la Repubblica, 15 ottobre 2019
I segreti delle abbuffate
Gli eccessi alimentari non hanno effetto solo sul girovita, ma anche sul cervello, che viene condizionato a mangiare sempre di più. Bastano tre giorni di dieta ad alto tasso di grassi e carboidrati, il tipico menu da fast food, per cambiare l’attività dei neuroni dell’ipotalamo, che regolano il metabolismo, e indirizzarci sulla strada dell’obesità. Lo suggerisce uno studio pubblicato sulla rivista Cell Metabolism.
«Sapevamo che la dieta ricca di grassi provoca uno stato di infiammazione nei neuroni dell’ipotalamo e che questa infiammazione è associata a un calo nel senso di sazietà e allo sviluppo di obesità. Non sapevamo se ne fosse la causa o la conseguenza», spiega l’autrice dello studio, Sabrina Diano, docente di fisiologia molecolare alla Yale University e all’Università Federico II di Napoli. Gli esperti hanno fatto un esperimento: in un gruppo di topi hanno disattivato una proteina necessaria per produrre lo stato infiammatorio. «Il risultato – aggiunge l’esperto – è che questi topi, pur sottoposti a una dieta equivalente a un nostro pasto da fast food, con hamburger e patate fritte, da 1.200 calorie, non diventano obesi. Invece i topi con la proteina funzionante lo diventano. Quindi l’infiammazione dell’ipotalamo indotta dalla dieta grassa è la causa, e non l’effetto, dell’obesità».
Un meccanismo cerebrale che spinge a mangiare sempre di più una volta che si sono assaggiati cibi ipercalorici è certo un problema oggi che possiamo facilmente trovare cibo di ogni sorta. Ma nella nostra storia evolutiva, in quel Pleistocene in cui si è formato il cervello umano, è stato un vantaggio.
«È un adattamento per difendersi dalle possibili carestie del futuro – spiega Laura Dalla Ragione, psichiatra e direttrice della rete disturbi alimentari Usl1 dell’Umbria – facendo scorta, quando si può, di cibi supernutrienti che nella preistoria erano rari da trovare. È lo stesso meccanismo per cui, quando le pazienti di anoressia ricominciano a mangiare dopo una grave restrizione di cibo, aumentano rapidamente di peso. È come se l’organismo dicesse” facciamo scorta prima che ritorni la carestia”». Per Dalla Ragione il valore dello studio su Cell Metabolism evidenzia ciò che gli addetti ai lavori avevano già notato in maniera empirica: «E cioè il fatto che l’obesità non è solo una mera questione di un eccesso di calorie in ingresso, ma che gli stessi nutrienti giocano un ruolo fondamentale nella genesi, corretta o scorretta, del segnale di sazietà», spiega la psichiatra. «Ad esempio si sa che i grassi saturi ritardano la genesi del segnale di sazietà interferendo con il rilascio di un ormone, la colecistochinina. Un classico esempio sono le patatine fritte, dove succede che” una tiri l’altra” e il consumatore non riesce a fermarsi. E si sa che i dolci possono creare dipendenza, soprattutto in particolari momenti come la fase premestruale o momenti in cui l’umore è deflesso. In fondo il cibo è il più grande stimolatore di endorfine, le molecole naturali del piacere».
Come sfuggire ai meccanismi mentali che portano all’obesità? «Bisogna evitare di mangiare davanti alla televisione o al computer, perché se siamo distratti lo stimolo di sazietà viene confuso e finiamo per mangiare più del necessario. Se mi dedico esclusivamente al pasto, la mia attenzione allo stimolo di sazietà è migliore. Questo si vede soprattutto nei bimbi, e per l’obesità infantile abbiamo, purtroppo, il primato in Europa. (In Italia oggi 2 bambini su 10 sono in sovrappeso e 1 su 10 è obeso ndr) » spiega Dalla Ragione. «Poi è meglio mangiare masticando lentamente, dando a questa attività un valore, come se fosse un rituale, che passa anche per cucinarsi il cibo. Chi soffre di obesità e binge- eating di solito compra cibi già cucinati».