Siamo, come sempre, a Rebibbia. Appuntamento sotto il mammut. Per chi non lo sapesse è il murales dipinto da Zerocalcare all’uscita della metro che fa riferimento a un presunto mammut conservato nel quartiere, leggenda a cui da piccolo lui e tutti gli altri ragazzini si sono abbeverati. «Scusa se non ti invito a casa, ma c’è davvero troppo casino», spiega. Pensi a una delle storie contenute nel nuovo volume, in cui racconta di come inviti un amico a cena a mangiare sul divano perché i tavoli e anche gli altri possibili punti d’appoggio della casa sono tutti occupati da libri, gadget e oggetti vari, e capisci. Le case di Zerocalcare che ho visto nel corso degli anni (due) hanno sempre le stesse caratteristiche, sono disordinate ma esprimono al meglio la sua personalità: poster musicali e politici, locandine, personaggi di Star Wars, il Millenium Falcon della Lego montato, una grande tv e, unica concessione al lusso (!), una macchina tipo quelle che negli anni 80 trovavi nei bar con un simulatore di retrogames (ovvero gli ingenui, fantastici giochi che si facevano in quel periodo, come ci ha ricordato Stranger Things). Sono qui perché tra poco, il 30 ottobre, inizia Lucca Comics, il festival dedicato al fumetto, ma non solo, più importante d’Europa e numero due al mondo dopo Tokyo, per affluenza.
Lucca naturalmente è sempre l’occasione per bilanci, confronti, discussioni sul rapporto tra cultura alta e bassa ma anche occasione di intrattenimemento e, per gli autori, di presentazione di nuove opere.
Quest’anno non mancherà quasi nessuno: da Gipi con il suo nuovo, attesissimo Momenti straordinari con applausi finti a Manuele Fior con Celestia e poi nuove, giovanissime promesse che fanno davvero ben sperare come Zuzu (vero nome Giulia Spagnulo) e Fumettibrutti (vero nome: Josephine Yole Signorelli).
Naturalmente anche Michele Rech, in arte Zerocalcare, ha una novità. Dal titolo assai bizzarro.
Come è nato “La scuola di pizze in faccia del professor Calcare”?
«Si tratta di una raccolta di storie degli ultimi due anni uscite sul mio blog mai pubblicate prima e di altre cose sparse tra Internet, quotidiani come Repubblica e riviste varie. Mi piaceva l’idea di fare un progetto molto eterogeneo che contenesse al tempo stesso le cose più serie politicamente e quelle più leggere, spensierate e sceme. Era importante farlo anche proprio per la mia vita».
Questo ci porta proprio alla storia che i lettori di “Robinson” possono vedere qui in anteprima, dal
momento che tratta esattamente di questo tema.
«Sì, io sentivo il bisogno di spiegarla questa cosa, perché mi sono trovato negli ultimi anni al centro di continue polemiche. Ogni volta che pubblicavo qualcosa di “serio” partivano gli insulti di quelli che non condividevano politicamente ciò che facevo oppure che volevano solamente storie divertenti, buffe e così via. Ogni volta invece che ne facevo una più spensierata iniziavano quelli che dicevano: “Eh ma dopo che hai fatto Kobane Calling non puoi rimetterti a fare cose così sceme”. Questa per me è una gabbia. Non solo. Credo che parlare di un unico argomento neutralizzi anche quello che cerchi di esprimere: diventi l’esperto di quel tema, ti segue solo chi sta in fissa con quella cosa lì, mentre gli altri la derubricano a “frega un cazzo”. Roba che volevo evitare, ma poi non è solo questo. Credo che le persone siano complesse: io posso essere uno che sta in fissa con le serie tv e le merendine, ma al tempo stesso avere un pensiero su quello che succede in Siria. Perché devo esprimermi a senso unico?».
Ci sono aspetti in questa storia che secondo me fanno morire dal ridere, sia per come li racconti, sia per il disegno, in particolare — faccio un piccolo spoiler ai nostri lettori — “Bufalo Pazzo” Calcare (lo potete vedere a pag. 10).
