il Fatto Quotidiano, 19 ottobre 2019
Biografia di Ivan Scalfarotto
Ivan entra nei Democratici di Sinistra nel 2007 su espresso invito di Piero Fassino – il che come vedremo imporrà alla sua carriera un indirizzo fatale – e subito si candida alle Politiche del 2008: non viene eletto. Indi si candida alle Europee del 2009, e non viene eletto. Ma “l’impegno diretto in politica di Ivan”, come recita la bio ufficiale e presumibilmente autografa, era cominciato già “nell’estate del 2005 quando, spinto da un manipolo di italiani del gruppo londinese di ‘Libertà e Giustizia’ e armato solo del proprio blog, ha deciso di correre per le primarie dell’Unione.
Sfiderà Prodi, Bertinotti, Di Pietro, Mastella, Pecoraro Scanio e Simona Panzino arrivando sesto con 26.912 voti, pari allo 0,6%”. Poteva andare peggio: poteva arrivare settimo. Per manifesti meriti, nel 2009 viene nominato vicepresidente del Pd. Alle primarie del 2012 appoggia Renzi: “Matteo rappresenta plasticamente in questo momento quella proposta di innovazione per la quale ho lavorato, insieme a tanti altri, per molti anni”. Vince Bersani.
Eletto finalmente nel 2013 grazie al premio di maggioranza del Porcellum, comincia la sua vita da sottosegretario, prima ai Rapporti con il Parlamento, poi allo Sviluppo Economico. Nel 2016 si fa conoscere presso il pubblico generalista grazie alla regia di una serie Tv sul suo blog fatta di video-pillole a favore del referendum di Renzi, sotto l’insegna di “Mi hai convinto. Voto Sì. Le obiezioni del No smontate una per una”. Vince il No. Nel 2018 viene rieletto, beneficiando delle pluricandidature rosa del Rosatellum, la legge elettorale ideata dal Pd per vincere seggi laddove li perdeva ed eleggere molti maschi fingendo di candidare molte donne.
Al Congresso del 2019 appoggia la mozione Giachetti-Ascani, che alle primarie arrivano terzi su tre. A ottobre lascia il Pd, alla cui crescita tanto aveva contribuito, e aderisce alla scissione di Renzi. La bio, rigorosamente in terza persona, recita: “Ha lavorato per più di 20 anni per importanti banche italiane ed internazionali come Direttore delle Risorse Umane vivendo per sette anni all’estero, tra Londra e Mosca”. Dalle banche, quasi naturaliter, gli è arrivato l’afflato per la cosa pubblica. Famoso il suo grido per la libertà nel 2015: “Il Jobs Act è una cosa di sinistra”. Svolgimento: “Tutto si può dire, insomma, tranne che si tratti di una manovra contro i lavoratori o contro la dignità del lavoro”. I lavoratori ancora lo ringraziano; in alcune fabbriche, all’entrata, c’è un busto di Scalfarotto.
Anche Ivan, come tutti gli smagati post-ideologici fulminati dalla disintermediazione, passa molte ore sui social. Quando a Renzi arrestarono il babbo e la mamma, guardò il fattaccio alla luce dell’eternità: “Gli storici scriveranno brutte cose sul nostro presente”, a meno che non si facciano bastare la cronaca nera.
Già coordinatore dei fiabeschi “Comitati di Azione Civile Ritorno al Futuro” (forse con Rosato, non si capisce bene) costituiti per raccogliere fondi per il nuovo partito, è stato un #senzadime irremovibile fino a un secondo prima di firmare da sottosegretario: “Il M5S è il partito che lavora per smantellare la democrazia rappresentativa, i diritti e il garantismo. Il partito amico di Farage, di Putin e di Maduro. Un partito a vocazione totalitaria”, tutti motivi che l’hanno indotto ad accettare senza indugi di far parte di un governo col M5S.
Ha legato il suo nome allo sciopero della fame per le unioni civili (due cappuccini al giorno, come Pannella), riforma a costo zero che il signorotto di Pontassieve ha poi concesso sbandierandola in ogni dove (“Ivan, magna”, lo carezzò graziosamente via social); per una strana aporia, a bloccare il ddl Cirinnà in Parlamento era però l’ingorgo causato dalla riforma costituzionale sostenuta da Ivan (a saperlo, sarebbe bastata una dieta detox). Sempre dalla bio: “Nel 2015 e nel 2016, Ivan è stato nominato nella Global Diversity List tra le 50 personalità che a livello mondiale si distinguono per la diffusione della cultura della diversity e delle pari opportunità. Tra gli altri nominati, Barack e Michelle Obama, il Dalai Lama, la regina Noor di Giordania, Bill Gates, Hillary Clinton, José Luis Zapatero, il Principe Henry del Galles, Angelina Jolie, Mohammed Yunus, Christiane Amanpour e Malala Yousufzai”. Non c’è che da attendere il Nobel.
Ha aderito a Italia Viva perché “il Pd diventa il partito che alle feste dell’Unità canta Bandiera Rossa” e “tornano i D’Alema e i Bersani”, mentre Ivan stava comodissimo, nel pieno comfort mentale dei listini bloccati, quando il Pd governava con Berlusconi, Alfano e Verdini. Coi voti del Pd, quindi, e in ottemperanza alla legge dei contrari che domina la sua carriera, oggi Scalfarotto milita nel partito anti-Pd fondato da Renzi. Ma una ragione di entusiasmo aurorale muove il grande passo: “Dal palco della Leopolda avevamo visto un futuro che si candidava entusiasticamente a diventare classe dirigente… Aderisco a Italia Viva perché ho bisogno, perché c’è bisogno, di radicalità. Perché ho visto il programma di innovazione cui avevo aderito avvolto da una ragnatela e poi da un bozzolo che lo ha lentamente ma inesorabilmente depotenziato e neutralizzato”.
Sprecando una penna tanto garbata – Ivan deve conoscere quei personaggi di Dostoevskij nei quali l’incoerenza sfocia impercettibilmente nella coerenza – Scalfarotto ha trasformato la voluttà di sconfitta nel mestiere di sottosegretario. Solo due mesi fa incideva: “Costretto ahimè a ribadire che dove c’è il #M5S – quelli dell’antipolitica, della demagogia, delle espulsioni, delle fake news e delle aggressioni sulla rete, di Maduro, dei gilet gialli, dei no vax, della decrescita, della galera facile, dei tagli alla stampa – non ci sono io”. Ivan c’è. Ma forse è un altro, come Rimbaud.