La Stampa, 19 ottobre 2019
Ue, Merkel vuole pagare di meno
E adesso come si fa a ripianare il buco nel bilancio lasciato dalla Brexit? Il giorno dopo l’accordo con Boris Johnson, gli altri 27 leader europei si sono interrogati sulla questione. E il confronto è servito a capire che l’intesa non solo è lontana, ma proprio non si intravede all’orizzonte. Se ne riparlerà a dicembre, ma i margini per un accordo non si vedono. «E il tempo stringe», avverte Angela Merkel.
L’oggetto della discussione è il prossimo bilancio pluriennale dell’Ue, quello per il periodo 2021-2027. Una torta da oltre mille miliardi di euro che andrà preparata senza il contributo degli ingredienti britannici: Londra versa nelle casse comunitarie circa 14 miliardi l’anno. Due le strade: o si riducono le spese oppure ognuno degli azionisti aumenta il proprio contributo. Ma l’Europa è spaccata. L’impatto potrebbe essere mitigato con l’introduzione di alcune «risorse proprie», come la Carbon Tax o una nuova imposta europea sulla plastica (la Web Tax è già stata bocciata). Ma si tratta di cifre non in grado di fare la differenza.
Oggi il bilancio Ue equivale all’1,03% del reddito nazionale lordo dei 28. Per mantenere quella somma a 27 bisognerebbe salire all’1,16%, con un notevole incremento delle contribuzioni nazionali. Il Parlamento Ue vuole addirittura l’1,3%, mentre la Commissione aveva suggerito l’1,1% (circa 1.135 miliardi). L’idea non ha trovato consenso e così la presidenza finlandese ha proposto una forchetta che va dall’1,03% all’1,08% (1.050-1.100 miliardi). Il piano di Helsinki è riuscito nel miracolo di mettere tutti d’accordo: è stato respinto all’unanimità. Non c’è intesa sulla dimensione, figuriamoci sulla ripartizione delle spese tra politiche di coesione, agricole e altre priorità (ricerca, digitale, clima e immigrazione).
Austria, Olanda, Danimarca, Svezia e Germania non vogliono andare oltre l’1%. Chiedono inoltre di mantenere il sistema del "rebate", ossia dello sconto per alcuni contributori netti, introdotto su richiesta dei britannici. Ma Emmanuel Macron si oppone e ieri ha fatto un collegamento con la questione dell’allargamento ai Balcani: c’è stato un duro scontro tra i leader su questo punto. E, proprio a causa del veto francese, il Consiglio non ha dato il via libera all’apertura dei negoziati con Albania e Macedonia del Nord. «Quelli che vogliono l’allargamento - ha attaccato Macron - sono gli stessi che vogliono un budget ridotto. Ma più la fetta di pane è grande, più bisogna spalmare il burro. Così si finisce per non vederlo quasi più». L’Italia (favorevole al via libera a Tirana e Skopjie) vorrebbe un bilancio più ambizioso.
C’è poi la questione delle condizionalità. La presidenza propone di legare l’erogazione dei fondi al rispetto dello Stato di diritto, ma anche all’accoglienza dei migranti o al raggiungimento degli obiettivi climatici. I Visegrad (che ricevono più di quel che danno) sono nettamente contrari. Il bilancio va approvato all’unanimità e un’intesa al momento appare impossibile.