«Il rischio infatti è un po’ quello (ride anche lui): diventare l’attrezzo degli anni ’70 che fa il cantautorato impegnato, cosa che però non mi corrisponde né come storia, né come carattere».
“Pazienza non l’avrebbe mai fatto” (cit.).
«Sì beh, pure ’sta cosa… Sui social ogni volta che c’è una discussione su di me sai quanti postano frasi tipo “Pazienza era più bravo”, “Pazienza faceva diversamente”. Anche per me Andrea Pazienza era un genio ma poi ognuno ha il percorso suo, io non mi sento neanche minimamente degno di essere paragonato a lui, mi sembra una mancanza di rispetto nei suoi confronti».
Lui aveva fatto anche satira, in primis su “Il Male”, cosa che tu non fai. O comunque non in quel modo.
«Ecco appunto. Io faccio altro che nulla c’entra.
Questo bisogno di incasellarti comunque ce l’hanno un po’ tutti: i fan, la politica, i critici, i letterati».
Per questo vai pochissimo in tv?
«Io in tv ci vado solo per due motivi: se ho una storia nuova e per la mia casa editrice è importante e poi se ci sono questioni fondamentali e la trasmissione dice “ne parliamo, ma solo se vieni tu”. Ma non è che non voglia andarci per chissà quale motivo ma perché mi rendo conto che io sembro un cojone quando parlo in televisione, se devo essere preciso e puntuale nelle cose serie preferisco farlo per iscritto. Dal vivo mi impiccio, mi emoziono, poi torno indietro a pensare che avrei potuto dirla diversamente. Insomma, non è proprio lo strumento mio».
? continua a pagina 11 f
In questi anni sono stato al centro di continue polemiche. Hanno cercato tutti di insegnarmi come vivere. È di questo che parla la mia ultima storia
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Alcuni dicono: “Eh ma dopo che hai fatto Kobane Calling non puoi rimetterti a fare cose sceme”
Questa per me è una gabbia che rende il messaggio meno forte
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k Rebibbia Calling Zerocalcare (35 anni) con Robinson a Rebibbia, il quartiere di Roma in cui è cresciuto e dove vive
Quello sei tu: parli come Zerocalcare, il protagonista di storie che vendono decine di migliaia di copie. Poi capisco che il mezzo sia difficile da addomesticare.
«Io comunque, soprattutto, sono sicuro che si debba parlare solo quando si ha qualcosa da dire: farlo tanto per aggiungersi all’inquinamento acustico che c’è già in questo mondo è proprio sbagliato».
Qualche giorno fa hai fatto un’intervista per il nostro giornale su un tema che ti sta molto a cuore: questo attacco della Turchia ai curdi in Siria che hanno combattuto per liberarla dall’Isis.
«Quando Repubblica
o un altro medium mi chiede di parlare di queste cose io chiedo a mia volta all’assemblea a cui faccio riferimento “Serve? Se mi dite di sì lo faccio. Se sono io che faccio il mitomane, non lo faccio”. In questo momento ovviamente serve e l’ho fatto. Io però cerco sempre di avere questo tipo di approccio, non sono rappresentante di nulla a meno di avere una delega specifica. Se non mi confrontassi con chi si occupa di Kurdistan quotidianamente non parlerei, proprio perché non ne ho la competenza».
Cosa pensi di quello che sta succedendo?
«Che è uno dei momenti più drammatici mai vissuti. Era un paio d’anni che la situazione rischiava di precipitare e adesso purtroppo i peggiori timori si stanno avverando.
Fino a questo momento c’è stata una lunga catena di attacchi e provocazioni ma mai l’invasione. Tutto quello che era stato costruito con un prezzo altissimo di sangue, il modello di convivenza più avanzato di quell’area, rischia di essere completamente distrutto».
Credo che ci sentiamo tutti veramente impotenti. In più anche a casa nostra non c’è da stare molto allegri. Lo racconti in alcune storie presenti in questo libro.
