare zitti e buoni».
Mileva Marić in effetti ha taciuto. Non Drakulić, che parla per lei e per le milioni di altre di cui niente si sa. I suoi libri non sono mai consolatori né sentimentali, né si lasciano etichettare nel genere melenso del risarcimento postumo al talento femminile. Sono affilati come lame, urticanti alla lettura, angosciosi talvolta, distillati di dolore: mai inutili né deprimenti, però, anzi uno stimolo – per tutti – a una più consapevole costruzione di sé.