«Sì, c’è una storia che parla del Salone del libro di Torino in cui oltre alla specifica vicenda della presenza di una casa editrice fascista c’è stato un esercito di persone che hanno deciso di insegnarmi che cos’è l’antifascismo, come si è veramente antifascisti. In linea di massima tutti quelli che pontificavano non li ho mai visti dedicare un’ora della loro vita a fare antifascismo».
Era difficile però scegliere cosa fare in quella circostanza, andare o non andare.
«Certo. Ma proprio per questo l’ultima cosa di cui si ha bisogno in questi casi sono giudizi tagliati con l’accetta.
Chi andava, cosa più che legittima ci mancherebbe, doveva però porsi un problema: come si mette in crisi quel meccanismo là. Non parlo dei media naturalmente, parlo degli autori. La questione andava comunque problematizzata, non si poteva far finta di niente, normalizzare quella presenza: non si può sdoganare un’organizzazione politica strutturata che in quelle stesse ore a Roma stava tenendo in ostaggio una famiglia rom a Casalbruciato per far sì che non potesse avere una casa popolare a cui aveva diritto. Questo la rende diversa anche da altre situazioni indecenti che purtroppo ci sono sempre state tipo l’editore che vende Mein Kampf ».
È chiaro che cercavano l’attenzione mediatica e forse ci sono riusciti.
«A maggior ragione è stato importante che ci sia stata una presa di posizione molto forte. Finché la presa di posizione della gente impediva a questi personaggi di fare i cortei la cosa non si allargava, lasciargli spazio significa dargli legittimità».
Tu sei in prima linea, non hai paura?
«Io problemi con loro ce li ho da quando ho quindici anni: mi hanno spaccato denti, naso eccetera. Quindi per me non è cambiato molto rispetto a prima. Adesso semplicemente la mia posizione è più visibile».
Passiamo a un altro registro delle tue storie, quello più ironico. Si cresce, i tuoi amici si sposano, tutto cambia: il tuo mondo sta crollando?
«Sì (ride), ma per fortuna sono in buona compagnia di altri falliti come me. Sì, ci sono quelli che vanno avanti come treni e si costruiscono famiglie, una solidità e stabilità emotive però comunque un po’ di amici miei stanno ancora al palo, una piccola schiera di persone che faticano a trovare… Non so neanche come dirlo: una pacificazione, forse. Una pacificazione emotiva che riguarda amore, affetti e così via».
Ma tu come ti senti?
«Io sento che negli ultimi otto anni ho dedicato molto tempo al lavoro e infatti dal punto di vista professionale sono in una situazione fortunata e privilegiata. Però tutto il resto è evidentemente qualcosa che ho trascurato e il conto lo pago adesso. Tutta una costruzione affettiva, anche di vita adulta… io sono rimasto cristallizzato in qualche modo».
Però ci sono gli amici.
«Sì, sì però quando vai a cena con una comitiva e quasi tutti sono lì con la famiglia, con i figli, non è che sono invidioso, però mi rendo conto che c’è stato un investimento su una serie di cose che io non ho fatto…».
Com’è una tua giornata?
«Ho due moduli di giornata io. Il modulo Roma in cui mi sveglio la mattina, sto a casa, lavoro dalle nove fino alle cinque, mangio uno yogurt, vado in bagno, continuo a lavorare fino a mezzanotte, poi cena sul divano mentre guardo le serie tv fino alle due, due e mezza. L’altro modulo invece è: vado a prendere un treno, arrivo in una città all’ora di pranzo verso le due, alle tre incomincio a fare i disegnetti al pubblico fino alle sei, poi chiacchierata di presentazione. Alle sette ricomincio con i disegni fino all’una di notte, striscio in albergo, vado a dormire e la mattina dopo prendo un altro treno».
A cosa stai lavorando adesso?
«Vorrei fare qualcosa per il blog perché è un po’ che manco, disegnare una storia per dare il mio contributo contro lo sgombero che sembra imminente di Lucha y Siesta che è la casa delle donne che sta al Tuscolano (quartiere di Roma) e poi sto provando a vedere se riesco a fare un cartone animato. In questo momento da solo, quindi nella maniera più psicopatica possibile, doppiatori a parte».
Ma lo fai con Netflix?
«Al momento non lo faccio con nessuno. Almeno nella fase iniziale voglio impostare tutto io, poi se qualcuno è interessato al progetto si vedrà».
Ho letto che ci saranno anche Elio e Mastandrea...
«Loro sono stati molto carini e hanno prestato la voce per questa prima puntata pilota, poi se le cose andranno avanti si vedrà, ne riparleremo».
Perché i cartoni animati?
«Perché mi sembra che si sia ridotto il tempo di concentrazione e far passare dei ragionamenti complessi anche su Internet è più difficile mentre con i video forse si riesce. Non so se funzionerà perché è proprio un linguaggio diverso e io mi rendo conto che sono un dilettante. Ci provo a modo mio».
Comunque quello che fai è importante, non solo per te. Il tuo modo di raccontare è utile perché non è escludente. E poi c’è molta riflessione su te stesso, su quello che ti sta intorno. E lo stai facendo con mezzi, oggi il fumetto, domani magari i cartoni, che ancora spesso sono considerati “minori” mentre cose come la candidatura tua e di Gipi al premio Strega con dei graphic novel ne hanno riaffermato l’importanza e la forza comunicativa a più livelli.
«Speriamo, non lo so. Io sono in un periodo un po’ crepuscolare».
Siamo tutti meno allegri di un tempo credo.
«Io di questi tempi fatico davvero un po’ con l’allegria. Sia per cose personali sia per ciò che mi sta intorno».
I rapporti umani per te sono diventati più difficili anche per colpa dei social?
«No, io credo che invece i social possano anche essere un facilitatore di rapporti. Io sono un timido quindi sono uno che se non fossero esistiti i cellulari forse non avrebbe neanche mai avuto una fidanzata nella vita».
Davvero?
«Sì, io sono una persona estremamente timida e se non fossero esistiti gli sms non credo che sarei mai riuscito ad avere legami con l’altro sesso. Se non ci fosse stato il filtro di uno schermo difficilmente sarei riuscito ad aprirmi con chicchessia, quindi per me sono anche molto utili in questo senso. Poi ci sono gli aspetti negativi: hai informazioni sulla vita di tante persone, leggi le vite degli altri e ti sembra come se quelle cose le avessi fatte tu, però in realtà non vivi. Il risultato è una moltitudine di esperti e questa è un’aberrazione che crea meccanismi strani».
I social oggi sono molto utilizzati dai politici populisti con cose come i selfie, i meme, le fake news e così via.
«Sì, poi però spesso sono gli stessi ragazzini che hanno trovato il modo di prenderli in giro, dimostrando che sanno anche come si fa a decostruire il meccanismo».
E il lavoro invece, a parte il tuo caso?
«Io ho lo spaccato di quelli che sono gli amici miei e sostanzialmente è… una merda! Stiamo invecchiando e chi viveva con i suoi perché lo stipendio non gli consentiva di permettersi una casa vive ancora con i suoi. Chi arrancava continua ad arrancare: sono veramente poche le persone che hanno svoltato, che vuol dire semplicemente avere la possibilità di pagarsi un affitto».
Quelli che si sposano come fanno?
«Mettono insieme due stipendi per pagare un bilocale ma non è una vita facile se poi arriva il figlio e se magari perdi il lavoro perché comunque i lavori sono a rischio.
Insomma mi sembra che quasi nessuno oggi se la viva serenamente».
Le persone sono sfruttate?
«Ormai è diventato normale che vieni pagato come un part time per un lavoro a tempo pieno e magari ti danno 200 euro in più fuori busta per un totale di 800 euro la settimana se va bene. Poi ti trovi a 36-38 anni che ti guardi e dici: che cosa sto facendo?».
C’è una soluzione?
«La soluzione sarebbe anche semplice: se si produce ricchezza poi questa ricchezza va redistribuita».